Ricordi dal passato

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Da piccolo giocavo all'investigatore con mio fratello Alan. Ci divertivamo davvero tanto. Quanto rimpiango quei tempi: stavamo in giro tutti i giorni, mangiavamo il gelato e alla sera, stanchi, ritornavamo a casa dove ci aspettava la mamma con qualcosa di buonissimo da mangiare. Papà scherzava e rideva sempre e ci portava a letto quando volevamo noi. Eravamo una famiglia felice.
Dopo la scomparsa di Papà non lo siamo stati più.
La mamma ha comunque continuato a prendersi cura di noi, ma dopo siamo diventati autonomi e non ce ne fu più bisogno.
Perciò la mamma si uccise.
Solo una lettera lasciò, nel suo comodino, dove diceva che le dispiaceva molto per quello che stava per fare, ma che non riusciva più a vivere con quel dolore in cuore.
Nient altro lasciò. Solo quella lettera, che col tempo si perse.
Ma, adesso, non porto rancore in cuor mio, ho dimenticato quelle vicende, e non voglio ricordarle.
Il problema è che quando vengo in questo posto, è impossibile non ricordare.
Sono davanti la caserma della polizia. L'edificio in cui la mamma usciva disperata, piangendo, in cerca di qualche notizia su papà. Ma la polizia sembrava fregarsene, le ricerche avvenivano raramente, sembrava che avessero paura di quello che potevano trovare. Molte volte la mamma andò di sua iniziativa a cercare papà.  Nei boschi, nei paesini vicini, andava anche a domandare di porta in porta.
Ma niente.
Papà non fu più ritrovato,  i poliziotti persero le speranze, e lo fecero passare per morto. Tutti naturalmente dimenticarono il fatto di cui si era tanto parlato, e continuarono la loro vita. Ma la mamma lo sapeva che non era morto. Lo sapeva Alan,lo sapevo io.

Dove ero arrivato? Ah si, ho detto che mi trovo davanti la caserma dei carabinieri e che non voglio ricordare.
Ma ho solo bisogno di parlarne, e questo taccuino è l'unica cosa con cui posso confidarmi. Non è che abbia così tanti segreti ,però, io, come la gente pensa.

Dopo la morte della mamma io ed Alan ci ritrovammo da soli. Ma ce la cavavamo. Cercavamo di nascondere la malinconia il più possibile, e ci riuscivamo, eravamo in grado di mantenere la pace e la tranquillità in quella casa, quella casa che di tranquillità non ne aveva mai avuta.
Un "bel" giorno la polizia entrò in casa nostra e ci portò via. Ci dissero che ci avrebbero affidato ad un orfanotrofio, e così fecero: ci portarono in un edificio antico, che puzzava di cadavere. Era gestito dalle suore, che non erano così male in fondo. Ci davano da mangiare due volte al giorno: a pranzo e a cena. Ci lavavano, ci vestivano e ci facevano pregare alla mattina e alla sera. Ci trattavano bene. Ma quella puzza di cadavere era nauseante,la notte non riuscivamo a dormire. Nonostante lavassero le stanze ogni giorno, quella puzza rimaneva, non voleva andare via. Pareva che lavassero così costantemente solo per levare quell'odore orribile.
Un giorno degli ispettori andarono a controllare l'orfanotrofio, un controllo veloce, doveva essere. Ma gli ispettori si fermarono davanti lo zerbino. La puzza di cadavere fu la prima cosa che percepirono. Ispezionarono tutte le stanze. Entrarono anche nella nostra. Guardarono sotto i letti. Sentirono un debole gemito. In effetti io e mio fratello sentivamo spesso quel gemito, ma pensavamo provenisse dai letti scricchiolanti. E invece proveniva  dal muro.   Iniziarono a staccare la carta da parati, iniziarono a rompere il cemento e così via, fino ad arrivare ad una sorpresa rivoltante.
Cadaveri.
Tantissimi cadaveri.
Ad alcuni mancava la testa. Ad altri le braccia. A chi mancavano gambe, a chi braccia e gambe. Chi aveva il cuore sfracellato, chi i polmoni, chi il cervello.
Poi c'era un uomo, che emetteva gemiti. Ecco da chi provenivano. Era in fin di vita. Non appena lo misero sul letto, l'uomo morì.
Le suore vennero arrestate,
l'orfanotrofio venne chiuso e demolito.
Io ed Alan andammo a vivere per strada, chiedendo l'elemosina.
Un giorno una coppia abbastanza anziana ci accolse molto gentilmente in casa loro. Non appena entrai nella casa, mi terrorizzai di brutto, mentre Alan, era felice e iniziò a frugare nel frigo.

Però, passammo dei giorni felici con quei signori, che io chiamavo con i loro nomi: Jennet e Joseph. Non avrei mai potuto chiamarli mamma e papà, i miei veri genitori erano morti, e sicuramente non li avrei mai rimpiazzati. Alan invece li chiamava tranquillamente mamma e papà, ed era molto affezionato a loro. Io ero più distaccato. Alan è sempre stato così, vivace, estroverso...e si affezionava facilmente. Per lui era facile dimenticare.
Per me no.

La coppia morì nel giro di 5 anni. Io avevo 18 anni, ed Alan ne aveva 21. Eravamo ormai adulti, e.....è inutile dire che non ci dispiaceva. Solo, che fummo forti, e cercammo di essere seri.
Per me fu facile, per mio fratello un po' meno, visto che per tutto il funerale pianse.

La coppia morì insieme, per vecchiaia, nello stesso giorno.

Dopo la loro morte io andai a vivere a Chicago, ovvero la mia città natale. Dove ho vissuto la mia Infanzia con i miei veri genitori, e mio fratello.
Mio fratello, dunque, dopo il giorno del funerale, non si fece più vivo. Decisi di non far sapere nulla a nessuno. Se me lo chiedevano, rispondevo che si era stabilito fuori, per lavoro.

Da quel giorno io non ho più una famiglia, e non mi frega di costruirne una.

Bene! Spero che la storia vi stia facendo incuriosire.....ho in serbo cose stupende per voi. Ringrazio tutti quelli che votano la storia!

Questo capitolo lo dedico a:
LunaGranger1
ed a
MonicaGarraffa

MurderedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora