Deboli e deboli

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Non era da noi poltrire per intere giornate, ma la settimana precedente ebbe su di noi un effetto che deviò il corso del nostro futuro. Il signor Arnaldo, nostro direttore, era di ritorno dalla sua permanenza a Roma e lasciò a me l'incarico di mantenere l'ordine all'interno dell'azienda.

Quella mattina, la schiena mi faceva male più del solito. La notte prima mia moglie in preda alle crisi, mi cacciò dalla camera da letto, e trovai nel divano la mia cuccia. Quanto buio in salotto, e quanto ci si sente soli. Lontano dal calore, lontano dalle lenzuola riscaldate dai sonni pesanti di mia moglie.

Lavoravo nella sala macchine, addetto alla lavorazione della gomma, quelle che tutti si ritrovano sotto le suole delle scarpe dopo che qualcuno le ha ben masticate.

Mentre Tommaso Azzecchi, come suo solito, scaricava i pacchi in arrivo da torino, io con gran senso di responsabilità, imposto dall Boss, tenevo d'occhio il mio reparto. Tommaso era un tipo tosto, una moglie, tre figli e tante bollette a fine mese. Noi tutti eravamo dei tipi tosti, uno squadrone di morti di fame e sulle spalle il peso della famiglia da sostenere. Ognuno aveva la propria storia con un futuro ancora tutto da scoprire, per via dello stipendio sempre troppo basso. Era la stagione nella quale, fare programmi sarebbe stata una perdita di tempo. Ci limitavamo solamente alla pizza il sabato sera e l'affitto mensile che portava un tetto sulle nostre teste. Che miserabili.

Quando seppi della partenza del signor Arnaldo, avevo già previsto che qualcuno sarebbe stato incaricato di sorvegliare i lavori, ma rimasi sorpreso quando affidò a me l'incarico. Quella fù una giornata all'insegna della spensieratezza per tutti i dipendenti, non per me. Ricevevo continuamente messaggi e chiamate, la mia testa fumava e le labbra erano secche.

-Antonio tutto procede al meglio in azienda?-

- Si Signor Arnaldo, tutto al meglio.-

- Bene! Ricordati che la pausa pranzo dura venticinque minuti, non un minuto in più!-

-Non si preoccupi, sarà fatto.-

Ogni giorno la stessa storia, ne avevo fin sopra i capelli di tutte quella chiamate, stress e responsabilità.

La mattina del penunltimo giorno da responsabile, quando ancora dormivo sul divano e la luce non penetrava le tende del salotto, qualcuno bussò alla porta.

I ladri, pensai. Ma i ladri non bussano al limite entrano e basta. Con gli occhi spalancati andai in cucina e dal cassetto presi un coltello per tagliare il pane, con il cuore che schizzava fuori dal petto stringevo la maniglia della porta, con la destra il coltello, che tremava.

Aprii lentamente la porta e mostrai il coltello che brillava nel buio.

-Antonioo, aiutoooo! cazzo fai?- Era Tomaso Azecchi,lo scarica pacchi. Si presentò con gli occhi in lacrime, sbronzo e lercio.

- Tommasino, che diavolo succede?-

- Mia moglie!-

-Tua moglie cosa?-

-E' andata via di casa, mi ha abbandonato. Ha portato con se anche Rachele.-

-Non è possibile, non c'è alcun problema se oggi non vieni a lavoro, farò in modo di avvisare il signor Arnaldo.-

-Io non ho più niente. NIENTE.-

Povero Tommaso, amava tanto sua moglie e non poteva vivere senza la figlia.

-Ora entri dentro, e vediamo di risolvere la situazione.- Gli dissì io.

Tommaso aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse cercando se stesso in un fiume immenso di catrame.

-Tommasino! Tommasino! Rispondi!-

- Come faccio adesso?-

-Non preoccuparti tutto si risolve, credimi, possiamo chiamarla se vuoi.-

- Non è così, non conosci mia moglie, sono tre giorni che la chiamo.-

Cercai di capire a lungo per quale motivo la moglie se ne fosse andata, ma anche Tommaso pareva non averne la più pallida idea, oppure lo teneva per se. Mentre gli servivo un po' di tè caldo, gli misi una coperta sulla gambe.

Continuava a farfugliare, poi tirò fuori una fiaschetta con del liquore dentro e disse:

-Vedi questa? Ora la finiamo insieme!

-Sai che ho smesso con quella roba-

-Solo un piccolo assaggino-

-NON POSSO. Dico sul serio-

- Dai non fare lo scemo, non puoi aver dimenticato tutte le nostre serate.-

-Non le ho dimenticate mica.-

-Allora brindiamo in memoria dei vecchi tempi.-

Sapevo che prima o poi quella bestia sarebbe tornata, ma avevo una mente più lucida, ancorata alla realtà, ero più responsabile. Che responsabile! Accettai giusto un goccino. Ebbi la sensazione di amore per chi ritorna. Abbattè ogni mia nostalgia, stava tornando, come la primavera dopo l'inverno. Era con me per ancora altri assaggini e per tanti altri. Presi delle birre dal frigo, le presi tutte. Erano le birre che si consumavano durante i pasti, ormai non più un vizio ma un piacere concesso solo durante le cene. Finimmo per cagare sopra il tavoli del salotto.

-Silenzio Tommaso, ora facciamo un cosa divertente.-

Entrai in camera da letto a gattoni, mentre mia moglie ancora dormiva e mi infilai dentro l'armadio cercando gli abiti del nostro matrimonio. Quel giorno misi il mio vestito da matrimonio e Tommaso quello di mia moglie. Era così bello, i suoi occhi brillavano, e la sua voce così candida, mi teneva compagnia per tutto il viaggio, sulla mia seicento. Persi entrambi gli specchietti mentre cercavo di parcheggiare davanti al solito bar del centro. 

Mentre bevevo il mio caffè, seduto a tavolino con le gambe incrociate, Tommaso mi sorrideva con il velo che gli nascondeva metà del viso. E disse:

-Caspita come è bello il mondo.-

-Grazie Tommaso, grazie di cuore.-

-Ora organizziamo una bella festa in azienda.-

-Dio si!-

Prendemmo la macchina e ci dirigemmo zigzagando al supermercato. Gli sguardi delle commesse, ci rendevano nervosi. Facemmo scorta di tutto ciò che avesse un po' di alcool, comprammo trombette e cappellini e qualche vaschetta di Tiramisù.

-Tommà!-

-Si?-

-Non vedo l'ora.-

-Ora festeggiamo alla faccia di quel porco di Arnaldo.-

-Ben detto, quel gran bastardo NON E' STATO INVITATO ALLA FESTA.-

Parcheggiai la macchina nel solito parcheggio di servizio. Eravamo davanti all'azienda.

-Siamo qui, prendi anche quelle vaschette.-

Varcammo la porta. Il rumoreggiare degli operai e dei macchinari quasi ci demoralizzava. Passammo inosservati fino alla sala centrale, avevo il presentimento che qualcosa non stava andando nel giusto verso.

ECCOLO LI, DI SPALLE, IMPONENTE IN TUTTA LA SUA BASSEZZA. Autoritario dal primo all'ultimo centesimo che possedeva. Il Signor Arnaldo stava lì, pronto a sedare ogni distrazione degli operai. Era tornato in anticipo senza preavviso, probabilmente si domandava che fine avessimo fatto io e Tommaso. Il mio telefono era casa, e chissà quante volte mia moglie si sarà alzata per farlo smettere di strillare.

-Ora cosa facciamo?- Domandai a Tommaso. Lo guardai fisso negli occhi, brillavano di luce propria, brillavano di incoscienza e pura velocità di nervi, scatti felini, luce.

-Ecco cosa si fa in questi casi!-

Tommaso sfilò una bottiglia dalla busta, prese una bella rincorsa e -SBANG- la frantumò sulla testa pelata del Signor Arnaldo.

- CENTRO!- Gridò Tommaso dopo il botto. Rimasi sbalordito, il Signor Arnaldo era tornato prima del previsto e noi l'avevamo steso, che gran bella storia. Iniziarono le danze, ognuno di noi sapeva cosa sarebbe accaduto dopo la grande euforia, così ognuno seguiva il proprio istinto libero, prima della grande prigionia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 18, 2019 ⏰

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