Daniel

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La camera era spaziosa, Dalila si era convinta di averne una tutta per se, dopotutto la villa era dotata di decine di camere, cosa molto strana per un uomo che vive tutto solo, cosa doveva
farsene? Si mise seduta sul lettino e notò che era soffice, allora si stese e le piacque molto la sensazione di morbidezza sotto di lei, se non fosse stata così impegnata con il cellulare,
avrebbe quasi sorriso. Invece in mente le venivano solo parole poco carine, il telefono non aveva campo, non riusciva a
connettersi a Facebook, era una tragedia, cosa avrebbe potuto fare in tre mesi senza Facebook, whatsApp e compagnia bella?
<<Maledizione>> disse più disperata che mai, in tutta la sua vita non si era sentita mai così avvilita. Lasciò il cellulare sul letto e avanzò verso la finestra, era davvero bellissimo, da
lassù poteva scorgere tutti i particolari che le erano sfuggiti poco prima. La casa era praticamente un punto, tutto intorno,
come cerchi perfetti che si incastonavano uno dentro l'altro, c'erano: il lago, i vigneti, gli ulivi, a perdita d'occhio. Aprì la finestra e respirò l'aria un po acre di vino e fiori d'arancio, il profumo proveniva da un albero li vicino. "Chissà dov'è il delinquente" si chiese.
Disfò le valige e naturalmente, i vestiti erano sgualciti e stropicciati come pezze, fece spallucce e andò a farsi una
doccia, al ritorno indossò un paio di pantaloncini corti di jeans
e un top, faceva piuttosto caldo e Amish aveva spento i climatizzatori grazie alla mamma. Si sentiva abbastanza ridicola, era pallida da far schifo, pensò di andare a prendere un po di
sole sulla terrazza o meglio, vicino al lago, le gambe per fortuna almeno, avevano preso un po di massa muscolare con il nuoto, non erano più due stecchini che sorreggevano due enormi
cocomeri. Si lasciò i capelli lunghi e dritti come spaghetti sciolti in modo da lasciarli asciugare, visto che erano umidi e scese di basso.
Isabella sembrava un'altra persona, canticchiava una canzone e guardava la televisione, <<mamma, andiamo a farci un giro? Vorrei vedere cosa c'è qui intorno>> Isabella rise ad una battuta di una
commedia che davano in televisione, era un canale italiano per fortuna, <<oh, Dali sono stanca, aspettiamo zio Daniel, ti va?
Dovrebbe essere qui a momenti>>
Dalila non aveva proprio voglia di incontrare questo zio, decise di uscire fuori, a piedi nudi, si mise seduta sul ponticello con
le gambe a penzoloni e si bagnò i piedi nel lago, le punte dei capelli ancora le gocciolavano sulla schiena, tirò la testa indietro e li smosse con le mani. Ogni volta che faceva quel movimento, un filo di seta dorata svolazzava nell'aria.
Si credeva bella Dalila ma non sapeva fino a che punto, viveva i suoi giorni immaginando un futuro migliore convinta che i giorni
brutti passassero prima o poi.
Un rospo attirò la sua attenzione, saltò su una foglia che non resse il suo peso e cadde malamente nell'acqua, rise di gusto. Il
sole batteva sulle sue spalle nude, cominciavano ad arrossarsi,
tirò ancora la testa indietro per smuoversi i capelli e fu allora che lo vide... era sulla sua sinistra, con i jeans strappati
sporchi di terra, a dorso nudo. Dalila rimase con la testa indietro perché in quel momento non ricordava più come si facesse
a riportare il capo in avanti. Quell'uomo stava chiacchierando con un altro uomo vestito da lavoro, ed era bello, molto bello, era alto, molto più alto dell'altro uomo, doveva essere sul metro e novanta presumeva. Dalila vide il suo petto scolpito, sudato e abbronzato, un calore al petto le tolse il fiato, sentiva quel calore dappertutto, persino le guance andarono in fiamme.
