From A Dot Started The Infinity

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A chi deve scrivere dell'amore, per continuare a crederci xx



Noi eravamo infinito. Io ora sono solo finito.

Harry aveva riletto quella frase almeno cinquanta volte dall'inizio di quella giornata, una per ogni passaggio in quella parte del suo locale in Lexington Street. L'unico motivo per cui aveva deciso che gestire un bar non fosse un sogno di ripiego così pessimo era stata solo la voglia di renderlo speciale. Così aveva messo a disposizione dei clienti matite, pennarelli e addirittura marker, di modo che in qualsiasi momento potessero marchiare i muri di quel posto con le loro sensazioni, con parti della loro vita e, perché no, della loro anima. Solo non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. In poco più di un anno di attività, già tre quarti delle pareti erano state modificate dal passaggio della gente e delle loro storie, rendendo un anonimo bar in centro a Londra un raccoglitore di pezzi di umanità. E Harry si era innamorato di tutto questo.

Ripassò la mano sull'angolo vagamente tagliente a causa dell'intonaco che le due pareti compivano prima di dare accesso all'area più appartata del locale: era lì che lo sconosciuto aveva deciso di tracciare quelle parole con un marker nero, utilizzato nella parte più sottile. La grafia era un poco infantile, nessuna inclinazione particolare, uno script quasi perfetto se non per una certa difficoltà nel completare del tutto il segno delle singole lettere, lasciando che si accennassero appena, come se l'autore avesse paura che potessero essere troppo visibili. L'aveva scovata per sbaglio, mentre raccoglieva da terra una serie di tovaglioli sporchi: era giusta all'altezza del tavolo più vicino, di modo che solo accucciandosi si potesse notare. Ma soprattutto, Harry ne poteva leggere unicamente la prima parte dal lato di muro in cui era lui e solo spostandosi dall'altra parte della parete aveva scorto il resto. Ed aveva smesso di respirare.

Ne aveva lette parecchie di dichiarazioni di un amore che sarebbe stato eterno o di vere e proprie invettive su un amore che era stato solo dolore e nient'altro. Ma questa era diversa. Aveva dentro di sé una tale disillusione e una così potente sofferenza che gli fecero salire un nodo alla gola, colpendolo in tutta la loro veridicità. Insieme erano universi infiniti, ma ora, divisi in singole entità chissà quanto lontane, non erano altro che piccoli mondi finiti, conclusi in loro stessi. E lui o lei, si sentiva finito. Terminato. Forse addirittura emotivamente morto.

Harry accarezzò ancora una volta quelle parole davvero pesanti, lo fece con la delicatezza delle sue mani che si ostinava a descrivere come "ossute", potendo quasi percepire la sofferenza di ogni lettera e si diede dello stupido per quella sua tendenza da eterno bambino di innamorarsi di qualsiasi cosa. Quindi si costrinse a tornare con i piedi per terra e riprese a lavorare, gettando di tanto in tanto uno sguardo all'angolo di quella parete.


L'aveva visto. Louis aveva visto che un cameriere di quel bar dove si era rifugiato quasi dieci giorni prima per non rischiare di disintegrarsi in mille pezzi per strada, aveva letto la sua frase. Quella che aveva scritto non sapeva bene nemmeno lui perché sul muro al suo fianco, lo stesso che l'aveva sorretto mentre lasciava che un esercito di lacrime cancellasse definitivamente ciò che c'era stato di loro.

La vetrina del locale scomparve davanti ai suoi occhi ormai profondi come un mare in tempesta e fu sostituita dalle immagini delle mani di Oliver sul viso di un altro. Le loro bocche che si scontravano e si assaggiavano senza sosta, senza lasciargli il tempo di capire che tutto fosse davvero sul punto di finire. Quello era successo quando il suo migliore amico di sempre, quello che l'aveva aiutato a capire chi fosse, l'unica persona che avesse mai amato si era voltato nella sua direzione e l'aveva squadrato da testa a piedi come fosse uno sconosciuto. Un giocattolo rotto. Ed era così che Louis si era sentito mentre correva fuori dal loro appartamento, lo stesso che avevano deciso di arredare senza nessun gusto particolare ma lasciando che parlasse di loro come individui, che si erano scontrati, poi incontrati ed, infine, uniti. Erano (o forse, pensò Louis, era meglio dire "erano stati"), un noi davvero meraviglioso, fatto di infiniti universi che si confrontavano e mescolavano ogni volta, rendendo la loro relazione una qualcosa di unico. Ma mentre era corso via da quell'appartamento ormai privo di significato, Louis si era sentito uno stupido ed ogni pezzo del suo corpo di giocattolo aveva cominciato ad ammaccarsi irreparabilmente. Così era entrato al The Dot per non rischiare di sfaldarsi del tutto lungo le strade di una città che in quel momento faticava anche a riconoscere. Si era seduto su un tavolo qualsiasi e aveva ordinato un Yorkshire tea, senza probabilmente rendersene nemmeno conto. Non aveva guardato nemmeno la ragazza che gliel'aveva portato, perché tutta la sua attenzione era concentrata su un marker nero abbandonato in mezzo al tavolino di legno su cui si era letteralmente accasciato. Le braccia incrociate e la testa appoggiata pesantemente su di esse, il ciuffo di capelli castani a coprirgli gli occhi, abbastanza da nascondere al mondo le lacrime che gli scolpivano il viso, ma non a sufficienza da proibirgli la vista di quell'oggetto abbandonato. Come lui.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 18, 2019 ⏰

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