Capitolo 6

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Justin.
Erano passati ventotto giorni di ansia pura da quando ero stato in questa stanza tetra del palazzo dell'assistenza sociale. I clown e gli elefanti disegnati sul muro dovevano ispirare allegria, ma più li guardavo, più mi mettevano angoscia. Me ne stavo seduto su una sedia pieghevole, teso all'inverosimile e con i due pacchetti regalo in mano. Non mi serviva certo tutto questo per ricordarmi quanto fosse incasinata la mia famiglia. Una volta la mia sorellina e il mio fratellino erano la mia ombra, veneravano il terreno su cui camminavo. Adesso non ero sicuro nemmeno che Jaxon si ricordasse il nostro cognome. Mi sentivo come un pupazzo a molla imprigionato nella scatola, pronto a scattare. L'assistente sociale avrebbe fatto meglio a portarmi Jaxon e Jazzy, prima che mi venisse un attacco di nervi. Per qualche strano motivo, mi tornavano alla mente Sky e il suo piede dondolante. Doveva essere stata ferita almeno il doppio di me.
La porta si aprì, e scattai subito in piedi con i regali ancora in mano. Jazzy corse ad abbracciarmi. Mi arrivava allo stomaco, ora. Lasciai i regali sul tavolo, mi chinai alla sua altezza e la strinsi forte fra le braccia. Avrei giurato che il cuore mi fosse appena sprofondato... era così cresciuta...
La mia assistente sociale, una donnona cinquantenne di colore, si fermò alla soglia.

"Ricorda, niente domande personali sui genitori affidatari. Sarò dall'altra parte di quel vetro a specchio."

Guardai malissimo Keesha. Lei mi volse la stessa occhiataccia, prima di uscire. Almeno l'odio era reciproco. Dopo aver colpito il mio padre adottivo, il sistema mi aveva etichettato come emotivamente instabile e avevo perso il diritto di vedere Jazzy e Jaxon.
Jazzy mormorò contro la mia spalla.

"Mi sei mancato, Bibo."

Mi feci indietro per guardare Jazzy.

"Mi sei mancata anche tu. Dov'è Jaxon?"

Jazzy guardò a terra.

"Sta arrivando. Mamma... voglio dire."  balbettò. "Carrie gli sta parlando in corridoio. È un pò nervoso."

Riprese a guardarmi negli occhi, preoccupato.
Abbozzai un sorriso e gli arruffai i capelli.

"Nessun problema, sorellina. Verrà quando si sentirà pronto. Intanto, ti va di aprire il tuo regalo?"

Jazzy sorrise in un modo che mi ricordò tanto mamma, e annuì. Gli passai un pacchetto e lo osservai mentre scartava la scatolina con le venti bustine di carte delle principesse. Si sedette per terra, senza far caso a me, aprendo ogni busta e spiegandomi di tanto in tanto qualche dettaglio sulle carte che gli interessavano di più.
Guardai l'orologio e poi la porta. Avevo a disposizione così poco tempo con loro, e quella stronza stava trattenendo Jaxon. Avevo rassicurato Jazzy che era tutto a posto, ma non lo era per niente. Jaxon aveva appena due anni quando avevamo perso i nostri genitori. Avevo bisogno di ogni minuto possibile per aiutarlo a ricordarsi di loro. Ma chi cazzo credevo di fregare? Avevo bisogno di ogni minuto possibile per aiutarlo a ricordarsi di me.

"Come vanno le cose con Carrie e Joe?" Cercai di suonare disinvolto, ma era una domanda che mi metteva ansia. Dopo l'esperienza diretta con dei genitori affidatari di merda, avrei ucciso chiunque avesse trattato Jazzy e Jaxon come quella gentaglia aveva trattato me.
Jazzy suddivise le carte in varie categorie.

"Bene. A Natale ci hanno detto che possiamo iniziare a chiamarli mamma e papà, se ci fa piacere."

Porca puttana. Serrai il pugno e mi morsi a sangue l'interno della guancia.
Jazzy staccò gli occhi dalle carte per la prima volta.

"Dove stai andando, Justin?"

"A prendere Jaxon." Mi restavano solo quarantacinque minuti. Volevano giocare sporco? Bene, potevo farlo anch'io.

Together. ||Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora