Prima traccia

29 2 1
                                    




"Per me si va nella città dolente
Per me si va nell'eterno dolore
Per me si va fra la perduta gente
Giustizia mosse il mio alto fattore
Fecemi la divina podestate
La somma sapienza, il primo amore.
Lasciate ogni speranza o voi che entrate"
Dante Alighieri- Inferno, canto III

Linsday sospirò, infilandosi in fretta e furia il pigiama, sperando di porre il prima possibile fine a quella giornata che, se era iniziata male, era finita anche peggio. Quel ragazzo, Cedric, il suo vicino di armadietto, continuava a tormentarla affinché uscissero insieme uno di quei sabati sera, ma non capiva che Linsday Rose, i sabato sera, li passava ad un pub ad ubriacarsi; nel tentativo di dimenticare, almeno una volta a settimana, chi fosse veramente.

Si sciolse i capelli corvini e si esaminò allo specchio. Erano cresciuti, ed ormai arrivavano quasi a sfiorarle le spalle. Probabilmente la ragazza li avrebbe tagliati a breve nel solito caschetto, che oramai si portava dietro da anni.

Scoprì il letto e si sistemò per dormire, sperando che i farmaci che prendeva da anni facessero effetto un'altra notte ancora, affinché potesse dormire tranquilla.

La sveglia suonò e, come ogni mattina, venne bestemmiata da Linsday. Ma appena aprì gli occhi, la mora si accorse che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella mattina. Era sicura di aver lasciato le tende aperte, quindi perché non entrava luce? Guardò la sveglia, pensando che si trattasse di un errore, magari era andata in corto.

Niente. Segnava le 7:30 del mattino, l'ora alla quale era solita alzarsi la giovane. Non appena si alzò, si diresse verso la finestra, e notò qualcosa di ancora più inquietante. Quella non era Los Angeles, anzi, sembrava molto più simile a New York, con i suoi grattacieli altissimi e le sue vie enormi.

Era tentata di uscire, per capire cosa stesse succedendo. Ma era davvero sicura? Era davvero in grado di andare incontro ad un mondo del quale non sapeva nulla?

Diamine, pensò fra sé e sé, lei era Linsday Rose! Lei non aveva paura di nulla, e poteva fare tutto. Si guardò allo specchio, notando che era rimasta con gli stessi vestiti che pensava di essersi levata ieri sera: una maglietta dei Guns 'N Roses, ed un paio di jeans neri. La ragazza si guardò allo specchio. Era ora di capire cosa le fosse appena accaduto.

Non appena uscì di casa, notò che il buio regnava indisturbato in quel luogo, dove il silenzio era interrotto solo dagli aliti di vento, i quali soffiavano indisturbati fra i palazzi di quella strana cittadina.

Linsday ormai camminava da qualche minuto, quando sul cigli della strada vide in lontananza apparire una figura, che cadde per terra come se fosse stata morta. Preoccupata la ragazza si avvicinò, ed inorridì non appena vide la siringa conficcata nel suo braccio. Era un tossicodipendente, ed era lì, steso per terra, probabilmente morto. Qualcosa dentro di lei la fece tremare. Il ricordo di quelle pasticche di cui abusava era fresco nella sua memoria, e quell'incontro non aveva fatto altro che riportarle alla mente la strada che stava intraprendendo. Sarebbe finita anche lei così? Sul ciglio di una strada, con un ago conficcato nel braccio? Scosse la testa impaurita. No. Lei si sarebbe controllata. Lei non sarebbe mai arrivata a quei livelli, mai.

Ancor sconvolta da quella visione, andò avanti. Non c'era anima viva. Sembrava quasi una di quei villaggi desolati dei film western. Sorrise fra sé e sé. Era tutto così assurdo. Ma i suoi pensieri furono interrotti da un suono, il primo che sentiva da quando si era avventurata per quella cittadina. Era una voce, anzi, a sentir meglio, erano due voci, che discutevano animatamente fra loro.

Linsday si fermò, quelle voci l'avevano attirata; probabilmente perché erano le prime che udiva in quello strano mondo. Si avvicinò ai due giovani, i quali sembravano non vederla, e continuavano a discutere. Il tema della lite non era molto chiaro alla giovane, aveva colto solo qualche ragione per la quale si era scatenato il putiferio, ed una di queste era l'indifferenza. La ragazza era indifferente nei confronti del ragazzo, il quale rinfacciava proprio questo alla sua interlocutrice.

Questo la colpì come un fulmine a ciel sereno. Anche lei peccava di indifferenza nei confronti di una persona che, sapeva benissimo, non le era affatto indifferente. I suoi ricci biondi la perseguitavano appena chiudeva gli occhi, e riconosceva la sua voce ovunque. Qualunque canzone ascoltasse, qualunque strumento suonasse, parlava di lui.

Ad un tratto vide il ragazzo davanti a lei andarsene, scappare da quella ragazza con cui si attaccava tanto, e qualcosa disse a Linsday che non sarebbe tornato mai più da lei. Sarebbe successo questo con Cedric? Lui si sarebbe stufato di lei, e l'avrebbe lasciata perdere, come i due ragazzi che aveva appena visto? Lei non voleva che finisse così tra loro due; si era affezionata a quel buffo ragazzo dagli occhi neri, che la seguiva ovunque lei andasse.

La mora si guardò intorno. Si sentiva persa in quel luogo, dove continuavano a regnare buio e silenzio.

Niente di tutto quel che vide la lasciò indifferente, ma fu un incontro quel che la vinse, anzi, più che un incontro era una vista in lontananza di qualcuno. Non era nulla di veramente spaventoso o significativo, erano solo tre persone, che camminavano per mano, illuminati dalla luce dei lampioni.

Qualcosa si mosse dentro Linsday. Erano una famiglia. Buffo come questa parola la facesse trasalire ogni volta, eppure lei era stata felice nella sua, o no? Almeno, vi era stata felice finché ci era stata, finché un ubriaco non li aveva presi in pieno sotto alla sua auto, rompendo così tutte le sue speranze. Sorrise al pensiero dei suoi genitori. Erano sempre stati fieri di lei, la figlia perfetta. Quell'epiteto la attraversò come se fosse stato un pugnale. Era ancora la figlia perfetta? I suoi genitori sarebbero stati ancora così orgogliosi di lei? Di quella figlia tossica e menefreghista che era diventata?

Le venne da piangere. Non doveva pensarci, non voleva farlo. Doveva solo andarsene da quel luogo, che era diventato troppo pesante per lei e per i suoi ricordi. Iniziò a correre per le vie, cercando un modo di uscire da lì, un modo che sembrava non esserci. Era intrappolata, prigioniera di un mondo onirico dal quale non sapeva se ne sarebbe mai uscita.

Mirrors on the ceiling
Pink champagne on ice
And she said
We are all just prisoners here
Of our own device
And in the master's chambers
They gathered for the feast
They stab it with their steely knives
But they just can't kill the beast
Last thing I remember
I was running for the door
I had to find the passage back to the place I was before
Relax said the nightman
We are programed to recieve
You can check out any time you like
But you can never leave
Hotel California- The Eagles

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 12, 2023 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Concorso WattpadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora