4 CAPITOLO-SPERARE FINO A CREDERE

42 3 0
                                    

Quella mattina di venerdì mi svegliai abbastanza assonata, la sera prima sono rimasta sveglia per ripassare fisica, non era di compito ma da brava alunna che ero mi piaceva portarmi avanti.

Il venerdì era un giorno del mese di Marzo, fuori non faceva freddo, mi svegliai col riflesso del sole sul muro, alzandomi dal letto però sentii lo stesso un brivido di freddo salire su per le gambe, alla mia sinistra trovavo tutte le mattine le mie pantofole a forma di orso, mamma me le aveva comprare in un mercatino a Roma, non mi facevano impazzire ma devo dire che tenevano molto caldo. Presi la strada verso il bagno, ovviamente occupato da mio papà; fino a due anni fa potevo trovarlo occupato principalmente da mia fratello ma da quando è partito per Londra nessuno ne lo vede ne lo sente più, mi mancava davvero un sacco.

Dato che al bagno per una mezz'oretta era impossibile andare decisi cosi di scendere e fare colazione, la mamma come tutte le mattine me la faceva trovare pronta, non sapendo cosa mettere misi le prima cose che mi capitò in mano, come al mio solito insomma, un filo di eyeliner e grazie al passaggio in macchina della mamma arrivai a scuola in tempo: "ricordati che oggi alle tre vieni con me al centro di recupero" mi disse la mamma allungandosi verso la portiera, non gli risposi e non gli feci nemmeno alcun tipo di cenno la mia risposta non avrebbe cambiato le cose, non avevo scelta.
5 ore passarono in fretta: due di fisica, una di storia, una di matematica e una di letteratura.

Suonata la campanella presi la corriera facendomi lasciare davanti a casa.

Mi preparai un panino velocemente cosicché da riuscire a fare anche i compiti di matematica.

Erano le 14:50, sentii chiudere la porta dell'ingresso e la voce della mamma proseguire ad essa, mi misi così il giubbotto beige ed entrai in macchina.

Non sapevo dove fosse il centro, quindi per me era tutta una cosa nuova, non sapevo come fosse fatto oppure se c'era gente buona o cattiva, ma tutto ciò non mi preoccupava perché sapevo che al mio fianco avevo la mia mamma che mi faceva sentire al sicuro.

Il suo esterno era molto inquietante, ma il suo interno non lo era da meno l'aria pareva molto cupa e deprimente. All'entrata la prima cosa da vedere era sicuramente la reception, un bancone e una parete in vetro, di fianco un'altra porta completamente recintata da cui si entra ufficialmente dentro l'edificio, circondato però dal metal detector, credo che nemmeno in una prigione ci siano tutti quei controlli, passandoci attraverso sfiga vuole che con me doveva suonare, presa dal panico mi guardai subito intorno e un ragazzo in fondo alla porta si mise a ridere, non ci diedi peso conoscendo il posto mi aspettavo qualche persona malata, mi tolsi la cintura cosi da passare senza problemi.

Entrando incontrammo una responsabile , il suo nome era Rebecca basandomi dalla sua mano sinistra e l anello al dito era sposata, sembrava gentile. Mi accompagnò nella sala da ballo e se andò lasciandomi da sola in quel luogo cosi grane ma piccolo allo stesso tempo. Le tre pareti erano ricoperte di specchi, e l unico mobile teneva in piedi l'impianto audio, decisi per cui di provarlo, chiusi la porta anche se inutilmente-le pareti erano trasparenti-volevo provarne l'ebrezza, volevo ballare un'altra volta su un parquet in legno cosi lucido e liscio, come traccia optai per "Pitbull-el taxy" amavo quella canzone mi faceva sorridere ogni volta che la ballavo, schiacciai play, guardandomi allo specchio i passi venivano da sé. Al minuto 2:16 mi accorsi che un ragazzo da fuori mi stava fissando da un po' e quando mi girai si mise a ridere, guardandolo due volte mi accorsi che era lo stesso ragazzo di prima decisi per cui di uscire e farmi dare spiegazione del perché del suo comportamento:" mi spieghi cos'hai sempre da ridere, che c'è ti fai di nascosto? se pensi di esser furbo, tranquillo che sei anti sgamo" gli dissi alzando la voce, non so perché glielo chiesi in quella maniera, poteva avere qualsiasi cosa ma è stata un azione istintiva "dolcezza ti sbagli non sono ne fatto e non ti stavo nemmeno spiando, non avrei il motivo. Ragazze come te le vedo tutti i giorni" me lo disse con un tono molto arrogante e antipatico ma allo stesso tempo la sua voce era così sensuale, persa nei suoi occhi verdi gli risposi con la stessa moneta: "io non le vedo tutte queste ragazze, dove le nascondi? Nella tua immaginazione?" Il suo viso cambiò del tutto forma facendo uscire solo un sorriso malizioso, gli avrei sputato in un occhio se fossimo stati in un altro tipo di ambiente, ma decisi di andarmene dirigendomi verso la porta nella sala da ballo, mi girai di schiena e a testa alta cominciai con dei stiramenti e a fare del riscaldamento.

ROMANZO-Free And ChangedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora