Parte 5 Anno 2015

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ERIKA

Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Sono finalmente sul benedetto treno per Pisa! Non sto nella pelle! Sono talmente euforica che mi sento il sangue pulsare nelle orecchie! Ho corso a più non posso per salire su questo treno al volo! Quasi lo perdevo. Di nuovo.

Stamattina mia madre, appena prima di uscire di casa, mi ha avvisato che oggi pomeriggio si dovrà fermare a lavoro per una riunione straordinaria. Devono discutere sui nuovi menu o qualcosa del genere. Lei lavora in mensa e normalmente alle tre del pomeriggio è già di ritorno. Non capita spesso di essere libera dal suo sguardo fino alle sei di sera. Ho pensato subito che fosse la giusta occasione per attuare il mio piano. Stavo solo aspettando una chance.

Ho infilato nello zaino qualche vestito. Ho preso dal frigo un paio di yogurt e mi sono presa anche il pacco nuovo di gallette che c'era in credenza. Di certo di fame non morirò. Non penso che starò via per molto, ma non si sa mai. Poi ho approfittato dei minuti in cui lei era in bagno per recuperare cinquanta euro dal barattolo dei risparmi. Pronta per la mia avventura.

Non credo che al primo giorno di assenza da scuola, contattino subito a casa. Dovrei avere un buon margine di azione.

L'arrivo a Pisa è previsto per mezzogiorno e venti. Solo ora penso a quanto sia azzardato questo tentativo. Non so nemmeno se lui abiti ancora lì. Non so che lavoro faccia. Se torni a casa per pranzo. Non so nulla. Quante probabilità avrò di incontrarlo o anche solo di riconoscerlo?

Riguardo la busta che ho sottratto dal cassetto di mia madre. Mi immagino lui seduto alla scrivania, intento a scrivere il nostro indirizzo, dopo aver scritto il suo in alto a sinistra, nell'angolo del mittente. Il timbro postale è sbiadito. Non si riesce a leggere la data. Chissà a quando possa risalire questo messaggio.
Al suo interno un biglietto di poche parole: "Non vi ho mai dimenticato".
Rileggendole mi si blocca il respiro.
Esattamente come la prima volta che per caso ho trovato questa busta.

Perché mia madre non mi ha mai detto nulla di questo biglietto? Come può pensare di avere il diritto di nascondermi una cosa del genere?

Vengo interrotta dai miei pensieri da una voce maschile:

"Ciao"

Alzo lo sguardo incredula, chiedendomi chi mi possa conoscere su questo treno. Vedo un ragazzo che non mi ispira nessuna fiducia. Ha una felpa, più grande di qualche taglia, col cappuccio tirato sulla testa, neanche facesse freddo dentro al treno. Un viso imbronciato come se fosse arrabbiato, anche se credo faccia parte del personaggio.

"Posso sedermi?" - mi domanda. Ma senza aspettare la risposta si siede di fronte a me e continua: "Niente scuola oggi?"

"Scusa, ma chi sei?"

"Jay" - e dicendo così mi porge la mano. Io fingo di non aver notato il gesto e sposto lo sguardo sul paesaggio fuori dal finestrino. Non ho nessuna voglia di socializzare con un teppista interrompi-pensieri-altrui.

"Allora dove te ne vai?" - mi dice lui ignorando il mio chiaro linguaggio non verbale.

"Non credo che ti riguardi" - rispondo io decisa, nella speranza che le dirette sortiscano più effetto delle indirette.

"Bene. Comunque faresti bene a non andartene in giro da sola. In questi treni accadono molte cose strane"

"Ah sì. Del tipo?"

"Non hai sentito di quel tipo che ha tagliato un braccio al controllore col machete?"

"Non ricordo. Ma credo che anche il peggiore dei delinquenti non sceglierebbe un regionale delle otto e mezza del mattino per accoltellare la gente"

"Per certe cose non c'è orario, ragazzina. Stai in campana. Ci vediamo" - e dicendo così se ne va a passo levato.

Qualche secondo dopo vedo arrivare il controllore e capisco perché se ne sia andato via a quel modo.

Che tipo strano. Un po' inquietante a dire il vero. Per fortuna, prima di potermi soffermare su quel bizzarro incontro, arriviamo a Pisa e i miei pensieri sono di nuovo focalizzati sulla mia missione.

Dopo dieci minuti di attesa dell'autobus e altri venti minuti di tragitto, arrivo finalmente in via Ciro Ravenna. Cerco il numero dodici e trovo un casermone aranciato, a tratti scrostato, con le persiani verdi e un portone di legno sbiadito. Individuo il cognome sul campanello e il cuore mi batte all'impazzata.

Suono. Nessuna risposta. Ho un nodo in gola. Il respiro accelerato. Una sensazione di vuoto allo stomaco. Dopo tutta questa strada... Suono di nuovo, con la preghiera, che accada il miracolo. Vengo esaudita e sento:

"Chi è?"

"Papà sono io!"

"Erika? Erika, sei tu?"

Sento il bip del portone che si apre e lui che scende di corsa le scale per raggiungermi. Tanto di fretta da farmi temere per la sua incolumità.

Ripenso al nostro ultimo incontro. E una lacrima di commozione mi riga il viso.

Un desiderio dentro al cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora