Parigi. Mercoledì, 24 maggio 1887. Mezzanotte.
Il corpo senza vita dell'uomo giaceva scomposto al fondo della scalinata. La figura lo raggiunse senza fare rumore. Le sue agili dita si impossessarono del portafoglio e gettarono orologio e gemelli nelle scure acque della Senna. Dopo aver spostato il cadavere, l'ombra svanì rapida nel buio...
Sabato, 28 maggio 1887.
Una leggera brezza primaverile diffondeva per tutto il quartiere l'aroma del Potacchio alla Regina: un piatto a base di carne arrosto, mandorle e pane tostato, preparato secondo un'antica ricetta francese del secolo precedente.
Sin dalle prime luci dell'alba, nell'attraversare le strette viuzze, molti passanti si erano soffermati per godere della fragranza, domandandosi al tempo stesso chi fosse l'abile cuoca. Non così Matteo Foscarini il quale, appena sceso dalla carrozza che l'aveva condotto dalla stazione, risolse con facilità il mistero: il profumo proveniva dalla cucina di madame Dobois. Solo l'anno prima, infatti, aveva soggiornato nella capitale per scrivere una serie di articoli sull'VIII mostra degli impressionisti che si era svolta al numero 1 di rue Lafitte, presso la Maison Doreé. Matteo, che si poteva tranquillamente definire una "buona forchetta", era stato conquistato dalla simpatia e dall'affabilità dell'affittacamere ma soprattutto dai delicati manicaretti che pre-parava.
La sua assunzione al quotidiano livornese Il Telegrafo era avventa proprio in seguito a quegli scritti. Così, Giuseppe Bandi, fondatore e direttore della testata, aveva chiesto proprio a lui, di madre francese, d'intervistare l'ingegner Gustave Eiffel in merito alla costruzione della torre in ferro che avrebbe accolto i visitatori dell'Esposizione Universale di due anni più tardi.
Con sottobraccio una copia del giornale per il quale lavorava e una del Figaro, Matteo si lasciò guidare dall'olfatto verso un edificio di tre piani nel centro del quartiere.
Una grossa gatta guercia sembrava sonnecchiare sull'ultimo dei tre scalini antistanti la porta d'ingresso. La sua miagolante cucciolata giocava vicino alla finestra della cucina. Di tanto in tanto, all'interno, si poteva scorgere la sagoma della cuoca. Nonostante l'abbondante mole, si muoveva tra i fornelli con la leggiadria di una farfalla mentre canticchiava sottovoce una vecchia canzone popolare.
Il felino nero spalancò l'unico occhio quando percepì la presenza del giornalista. Lo fissò per alcuni secondi, indeciso.
Matteo Foscarini era un giovanotto dal portamento distinto che i favoriti, le lunghe basette tipiche di quel periodo, rendevano più vecchio dei suoi trent'anni. Con ogni probabilità la gatta lo riconobbe perché assunse una posizione più rilassata permettendogli di passarle accanto. L'italiano depositò in terra la borsa da viaggio e scoprì una folta chioma biondissima sotto il cappello. Bussò con energia. «Une moment» squittì la voce allegra madame Dobois. Un largo sorriso le illuminò il volto paffuto quando spalancò la porta: «Monsieur Foscarinì!» gridò con quella tipica tendenza francese di accentare sempre l'ultima sillaba dei cognomi stranieri. Quindi si cimentò nell'uso della lingua italiana: «Siete il benvenuto! Entrate, entrate...»
«Vi ringrazio!» ribatté il giovane con garbo.
La gatta approfittò di quei brevi istanti per acquattarsi in un angolo buio della stanza.
L'arredamento del piccolo atrio non era affatto cambiato nel corso degli ultimi dodici mesi: un tappeto consunto ma pulito ricopriva il pavimento di legno, alle pareti erano appesi alcuni dipinti. Il giornalista sfilò la redingote gettando uno sguardo furtivo verso la sala da pranzo alla sua destra: madame Dobois aveva già apparecchiato la tavola.
«Sono il vostro unico ospite?» domandò.
«Per il momento...», sospirò l'affittacamere, «Vi ho riservato la stanza migliore, al primo piano» concluse poi con un cenno d'intesa.
Matteo raccolse il bagaglio e le consegnò i giornali: «Questo è per vostro nipote Gastòn» disse indicando la copia del Telegrafo, «stiamo pubblicando un feuilleton d'avventura di Emilio Salgari, uno scrittore veronese. Si intitola Gli strangolatori del Gange , sono sicuro che gli piacerà!»
«Ne sono certa anch'io!» confermò la cuoca, «Dovrebbe tornare da scuola tra circa un'ora...» aggiunse dando un'occhiata al quadrante in smalto bianco della pendola Japy Freres che faceva pomposa mostra di sé su un mobiletto. Quindi sparì nella sala da pranzo accompagnata dal frusciare delle sue lunghe gonne.
L'italiano, giunto quasi in cima alla scala, si voltò verso la sagoma scura della gatta. Il guardingo felino era uscito allo scoperto. Aveva seguito lo scambio di battute tra i due umani temendo che un movimento di troppo, presto o tardi, l'avrebbe tradito. Ma non era successo. E pure l'uomo, che di certo si era accorto di lei, non aveva fiatato. Un istante dopo sgusciò silenziosa nella cucina. Non aveva molto tempo se voleva arraffare qualche pezzetto di carne per sé e per la sua cucciolata, troppo numerosa e sempre troppo affamata.
La stanza al primo piano era arredata con cura.
Un ampio e comodo letto, con testiera intarsiata, campeggiava lungo una parete. Ai lati vi erano due comodini, le cui decorazioni riprendevano gli stessi motivi floreali della testiera. Uno con sopra tutto il necessaire per l'igiene personale, sull'altro vi era solo una lampada a olio. L'armadio era proprio davanti al letto. La portafinestra, che conduceva verso un piccolo balcone, rendeva il tutto piuttosto accogliente e confortevole. Matteo gettò le carte da viaggio sul letto. Tra esse vi era anche un impegno scritto dal direttore che offriva al giovane il ruolo di corrispondente estero del giornale. L'italiano si era preso del tempo per decidere, incerto se accettare. L'appuntamento con l'ingegner Eiffel era fissato per il giovedì successivo, entro quella data avrebbe dovuto dare una risposta. Nei cinque giorni che mancavano, Matteo immaginava di preparare l'intervista, gustare i manicaretti di madame Dobois e godersi la Primavera passeggiando lungo gli Champs-Élysées.
La voce del padre risuonò improvvisa nella sua testa. Come sempre, uomo dal forte senso pratico, non approvava i sogni a occhi aperti del figlio. Il ragazzo non ricordava più con esattezza il momento preciso in cui il genitore, scomparso da parecchi anni, avesse cominciato a dialogare con lui in quel modo. Tuttavia, le parole, i rimproveri, gli ammonimenti e i consigli che in alcuni frangenti avvertiva lo aiutavano a valutare meglio le situazioni e a prendere le decisioni meno a cuor leggero.
Accettare l'incarico o rientrare in Italia? Era questo, però, il solo consiglio che avrebbe voluto avere, ma sull'argomento, seppur interpellata, la voce taceva.
Sistemò i ritratti dei genitori sul comodino di destra sopra un delizioso merletto. Matteo si soffermò a osser-varli per qualche istante prima di riporre anche la vecchia pistola a spillo Lefaucheux del padre nel secondo cassetto. La portava sempre con sé quando viaggiava.
L'urlo di madame Dobois giunse dabbasso con la stessa violenza di un uragano. Il primo pensiero del giornalista fu per la gatta che aveva visto entrare in cucina. Se la sua padrona l'avesse beccata anche solo annusare le frattaglie della pietanza che stava preparando, probabilmente le avrebbe cavato l'unico occhio rimastole!
Si precipitò per le scale a rotta di collo.
La cuoca era ancora nel salotto. Farneticava in un dialetto di cui Matteo non comprese che pochissime parole. Indicò un articolo su una delle pagine del Figarò. L'italiano lesse quanto quello sconosciuto collega transalpino aveva scritto. Era poco più di un trafiletto redatto con una prosa efficace e diretta.
"La gendarmerie cerca informazioni sullo sconosciuto, che potrebbe rispondere al nome di Alphonse Beytout, il cui corpo senza vita è stato rinvenuto avantieri, nel pomeriggio di giovedì, in un vicolo nei pressi di Pont de Tolbiac, sulla Senna. La sua identità non è certa in quanto sprovvisto di documenti. Chiunque abbia notizie in merito è pregato di contattare immediatamente le autorità."
Matteo rivolse uno sguardo carico d'interrogativi alla cuoca che replicò parlando veloce: «Era uno dei miei ospiti!»
Dieci minuti più tardi, una madame Dobois insolitamente taciturna e Matteo Foscarini, avvolto nel soprabito scuro, si stavano dirigendo a piedi verso il posto di polizia segnalato sull'articolo.
La gatta li spiò allontanarsi. Ben nascosta nel vicolo accanto alla pensione, stava dividendo con la sua cucciolata il poco cibo che era riuscita a sottrarre.
Tornò sulla strada principale solo quando i due umani furono abbastanza distanti. Con un balzo raggiunse il davanzale. Si leccò i baffi: quel giorno ci sarebbe stata una razione abbondante per tutti...
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Gambetto italiano
Misteri / ThrillerUn giornalista italiano. Una cuoca curiosa. Una gatta nera senza un occhio. Un delitto a sangue freddo nella Parigi di fine Ottocento.