Quell'uomo mentre parlava gesticolava, sull'avambraccio sinistro aveva un grosso tatuaggio, una specie di uccello e del fuoco,
sull'altro braccio, sul petto altri tatuaggi, forse erano una ventina e gli davano un'aria dannata e dannati erano i suoi tratti. Dalila lo osservava sicura che lui non se ne sarebbe
accorto, sembrava così impegnato con quell'uomo ed era nervoso. I capelli neri, più neri della pece, erano bagnati, forse dal sudore ed erano lunghi fino al collo, la barba di
almeno due giorni su un viso che era a dir poco spettacolare. I lineamenti ben definiti, la bocca piena, gli occhi non riusciva a
vederli bene ma avevano una forma allungata. Dalila fu attirata da una cicatrice sotto il petto, pareva un segno di arma da fuoco. L'uomo bellissimo, vestito da lavoro, con i jeans aderenti e strappati, alzò la voce di qualche tono e Dalila notò che era
una voce profonda, un vero uomo e parlava francese. Gesticolava e si tirava i capelli indietro nervoso, a Dalila le parvero movenze
sensuali, ma lei cosa poteva saperne? quello era un uomo, un uomo adulto, doveva lavorare per lo zio. L'altro uomo, andò via a
testa bassa, l'uomo bellissimo mormorò qualcosa, forse "che cazzo!" Ma non poteva giurarci, era troppo impegnata a fissarlo.
L'uomo si voltò e si avviò verso il pontile, Dalila voltò la testa di scatto e fissò il lago con il cuore in gola, come se avesse corso per due ore senza mai fermarsi. L'uomo avanzava, lo
sentiva dal tremolio del ponticello di legno sotto di lei, la raggiunse e la superò senza dire neppure una parola, come se fosse trasparente. Dalila lo guardò di sbieco, era voltato di
schiena e stava per entrare in casa, anche la schiena era disegnata da tatuaggi e le spalle erano larghe e muscolose, Dalila scese più giù e per poco non si sciolse completamente, non
aveva mai visto glutei così; così sodi, così meravigliosamente stretti nei Jeans, si fece aria con la mano, era sicura di non
aver mai visto un uomo così bello.
L'uomo era entrato in casa, da parecchi minuti e lei non riusciva a mettersi in piedi, le tremavano le mani, poi pensò alla madre
sola in casa e un piccolo timore si conficcò nel suo petto: "e se questo tipo fosse un male intenzionato?" A giudicare dai tatuaggi
che portava in giro, poteva essere un criminale. Si mise subito in piedi con il viso arrossato dal sole e dall'emozione ed entrò in casa.
Si avviò verso il salone e udì i singhiozzi di Isabelle, aumentò i passi allarmata. Isabella quando la vide, si asciugò le lacrime
e finse un sorriso. Era seduta sul divano vicino a quell'uomo bellissimo, <<eccola qui>> disse all'uomo, <<lei è mia figlia>>.
L'uomo le rivolse uno sguardo fugace, fugace come una stella cadente che si tuffa nel cielo eppure Dalila sentì che qualcosa
dentro di lei era cambiata per sempre. L'aveva visto come a rallentatore; i grandi occhi verdi, di un verde cupo come gli alberi d'ulivo che circondavano la villa, la guardarono
distrattamente, forse non l'aveva neppure guardata davvero eppure lei si sentì trapassata da quello sguardo, da quel viso, da
quell'uomo dannato, tatuato e bellissimo. Intorno a lui, c'era una luce, forse solo Dalila riusciva a vederla.
<<Lui è zio Daniel>> Dalila ritornò alla realtà bruscamente come se si fosse appena svegliata da un sogno, non disse niente, si
sentiva come svuotata, il cervello non riusciva a capire bene la situazione, non voleva capirla. Quell'uomo era suo zio, sangue
del suo sangue, si sentì sporca per ciò che aveva pensato. Cosa poteva dire? Che si era innamorata al primo colpo d'occhio di suo zio? Era amore oppure era solo colpita da un uomo pericolosamente bello? <<Hai capito amore?>> Dalila annuì e deglutì, <<beh, sono
troppo giovane per essere zio, puoi chiamarmi Daniel se ti va>>
le disse senza guardarla, raccogliendo il bicchiere di Champagne sul tavolino, <<ok>> riuscì a risponde ancora sotto sopra
per la notizia terribile appena ricevuta.
<<Somiglia a lui>> disse ancora Daniel, "ma come fai a saperlo? Mi hai vista mezzo secondo, gli zii non abbracciano e baciano le
nipoti?" Pensò Dalila.
<<beh si, ma ha i miei occhi>> rispose Isabella
Daniel bevve lo champagne malgrado l'orario e si tirò i capelli indietro, <<va bene, io ho da fare, Isa, questa è casa tua per me, sei mia sorella, puoi restare quanto vuoi. Mi dispiace ma sarò poco presente, è un periodo faticoso>>
"Ci sono anche io qui" pensò Dalila, "possibile che per lui sono così trasparente?" Si pentì subito per quei pensieri sbagliati.
<<grazie Daniel, significa tanto, non ce la facevo più, credimi, dovevo cambiare aria>>
<<hai fatto benissimo, lo sapevo che prima o poi lo stronzo veniva a galla>>
<<Daniel>> mormorò Isabella, <<non davanti alla bambina per favore>>
Dalila avrebbe voluto sparire all'istante, "bambina? Scherziamo?"
<<certo, certo ma sempre stronzo rimane e deve ringraziare il cielo che non mi stia davanti>>
Daniel stava dicendo che suo padre era uno stronzo eppure le pareva così bello, come se stesse recitando una poesia; Dalila lo
osservava, cercava di guardare ancora i suoi occhi ma Daniel si mise in piedi in tutta la sua altezza e salutò Isabella, solo lei, andò in cucina e uscì subito dopo sbattendo la porta.
In quel momento Dalila era in preda a centocinquanta tipi di emozioni; si sentiva umiliata, si sentiva offesa, si sentiva
ignorata e pensava che Daniel fosse un vero maleducato, neppure uno "ciao" niente. Purtroppo si sentiva anche molto scossa;
scossa come se fosse volata in un tornado che girava a trecento chilometri orari, scossa come se il cuore fosse in ogni parte del
suo corpo: poteva sentirlo in gola, in testa, era ovunque e anche Daniel era ovunque ed era suo zio, il fratello della madre.
<<Cos'hai? Sei tutta rossa>> le chiese Isabella trattenendo un sorriso, <<oh, sai si sta bene fuori c'è il sole, stavo prendendo il sole, si vede? Bene!>>
<<ti piace zio Daniel?>>
"Mi piace? Come potrebbe non piacermi? È il classico bello e impossibile, il classico tipo che ti prende il cuore a morsi e poi lo sputa dopo un po, il classico schianto che ti toglie la facoltà di parola e di movimento." Rispose solo: <<oh, non so, non mi ha neppure salutata>>
<<è un po' particolare ma non è cattivo, vedrai, farete amicizia>>
Al solo pensiero, Dalila divenne ancora più rossa, si voltò per nascondere il viso in fiamme e si diresse verso l'uscita, <<si certo e per favore, non chiamarmi mai più bambina>> chiuse il portone. Il sole e l'aria calda non l'aiutarono, cercò di respirare, cercò di non pensare a Daniel ma le fu impossibile,
tanto che decise di cercalo tra gli alberi, non poteva essere molto lontano.
Dimenticò addirittura di essere a piedi nudi, quando se ne rese conto, camminò sull'erba, tra gli alberi. Non conosceva quel
posto e dopo un po ebbe paura di perdersi. Dopo qualche minuto di cammino, sulla sua destra notò un orto, grande all'incirca
cinquanta metri quadrati, e Daniel era proprio li, accovacciato, sporco e bellissimo. Il cuore riprese a balzarle da una parte all'altra del corpo o almeno così le pareva, provò un senso di stima per quell'uomo che lavorava la terra come tutti gli altri nonostante fosse il proprietario. Si nascose dietro un albero ad
osservarlo, da li poteva vederlo benissimo, era così felice per questo. Lui sembrava serio, forse triste, quello sguardo malinconico da dannato quale era, suo padre lo chiamava "delinquente" Dalila lo conosceva da qualche minuto eppure le parve migliore, "il passato è passato" si disse. Ora vedeva un uomo ricco che lavorava nelle sue terre e vedeva un uomo troppo
bello, quell'uomo però era suo zio, quasi l'aveva dimenticato ed era adulto, vissuto, "vecchio" avrebbe detto Aurora. Lei era una
bambina, una ragazzina di nemmeno diciassette anni, cosa stava
facendo? "Sto solo guardando, non sto facendo niente di male in fondo" si diceva per convincersi; convincersi che non aveva perso
la testa e il cuore, convincersi che non era innamorata persa dopo solo mezz'ora.
Era li a farsi tutte quelle domande e a darsi tutte quelle risposte da non accorgersi che lui non c'era più, lo cercò spasmodicamente tutto intorno ma non riuscì a trovarlo.
<<che fai mi segui?>>
Era la voce di Daniel, Dalila non voleva voltarsi, stava per piangere, non aveva mai provato una vergogna così grande.
<<sei sorda?>>
Non poteva fare altro, si voltò con il volto acceso da mille sconvolgenti emozioni e scosse la testa intimorita. Lui la fissava con quegli occhi verdi e torvi, la fronte corrucciata,
goccioline di sudore ovunque e ora che le stava di fronte, le parve un gigante, lei era minuta, molto più bassa di lui, e la
sua pelle era molto più chiara, si sentiva minuscola dinanzi a quell'uomo tatuato con lo sguardo minaccioso.
<<vai a giocare da un'altra parte, qua si lavora>>
Possibile che tutti la vedevano come una bambina di cinque anni?
<<non sto giocando e non sono una bambina>>
<<si, si, ora vai per favore, non ho tempo da perdere>>
Dalila aprì la bocca per la sorpresa e l'imbarazzo, nessuno l'aveva trattata con tanta freddezza e sgarbo <<stavo solo,
facendo un giro, devo vivere tre mesi in questo posto, mi piacerebbe sapere dove mi trovo>>
Daniel sbuffò, si voltò e la lasciò li come un broccolo, o almeno, lei si sentiva proprio così.
Corse via, "cos'è un animale? Ma chi si crede di essere?"
Non sapeva se essere più offesa o più ferita, se quell'uomo si credeva superiore, soltanto perché era disgustosamente bello, si
sbagliava di grosso.
Entrò in casa come una furia, salì al piano di sopra, sporcando le scale  di terreno, aveva i piedi sporchi di terra e chissà cosa. Andò a farsi un'altra doccia e dopo frugò tra i vestiti,
non aveva portato niente di troppo sexy, sicura che fosse stata rinchiusa in casa per tutta l'estate, sbuffò, almeno aveva le
camicie, quelle poteva sbottonarle. "Vediamo se zio Daniel rimane ancora indifferente"
Alla fine indossò pantaloncini bianchi e camicia rosa, la più
carina che possedeva, sbottonò i primi bottoni e scese per pranzo. Il cuoco aveva preparato del riso all'insalata, scese al piano di sotto, truccata e profumata, Isabella l'aspettava seduta
al grande tavolo in salone. Dalila si mise a sedere e notò che la tavola era apparecchiata per due, <<siamo solo io e te?>> chiese
delusa, Isabella fece di si con la testa, <<si amore, figurati se Daniel pranza>>.
Dalila sprofondò nella sedia, calò la testa sul piatto e mangiò qualche cucchiaiata di riso, le era passata la fame.
<<ti sei preparata? Sei proprio diventata una donna>> le disse Isabella con un'espressione carica di tenerezza.
<<già>> rispose lei, giocando con la forchetta e due cipollotti,
<<questa si che è una vacanza, non devo far nulla, hai visto che casa? E che servizio?>> Isabella sembrava euforica.
<<Non credi che ti annoierai?>> replicò Dalila,
<<ho davvero bisogno di riposo, non credo proprio che mi annoierò, è come essere in albergo>>
Dalila non disse nulla, il pranzo proseguì senza troppe parole,
<<tu potresti esercitarti con il violino, Daniel possiede una stanza piena di strumenti musicali, sai?>>
<<ah>> replicò lei, alzandosi da tavola,
<<non hai fame?>>
<<no, fa caldo, me ne andrò in camera mia, stasera lo zio ci onorerà della sua presenza?>>
<<credo di si ma non ci giurerei>>
<<vado in camera mia, se non ti dispiace>>
<<ok, magari dopo possiamo andare a fare un giro, mi piacerebbe visitare la tenuta.>> disse Isabella masticando del pane, <<sai,
zio Daniel produce champagne, capisci? È fantastico no? È diventato molto ricco ed è un uomo ormai, è stato strano vederlo
con tutti quei tatuaggi, beh alcuni li aveva già fatti quando aveva la tua età, era proprio un pazzo scatenato, il nonno aveva sempre la pressione alta grazie a lui>> rise, <<sono felice che abbia messo la testa a posto, almeno così pare>>
Dalila aveva seguito ogni parola con interesse, parlare di Daniel le scaturiva strane emozioni, inspiegabili e sconcertanti. Le
guance le si erano dipinte di rosso e spesso guardava il portone con la speranza di vederlo entrare. Aspettò più di un'ora ma poi
capì che fosse inutile, tornò in camera sua. Provò a chiamare Aurora ma non ci riuscì, provò a connettersi senza risultato,
alla fine si arrese e cominciò alcuni esercizi di matematica.
Si supponeva che dovesse riuscire a fare qualche calcolo, era molto brava in quella materia, tuttavia, per lei uno più uno era
uguale a Daniel; ogni calcolo, ogni numero avevano il suo viso arrogante e malinconico. Sospirò, era una follia, era qualcosa di
malato, Daniel aveva il doppio della sua età, era suo zio, forse era solo affascinata dalla sua bellezza, non era amore, non poteva esserlo, l'amore non si presenta così, non poteva mai
esserci niente tra loro. Daniel era un uomo vissuto, era stato in carcere, a stento le aveva rivolto un'occhiata, lei aveva baciato
solo un ragazzo, giusto per farlo, giusto per non rimanere indietro rispetto alle altre ragazze della classe.
Quale stupida avrebbe perso tempo a pensarlo come fosse amore?
Lui la considerava solo una bambina o peggio: non la considerava affatto, ed era suo zio, suo zio. Eppure passò tutto il pomeriggio a fantasticare su di lui, immaginava di accarezzare quei tatuaggi, le piaceva soprattutto quello sul fianco destro,
era così sexy. Guardò verso la finestra e notò che il sole stava tramontando, si avvicinò al vetro, spostò la tenda di seta e
guardò di sotto, sembrava tutto immobile, tutto così pacifico in un modo così inquietante, sperava di vederlo arrivare ma lui non
arrivò.
Per cena indossò dei jeans scuri e un top blu cobalto, i capelli raccolti in una treccia e si truccò ancora, ripassando il mascara
sulle ciglia già truccate in mattinata. Il tavolo era apparecchiato ancora per due, le lacrime le velarono gli occhi.
Isabella sempre più euforica, le raccontava che Daniel teneva una stanza grande quanto tutta la loro casa a Milano,  piena zeppa di
libri. Le disse che aveva trovato dei libri stupendi e che li avrebbe cominciati al più presto, sicura che in quel contesto, le
sarebbe tornata l'ispirazione che l'aveva abbandonata da troppo tempo.
Dalila mangiò metà bistecca e un po d'insalata e con la scusa di un mal di testa, tornò in camera sua.
Dove poteva essere? L'avrebbe rivisto?
Erano solo le nove di sera, si annoiava, decise di andare nella famosa stanza dei libri. Uscì da camera sua, il corridoio era abbastanza lungo e troppo buio, le vennero i brividi, non le
erano mai piaciuti i corridoi, erano inquietanti, cercò l'interruttore della luce, per fortuna lo trovò subito. Il corridoio di un'altra epoca, si illuminò da applique ai lati delle pareti che erano tappezzate di quadri sempre di
quell'epoca, del 1800. La stanza dei libri era adiacente alla sua camera, mentre
camminava, contò le stanze che si trovavano sul piano ed erano otto. Immaginò persone, con parrucche candide, attraversare lo
stesso corridoio, immaginò che allora rientrava nella normalità che un uomo dell'età di Daniel, frequentasse ragazze della sua età.
Desiderava così tanto non pensarlo, desiderava così tanto non provare ciò che provava in quel momento; al solo pensiero di una
possibilità tra loro, sentì il cuore batterle in un modo assai curioso, come se battesse per la prima volta. Non aveva mai provato nulla del genere e non capiva cosa fosse o forse lo
capiva ma non voleva lasciarsi andare completamente a quell'assurdità malsana.
La stanza pareva una biblioteca, ovunque si voltasse c'erano libri; mensole altissime fino ai sei metri di altezza, strapiene
di libri, suddivisi in genere e autore.
Nell'aria c'era il profumo a lei molto caro, il profumo della carta e dell'inchiostro. Recuperò un paio di libri che parevano antichi e addirittura originali visto il tipo di scrittura e lo
stato consunto delle pagine: "Jane Eyre" e  "il cavaliere d'inverno" più recente, quest'ultimo era il suo preferito, più di
Jane Eyre, più di tutti, tenerlo tra le mani la faceva sentire a casa, a suo agio, non si sentiva più sola. "Si" si disse, "lo leggerò per la settima volta".
