PARTENZE

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E un'altra giornata stava per cominciare dal finestrino di un treno in partenza.
Milano era avvolta da una cortina di nuvole basse che lasciavano presagire pioggia. Mi sentivo come questa città, che dopo mesi di siccità ha bisogno di acqua per dissetare l'arido suolo e lavarsi dallo smog cittadino.
Un altro treno sostava in stazione e la folla si accalcava per salire, ognuno perso dietro alle proprie occupazioni.
Osservando la città che lasciavo alle spalle, pensavo al passato, come sempre, ma lo sferragliare del treno sulle rotaie mi lasciava intravedere il futuro, che per ora era la mia casa in campagna, gli odori a me consueti e l'abbraccio del mio unico figlio, adorato più della stessa vita.
Era cresciuto un pezzo negli ultimi mesi: alla lanugine si era sostutuita un barbetta ispida e i suoi occhi si erano fatti più riflessivi e calmi.
Gli impegni di lavoro mi avevano distratto dal mio ragazzo, che nel frattempo cresceva, si faceva uomo e avvertivo un certo disagio nel guardarlo. Somigliava molto a suo padre, anche se nello sguardo acuto e indagatore rivedevo me stessa.
Mi faceva paura a volte, perché pensavo che da quel modo di osservare gli altri sarebbe dipeso il suo futuro.
Più volte avevo avuto la pretesa di leggere e intuire delle vite altrui e più volte mi ero sbagliata compromettendo anche dei rapporti e non avrei mai voluto che il mio Giona cadesse nelle mie stesse trappole.

La pioggia aveva preso a battere insistentemente sui finestrini, oscurando il paesaggio fatto di campi, anche se alcune palazzine ancora resistevano ai miei occhi. Qualche galleria mi lasciava al buio, in un black out che avrei voluto anche per me, per non sentire, per non avvertire la mia sensibilità sovraesposta.
Mio marito se ne era andato, aveva preferito l'altra e un bel giorno aveva preparato le valigie e mi aveva detto - :" È finita. Non possiamo continuare così. Fattene una ragione." -
A che sarebbe servito piangere e urlare : " Non puoi farmi questo, io ti amo e credevo che anche tu, non puoi lasciarmi, abbiamo un figlio, che ne sarà di noi..." A nulla, e quindi ero rimasta impietrita a guardarlo andarsene e credo di aver pensato che si stava portando via la mia vita. Tutta quanta.
Per ore non ero più riuscita a pensare oppure i pensieri erano talmente tanti da affastellarsi l'un l'altro e non permettermi di ragionare. So che quando il cellulare mi ha riportato alla realtà devo aver risposto non so cosa a mio figlio, che mi avvisava che sarebbe arrivato a cena con un amico.

- " Ho lasciato una lettera a Giona " furono le ultime parole sussurrate da Marco prima che la porta di casa separasse i nostri corpi e le nostre anime. - " L'ho lasciata in camera sua, sul letto ".
- " Bastardo!" - Ho pensato. " Nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi e dirgli :" Figlio mio, lascio la tua mamma, non volermene...che so, qualcosa, qualunque cosa, ma guardandolo negli occhi. Pusillanime uomo di merda . - Credo di aver detto sottovoce.
Ed ora cosa dico al sangue del nostro sangue, come gli dico che suo padre ha preferito andarsene con un'altra invece che resistere qui con noi, con la sua famiglia.
Corsi in camera e prima che Giona arrivasse presi la lettera e me la misi in tasca. L'avrei letta dopo, sempre che ne avessi avuto il coraggio.
Andai in bagno e mi guardai allo specchio. Ero sempre la stessa, anche se dentro il cuore stava andando in frantumi e non capivo come riuscissi a respirare, a muovermi, a pensare.

L' allegria di Giona e del suo amico erano come un gesso che stride sulla lavagna del mio spirito, ma non potevo dire loro di andarsene, che volevo stare sola, sdraiata a fissare il vuoto e a maledire me stessa per non essere riuscita a tenermi mio marito.
Le domande di prassi avevano cominciato a macinare nel mio cervello e l'autolesionismo si stava impossessando di me infliggendomi un'ulteriore tortura.
- " Se avessi fatto, se avessi detto, avrei dovuto accorgermene" - e la solita tiritera senza senso.
Con il tempo avevo capito che era perfettamente inutile cercare di darsi delle risposte. Non ci sono vittime e carnefici : le cose succedono e lambiccarsi il cervello sarebbe servito solo a farmi ancor più del male e poi ho smesso di soffrire: l' ho fatto anche per Giona. Lui merita una madre felice.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 26, 2016 ⏰

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