Soddisfa la tua cognizione

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Mi ricordo quando, fino a qualche tempo fa, ricevevo lettere dal futuro.
Mi parlavano di promesse, cose da fare e cose che avrebbero fatto.
Cose che avrei pagato.
E benché il mio piccolo angolo della posta condominiale strabordasse solo di pubblicità, tra le scartoffie, raramente ne affiorava una di un qualche conoscente passato, di  un parente lontano , che parlava del mio futuro.
Mai è successo, a dire il vero, che si avverasse niente.
Inviti, proposte, previsioni.
Le più interessanti le lasciavo sul mobiletto in corridoio, per leggerle quando avevo tempo, senza ricordarmi che in realtà di la , io, non ci passavo mai.
E così in breve tempo, un cumulo cartaceo mi ricordava di eventi , fini settimana, nei quali la mia presenza avrebbe fatto piacere a tutti.
Ma non lo fece, perchè , beh, non ci andai mai.
Ultimamente sono diminuite e questo non mi stupisce affatto.
Poi un giorno, tornando a casa, in un grigio pomeriggio domenicale, ne ho notata una senza nome.
Di solito non vengono nemmeno recapitate, così ,incuriosito, ho deciso di leggerla, senza farla passare dal mobiletto nel corridoio.
La lettera non conteneva nulla di interessante in realtà, avrei preferito una pubblicità o qualche sconto per la benzina.
Non parlava del futuro, come le altre.
Era una lettera del passato; o meglio, ogni cosa elencata nel foglio determinava chiaramente un prima e un dopo.
Ed ecco che mentre leggo, il mio occhio  si posa come una piuma su due parole: mai più.
Postulano meramente un passato che non si ripeterà, appunto, mai più.
Rileggendola svariate volte mi rendo conto che "mai più" lo sono diventate anche tutte le lettere che ho lasciato sul comodino ormai da anni.
Quelle che, invece,  erano state tempo addietro, lettere del futuro.
Butto il foglio che ho tra le mani a terra e mi dirigo verso il comodino con calma.
Scruto.
Ce n'è saranno almeno un centinaio.
Ammucchiate una sopra l'altra, casualmente, come le idee nella mia testa.
Ne prendo una a caso, con la sensazione di fare qualcosa di sbagliato.
Un brivido corre velocissimo lungo tutta la superficie della mia pelle.
È leggera, sembra quasi vuota, la apro con snervante e tremante cura.

" Lunedì prossimo Andrea tornerà dall'ospedale,
organizzeremo una piccola festa a casa nostra.
Ci farebbe tanto piacere venissi.
20, Marzo, 1998"

Andrea è morto in quell'ospedale, il giorno dopo.
Eppure, eppure è come se fosse stato in vita fino a quest'attimo.
Eppure, quella festa, fino a che non ho aperto, non era ancora successa e mai più sarebbe successa.
Mi sale un'altro brivido , veloce, dorsale.
Dio, che tarli si crea la mia mente.
E come se non bastasse, iniziano ad annidarsi nei mie pensieri, divorandomi con interrogativi inquietanti che forse era meglio non farsi.
Cosa mai possono contenere quelle altre lettere?
Quante vite.
Quanti momenti ancora immortalati tra inchiostro e carta.
Il cielo già grigio si inscurisce di colpo, come se la luminosità del sole fosse diventata più fioca.
Proprio mentre un peso caldo d'angoscia mi si annoda in gola e mi sento mancare il respiro.
Apro la finestra, delicatamente.
Vivo in un complesso di condomini popolari di periferia e ciò che vedo da qua è solo prati, spenti e infiniti.
Mi sento così solo.
Uno colpo di vento mi riga la faccia, facendomi fare qualche passo indietro.
Chiudo gli occhi.
Buio, vuoto.
Intorno e dentro me.
Sento la malinconia che ha questa domenica.
Che ha il riscoprire quelle vecchie lettere.

Solo a pochi metri da qua, sono ancora vivi tanti futuri, futuri passati, in piccole buste di carta.
Ne percepisco la presenza.
Riapro gli occhi.
È come se fossi pesantemente osservato.
Da...loro.
Le voci che parlano di un io che non sono più.
Mi chiamano.
Un'altro colpo di vento, più forte, mi riporta alla realtà con uno scossone anche fin troppo concreto.
Che strane le suggestioni che può dare la carta.
Certo, non si tratta di nient'altro, eppure ho quasi paura di cosa ci possa essere scritto.
Di come sarebbero potute andare le cose.
In realtà mi sta venendo una leggera nauesa, come se avessi finito di respirare l'ossigeno nella stanza e stessi iniziando a inalare a gran polmoni tutta l'anidride carbonica prodotta da me.
Eppure la finestra è spalancata.
Dio.
Non ho più scritto alla famiglia di Andrea. Non so più dove abitino. Se mi abbiano cercato ancora.
Più forte sale la mia nauesa, più si insidia in me un mero giudice che mi condanna colpevole della sua morte.
Avrei dovuto leggerle.
Però... ora è tardi.
E ne pago le conseguenze con l'angoscia del dubbio di come sarebbero potute andare le cose.
È colpa mia se non sono andato a trovarlo.
È colpa mia se non ho portato dei fiori.
È colpa mia se non ho visto chiudergli gli occhi.
Andrea, scusa.
Ero così impegnato da non prendere le lettere da quel comodino.
E alla fine una settimana é diventata un anno senza che me ne rendessi conto.
Come quando porti un pugno di sabbia con te e ti è scivolato via tutto senza che sentissi i granelli cadere.
Sono colpevole.
Mi gira la testa, con grandi scatti, come su una ruota panoramica impazzita.
Cerco di guardarmi intorno, ma vedo sempre uguale, come se non riuscissi a muovermi.
L'unico modo per togliermi il dubbio senza aumentare il capo d'accusa contro di me è liberarmi di quelle lettere.
Sospiro con forza.
Le prendo tutte, anzi, prendo  il mobiletto e lo scaglio con forza al centro della stanza.
Dio mio.
Le foglie, fuori, piano cadono dagli alberi, scosse da un algido e tormentato vento.
Lo sento passare anche dentro di me e svuotarmi di tutte le forze.
La finestra è spalancata, le lettere volano per tutta la stanza come animate,  angosciate e terrorizzate.
Mi sento mancare le forze.
Odo tantissime voci sovrapposte, venire da dentro quelle lettere, gridare sempre più forte la mia colpevolezza.
Come se le avessi imprigionate, calpestate e nutrite a mia insaputa, fino a farle diventare piene d'odio.
Come i mendicanti che vengono ignorati dai passanti.
Ma ora si stanno ribellando giocando a farmi toccare la pazzia.
È colpa ,mia.
È colpa mia di questo annoiato eterno rimandamento , che si è nutrito piano piano di sè stesso, fino ad adesso.
Fino al troppo.
Ho paura.
Il mio corpo è come si stesse contorcendo in una morsa soffocante, sempre più stretta , da tutti i capillari , fino a rischiare di implodere.
Il senso di colpa di avere ignorato tutte quelle voci è l'unica cosa, che in modo assordante,rimbalza da una parte all'altra della mia testa.
Violentemente mi ricorda quanto sia stato stupido.
Il vento dentro la stanza sparge ogni cosa.
Comprese le lettere, sembrano uccelli, corvi, corvi rabbiosi.
Io sono immobile di fronte a questo spettacolo quasi tetro, preso dall'angoscia impassibile.
Le lettere gridano in balia della violenta corrente, una più forte dell'altra, senza farmi capire più niente.
Si, le lettere.
E hanno la voce di Andrea e di tutte le persone che non ricordo più.
Milioni di pipistrelli bianchi senza via d'uscita.
Alcune mi si posano addosso, come per braccarmi, mentre io corro in cucina, scostandomele di dosso convulsamente.
Prendo una tanica di benzina che tengo sempre sotto il lavandino.
La verso tutta ,e mentre cola, la carta diventa trasparente.
Lascio colare ogni singola goccia con delicatezza sadica, sorridendo della mia prossima liberazione.
Si intravedono le missive ingiallite.
Ho imparato.
È grave la procrastinazione dell'anche più piccolo dovere.
Perchè può crescer fino a sopprimerti.
I miei piedi affondano tra le buste.
Sento quasi come se stessero salendo lungo le mie gambe.
O stessi scendendo io o , meglio, sprofondando.
Dio, le loro voci, giuro che le sento.
Sono assordanti, come il senso di colpa.
Chiudo gli occhi e verso fino all'ultima goccia della tanica.
Mi soffoca sapere sia troppo tardi.
O forse è la carta.
O la benzina che sento bagnare il mio corpo.
Fuoco.

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