24 dicembre 1944.
Tic tac, tic tac.
"Gehen" "schnell, schnell" urlati con voci rauche, forti, dure, senza pietà, senza emozioni, seguiti da fischi, frustate, imprecazioni.
Venivano urlati senza un briciolo di cuore, erano solamente comandi da rispettare, non si potevano confutare, erano ordini da accettare e da eseguire, non vi era una seconda possibilità.
Eravamo in coda, una lunghissima coda, con i bagagli.
Li tenemmo stretti a noi, ci portammo i beni più preziosi, i ricordi più stretti, qualsiasi cosa ci avesse permesso di non dimenticare, ci portammo qualsiasi cosa potesse raccontare di noi, qualsiasi cosa ci rappresentasse, ci portammo qualsiasi cosa potesse essere la nostra memoria, ci portammo con noi i sogni, le speranze, il ricordo di una vita che non sarebbe stata più la stessa.
C'erano ragazzi che piangevano, madri che coccolavano i figli dando loro la speranza di un futuro migliore, raccontando loro storie di pura fantasia per tranquillizzarli, raccontando loro che ciò che li aspettava sarebbe stato qualcosa di bello, raccontando loro e facendo credere loro che quello che stava accadendo era solamente un gioco, che era tutto solamente uno scherzo, un qualcosa che si sarebbe concluso nel miglior dei modi, padri che proteggevano le loro mogli, vecchi che si abbracciavano.
Si sentivano solo le urla dei bambini, le ninna nanne delle madri singhiozzate, voci rotte dal pianto, si sentivano solo rassicurazioni sfociate in pianti provocati dalla disperazione.
Si sentivano i fischi del treno, le rotaie cigolanti, le urla dei comandanti, il marciare dei soldati, gli stivali che sbattevano a ritmo delle lacrime che cadevano sulla neve che si scioglieva piano ed infine lo sbattere delle porte dei treni quando si chiudeva un vagone per aprirne un altro, un'altra porta verso l'inferno.Tic tac, tic tac.
Arrivò il mio turno, mi strapparono di mano la valigia, se così si poteva chiamare, era un sacco, un semplice sacco contenente solamente un maglione, il regalo di mia madre, prima di morire, me lo fece e me lo consegnò una settimana prima che i nazisti arrivarono puntuali come lo scoccare dell'orologio, l'orologio che avrebbe segnato la morte di migliaia di persone.
Mi sequestrarono il mio bagaglio, opposi resistenza e mi urlarono, mi diedero una botta sulla schiena, mi presero di forza e mi gettarono sul vagone come fossi un sacco, come se non potessi provare dolore ed in ultimo conclusero con "il bagaglio ve lo ridaremo" o comunque questa fu la traduzione della frase pronunciata dal soldato tedesco, datami da un ragazzo presente sul vagone con me.
Mi ritrovai su quel vagone insieme ad altre decine di persone, eravamo in una cinquantina senza la possibilità di muoverci, di sistemarci, non avevamo comodità, non vi erano finestrini, non vi era il bagno, non vi era acqua né cibo e l'aria mancava.
E solo dopo 5 ore si sentì un ultimo fischio, non si fece attendere.
Quel suono fu letale, fu quello che mi fece capire, che quel viaggio la cui destinazione era la morte era appena iniziato.Tic tac, tic tac.
Mi ritrovai su quel treno, su quel vagone, non avevo possibilità di muovermi, era tutto così stretto.
Non ebbi pensieri particolari, non pensai al fatto che la mia vita da quel giorno sarebbe stata totalmente differente, non pensai che forse non ci sarebbe stata nemmeno più una vita, non pensai a nulla, mi stesi in un angolo, poggiai la testa contro il vetro, mi rannicchiai per non patire il freddo, portai le ginocchia al petto per sentirmi protetto e mi addormentai.Mi addormentai con le lacrime che mi rigavano il viso, con la consapevolezza che ogni lacrima portava con se una parte di me, del mio cuore, del mio essere; con la consapevolezza che se ci fosse stato un risveglio sarebbe stato l'inizio di una catastrofe.
La mia mente fu invasa dai ricordi, i più lontani, mi ritornarono in mente i lividi che ho sulla pelle, la mia storia, il sangue che scorre nelle mie vene, il sorriso di mia madre, quello di mio padre, il sorriso di mia sorella, poco più grande mi me che scappò con mio padre dopo la morte di mia madre e prima dell'arrivo dei nazisti.
Non fuggii con loro non so con quale scopo, forse poiché ho sempre pensato che il destino sia già stato segnato, che qualsiasi cosa sia destino che accada, prima o poi, senza farsi aspettare, accadrà.
Sono ebreo ma non ho mai creduto in Jahvé, ho sempre pensato che non fosse corretto lasciarci manovrare, manovrare i nostri sentimenti, le nostre emozioni da qualcuno, qualcuno di cui noi non conosciamo l'esistenza, qualcuno che viene preceduto dalla sua fama, dal suo nome, qualcuno di cui io, io non so nulla, qualcuno che si nasconde dietro un cielo, in cui io non ho fiducia.
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FanfictionSiamo negli anni della seconda guerra mondiale, gli anni delle persecuzioni nei confronti degli ebrei e di coloro che erano considerati differenti e quindi non degni della vita. Questa è la storia di Harry, ebreo omosessuale che sfida le leggi della...