Silenzi e dissensi

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La sera prima dell'esame ero a casa a studiare.
Mia sorella era uscita dall'ospedale da una settimana e si era accampata in camera sua, non voleva mai stare in salone. Lei non disse mai il perché, ma lo capimmo tutti.
Nessuno di noi aveva dimenticato che mio fratello, quando uscì dall'ospedale la prima volta, si sistemò lì in salone.
Mamma quella sera non c'era, non ricordo bene dove fosse. Credo fosse invitata a cena da khalti. In realtà tra di loro non esistevano inviti ufficiali, semplicemente se capitavi per caso stavi a mangiare.
Jawad, invece, era buttato sul divano a guardare la TV. Era giú di morale quei giorni, non si ricordò neanche dei miei esami. In realtà nessuno lo fece.
Mamma probabilmente non sapeva neanche fossi stata rimandata e io non glielo dissi. Non avrebbe capito neanche cosa significasse e io non cercai mai di spiegarglielo.
Nella mia famiglia aveva sempre funzionato così. La scuola è un po' un fatto tuo. Se non studi, se non vai, se ti bocciano ci perdi solo tu. Mia sorella e mio fratello a fatica ricordavano che classe facessi, quell'anno andava meglio solo perché sapevano fosse quello prima della maturità.
Nessuno in realtà si preoccupò che potessi non passare quegli esami. Erano tutti convinti non fossero un problema per me. Beh, probabilmente non lo furono. Ma quella sicurezza in me, la sentivo come un peso addosso.
Sentivo di avere troppe responsabilitá. Di dovermi impostare la sveglia da sola per andare in biblioteca la mattina. A volte sognavo il lusso di spegnere la sveglia e tornare a dormire spensierata, perché tanto ci sarebbe stata una mamma che mi avrebbe buttato giù dal letto e intimato di studiare.
Spesso avrei voluto poter essere davvero superficiale. Avrei voluto lasciare a mia mamma il mal di pancia di ricordarmi di fare i compiti, di andare a pagare il bollettino di iscrizione o di andare a comprare il materiale scolastico.
Ricordo che quando trascinavo mia sorella alla consegna delle pagelle, mi chiedevo sempre perché le persone davanti a me rimanessero sempre così tanto a parlare con i professori. Quando entravo io, invece, prendevamo la pagella, mia sorella firmava e uscivamo. Lei ci dava un'occhiata e finiva lì. A volte spiaccicava un brava, ma per lei non serviva. Mi aveva sempre detto che era un mio dovere, che era qualcosa che facevo per me stessa. Mi ripeteva che non dovevo mai fare le cose per un riconoscimento.
Ricordo ancora quando i miei compagni erano in ansia per una verifica, quando chiedevo, dicevano che se avessero presero un brutto voto sarebbero stati messi in punizione. Non lo capivo, in realtà.
Non capivo se fosse un mio lusso il fatto che, quando mia sorella mi veniva a prendere alle elementari, durante il tragitto non parlavamo di come fosse andata la mia giornata di scuola, ma da quanto papà fosse sano di mente quel giorno. Tornare a casa era sempre una sorpresa.

Zzzzzz zzzzzz
"Ehi donna. Tu. Me. fuori?"
-Ehi man, scusa se ti privo della mia compagnia, ma devo studiare-
"Non si studia la notte prima degli esami. Se proprio non vuoi uscire, vieni da me e ci guardiamo un film. C'è anche Ilham se vuoi"
-Arrivo, a dopo-

La cosa positiva di quella storia era che fosse il fratello di Ilham, perciò potevo andare a casa sua quando avessi voluto.
Ci guardammo "V per vendetta".
Adoravo quel film, ogni volta che lo riguardavo capivo un altro aspetto che la volta precedente mi ero persa.
Quel film mi ha sempre fatto ragionare su quanto siamo disposti a sacrificare per le nostre idee e, soprattutto, su quanto fossimo disposti a farci odiare da qualcuno per far del bene.

La mattina dell'esame mi alzai presto. Troppo presto forse. Ero così io. Ero una perenna ritardataria nei giorni normali, ma il primo giorno di scuola o quando dovevo fare qualcosa di nuovo ero sempre in anticipo.
Decisi di arrivare anche prima a scuola, per evitare guasti dei pullman. Calcolai il tempo in modo da poterla fare a piedi in caso di " inconvenienti".
Dissi a tutti di avere l'esame alle dieci, ma che tanto non volevo nessuno.
L'esame, in realtà, ce l'avevo alle nove, ma sapevo che qualcuno, nel tentativo di fare una sorpresa, sarebbe venuto comunque. Ho sempre creduto che le persone quando fanno ste cose, in realtà, non cercano di capire cosa potresti volere, semplicemente fanno ciò che loro vorrebbero. O forse sono io ad essere complicata.

"Se la collega non ha altro da chiedere, per me va bene così"

Per un po' la mia prof di chimica rimase in silenzio. Aveva i capelli biondi a caschetto e un viso segnato. Nonostante il debito, legittimo, le volevo un gran bene.
Quando si decise a parlare, disse che non aveva altro da chiedere.
Il mio esame era andato bene e dopo quel congedo, finalmente, mi sentii rilassata. Era come, o forse era davvero così, avessi tenuto i muscoli e i nervi in tensione fino ad allora.
Per la prima volta da quando mi ero seduta, mi girai.
Per tutto il tempo non mi ero voltata verso le siede degli ascoltatori, perché sapevo di non aver invitato nessuno e di aver dato l'orario sbagliato a tutti quelli che si erano autoinvitati.
Trovai Hamza seduto lì.
Lo guardai con sorpresa, o forse disaccordo, perché mi fece un sorrisino malefico.
Lui non mi aveva chiesto neanche l'ora, perciò eroo convinta non volesse venire. Mi dissi che semplicemente avrebbe preferito dormire in una mattina di fine estate che rientrare in una scuola.

"Come hai fatto?"
-"Beh, sapevo non mi avresti dato le informazioni giuste, perciò semplicemente non te le ho chieeste. C'era il quadro orario sul sito della scuola. Non ti ho detto nulla perché non volevo sapessi fossi là dietro a guardarti. Comunque sei stata bravissima"

Rimase lì a fissarmi. Aveva un sorriso contagioso e sembrava quasi fiero di me.
Si avvicinò e mi diede un bacio sulla fronte.
Mentre le sue labbra erano poggiate sulla mia pelle sussurrò qualcosa.
"La mia donna", credo.
Non ero sicura. Non glielo chiesi e non capii mai perché ebbi paura di farlo.
Però quella frase fu importante per me.
Ero sua.

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