La Domanda Più Grande

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Mi ricordo tutto, ogni singolo particolare. È questo forse che mi spaventa di più.Ci sono cose che avrei voluto dimenticare e che forse, in un tempo non definito, ero anche riuscita a rimuovere dalla mente. Ma ora è tornato tutto,come se nel profondo, avessi paura di dimenticare. Anche tutti i brutti momenti vissuti ora mi sommergono di nuovo portandosi il dolore ormai così familiare. Non voglio che il dolore sia familiare: perché dovrei abituarmi al dolore? Non voglio che diventi parte persistente di me. Eppure quello che sento ora è dolore: ma quasi non mi accorgo di provarne. Non voglio che il dolore diventi familiare, e non voglio neanche smettere di provarne. Il dolore è qualcosa che ti fa stare male ma che allo stesso tempo ti aiuta rendendoti più forte. Eppure non credo di essere pronta a provarne ancora. Non voglio identificarmi col dolore, non voglio provarne altro, non voglio smettere di provarne. Ed è chiaro che non so più cosa voglio. A questo punto credevo avrei dovuto dimenticare tutto quanto, senza esclusioni; anche se a pensarci bene, non mi sono mai davvero soffermata su cosa dovesse succedere ora. Forse mi sono sempre immaginata solo bianco, che tutto finisse in una calda luce. Invece sono qui, sospesa a milioni di metri da terra, a guardare il mondo da lontano.

Poi la vedo: Sara. Coi suoi lunghi capelli biondi, il suo naso all'insù, i suoi occhi verdi, le sue mani screpolate, il suo timido sorriso... Immagini con cui sono cresciuta, in un tempo lontano ma che ora sento tremendamente vicino. Ripenso a quello che ci piaceva fare di più: mangiare un gelato, bere una cioccolata calda, travestirci da principesse, studiare insieme riuscendo a trovare sempre un motivo per poter fare una pausa e parlare per ore del nostro libro preferito. Forse è per questo che sto così male. Perché mi manca lei. Mia sorella. È così che ci si sente a questo punto? Forse non mi ci sono mai soffermata a dovere, ma di questo sono certa: ho sempre immaginato una grande pace pensando a questo momento; eppure io non sento pace; solo inquietudine e malinconia. Vorrei piangere, ma anche se mi sento gli occhi bruciare, so che non scenderà nessuna lacrima, è come se avessi perso la mia occasione. La mia occasione per piangere.

Perché? Perché non sono come tutti gli altri? Perché quando tutti avevano paura, io non ne ho avuta? Quando ero piccola chiudevo gli occhi se compariva la strega cattiva, perché sono cambiata una volta cresciuta? Mi ricordo bene dei cartoni che guardavo con Sara: Biancaneve moriva, e con il bacio del principe ritornava in vita, Aurora cadeva in un sonno perenne, e con il bacio del principe si risvegliava....

Anche io sono caduta in un sonno perenne, ma non è venuto nessuno a riportarmi in vita.

Mi ritrovo a pochi centimetri da Sara: sembra che qui lo spazio e il tempo non seguano una logica. Sembrano passati anni dall'ultima volta che l'ho vista veramente ma mi rendo conto che sono passati solo pochi giorni. Il poco tempo che è passato glielo si legge in faccia: i rari sorrisi che rivolge ai passanti sono spenti, lo sguardo è perso e rassegnato, rassegnato a non vedermi più. Per strada riconosco gli abitanti del quartiere, poi riconosco Gabriele, seduto sulla panchina, affiancato da Marco. So che nessuno di loro può vedermi e mi torna quella voglia di piangere che non riesco in nessun modo a soddisfare. Sara li raggiunge, con le mani in tasca. Silenzio. Nessuno dice una parola. Finché davanti a loro non si staglia la figura di Chiara, con la sua lunga treccia scura. Inarca gli angoli della bocca nel tentativo di sorridere, riuscendo ad ostentare solo una piccola smorfia. Rimangono in silenzio per altri secondi. Nessuno di loro sembra preoccuparsene, sono tutti immersi nei loro pensieri, lo sguardo basso, la fronte corrucciata, il sorriso inesistente... Non avevo mai visto i miei migliori amici così tristi, così assenti e così persi, come se mancasse loro qualcosa. Vorrei che Marco parlasse. Qualsiasi cosa va bene. Perché questo silenzio sta diventando opprimente e insostenibile per me. Qualsiasi cosa dicesse, Marco riusciva sempre a tirare su il morale della compagnia. Era il pagliaccio logorroico del gruppo, una di quelle persone che non ti aspetteresti mai di vedere triste o senza parole. Eppure eccolo lì, seduto con lo sguardo fisso nel vuoto. Uno degli ultimi soli estivi splende sulla città, incurante dell'atmosfera cupa. Sembra che si prenda gioco di noi, non preoccupandosi della mia morte e non interessandosi ai pensieri pesanti dei miei amici.

La domanda più grandeWhere stories live. Discover now