Mentre ritornava in camera, pensò che il delinquente, le piaceva ancora di più, poiché sicuramente leggeva e chi legge è un passo
avanti agli altri.
Ovviamente, quella notte lo sognò; un sogno strano e intricato, vedeva il suo viso, i suoi occhi, i suoi tatuaggi, le sue ferite,
la sua bocca. Comparivano come flash.

Al mattino si svegliò con un senso di sofferenza e inquietudine: le mancava? Possibile? Con lei era stato solo indifferente e sgarbato, cosa poteva mancarle?
Dalila fissava il soffitto disegnato dai primi raggi del sole che filtravano lungo la tenda, era una tipica giornata di giugno, soleggiata e profumata di terra e un misto di positività, una di quelle giornate in cui ti senti invincibile e immortale. Dalila corse a lavarsi e a vestirsi, legò i capelli in una lunga coda
alta e corse fuori. Erano le sei del mattino, Daniel sarebbe arrivato per la colazione? Nella fretta aveva dimenticato ancora
le scarpe, non le importava, uscì sul ponticello, guardò il lago che era di un verde scuro, quasi grigio, il sole ancora doveva
toccarlo e sembrava diverso. Si mise a sedere nel solito modo, con i piedi nell'acqua, il vestitino corto di jeans che aveva
indossato, si era sollevato ma lei non ci fece caso, si sentiva così a suo agio e poi era sola. Intorno c'era una quiete non più
inquietante ma confortante, "incredibile come un posto potesse cambiare a seconda del proprio stato d'animo" pensò, già abituata a
quel silenzio e a quel posto. Quando il portone si aprì, Dalila cadde come da metri dall'alto, s'irrigidì e rimase a fissare la grande porta di legno antico, Daniel uscì distrattamente e la
vide, ne era certa, si fermò un momento sull'uscio, giusto un millesimo di secondo di sorpresa comparve sul suo volto ma poi
chiuse la porta e cominciò ad avanzare verso di lei guardando dritto davanti a se, oltre gli alberi. Dalila non poteva evitare
di guardarlo, avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma le era impossibile, Daniel quella mattina indossava altri jeans scoloriti, una T shirt nera aderente e mentre le passava accanto
profumava di bagnoschiuma, un odore sofisticato e certamente costoso. Dalila si voltò dall'altro lato per guardarlo di
schiena, <<buongiorno>> disse a bassa voce, lui si fermò e Dalila pensò che anche il suo cuore si fosse appena fermato. Daniel si
voltò per metà e la guardò di traverso come incuriosito, <<le bambine non dormono a quest'ora?>> le disse con aria
canzonatoria, Dalila lo guardava intensamente, come si guarda un miraggio, come si guarda un amore, non riusciva a fingere, in
quello sguardo c'era tutta la sua passione per lui, un uomo maturo ed esperto come Daniel avrebbe intuito senza ombra di dubbio i suoi pensieri.
<<Oh>> rispose sorridendogli, <<aspettavo che la mamma mi preparasse il biberon>> Daniel le fece quasi un sorriso, un
sorriso di quelli ironici, <<ciao ragazzina>> mormorò, si voltò e sparì tra gli alberi. Dalila avrebbe voluto urlare, era felice, era passata dall'essere invisibile ad essere una bambina ma non le importava. Batté le
mani in preda all'agitazione, calò il viso infiammato ancora dall'emozione e notò di essere quasi mezza nuda, il vestitino le
si era sollevato appena sotto i glutei, si intravedevano le mutandine. Le parve che tutto il sangue che le circolava in
corpo, si fosse ammucchiato sulle sue guance, se la vergogna avesse avuto una forma, sarebbe stata un enorme bocca che la inghiottiva in quello stesso istante. Daniel l'aveva vista in
quello stato, per forza, voleva tanto sparire, "avrà pensato che l'abbia fatto di proposito?" Si mangiucchiò le unghie nervosa,
"ma no, mi considera una bambina, non se ne sarà neppure accorto"
cercò di convincersi. Entrò in casa correndo.

Il profumo dell'innocenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora