Mi avvicinai adagio, terrorizzato all'idea che potesse buttarsi giù.
O che si rivelasse un sogno.
Quando, finalmente, l'unica cosa che ci separava era un solo metro, le corsi incontro; l'abbracciai, ma le mie braccia non strinsero nulla, se non il vuoto.
Caddi e sbattei forte la testa.Quando mi risvegliai, c'era ancora lei, mi stava accarezzando e mi stava cantando qualcosa di incomprensibile. Con più naturalezza possibile, mi tentai di alzarmi, ma sentii la testa come se stesse per esplodere.
"Sh... rilassati... sh... dormi..." mi disse.
"Perché?" non avevo più la forza di parlare, tantoché il mio era un semplice sussuro.
"Lo sai pure te perché l'ho fatto... a volte non si ha l'opzione tra due strade facili, ma tra due strade difficili o, peggio ancora, ignote. Io ho deciso di intraprendere la strada oscura pur di alleviare quel dolore." svelò lei, sorridendomi.
"Mi potrai mai perdonare? Io non volevo farti soffrire, solo che non..." cominciai ma lei mi interruppe poggiando il dito contro le mie labbra.
"Cosa... Io perdonare te? Scherzi? Secondo te che ci faccio qui? Vieni qui, idiota" annunciò lei.
Mentre andavo ad abbracciarla, la sentii gemere.
"Qualcosa non va?" in risposta continuò a farlo "Lily? Cosa sta succedendo?!" mi prese e mi bloccò con qualcosa.
"Mi dispiace, ma la tua morte mi ridonerà la vita. Tu sei inutile. Uccidi chiunque ti stia vicino... quindi lasciami fare un favore all'umanità." stava ridendo.
"Lasciami! Tu sei pazza." le urlai
"Vedi queste catene?" non appena me lo disse, cominciai a vedere sempre più chiaramente delle catene che la stringevano e che le circondavano il corpo, le quali si allungavano fino al precipizio "Mi legano a questo spirito, così come quel corpo ti lega al terreno... esse sono fatte delle mie sofferenze... se io ne rimovessi la fonte, loro perderebbero buona parte di ciò che le costituisce, fatto ciò, sarò libera!" disse ridendo.
"No, Lily, ti prego!" implorai e aggiunsi subito "Non vorrai essere tu le mie catene?" sembrò rifletterci, ma poi mi sorrise, gli occhi che urlavano di follia "Poco importa! Tu non sei nulla! Io sarò libera... che cosa dovrebbe importarmene di te?!" chiese, poi scoppiò a ridere.
Non ebbi la forza di rispondere.
"Debole!" e cominciò a strozzarmi con le catene.
"Morirai, come tutti loro..."
Sentivo sempre più che aveva ragione, sentivo sempre più che lei non voleva farmi soffrire, ma liberarmi.
Stavo cominciando a darle ragione.
Mano a mano, iniziavo a capire la realtà delle cose: non c'è nulla di più duro e difficile da sopportare della verità, ma allora? La verità non serve a rassicurare, rendere migliore o rallegrare una persona. La verità distrugge le finzioni e le bugie in cui noi stessi ci intrappoliamo.
Così fu pure allora, essa mi distrusse, come da anni faceva, ma era giusto che fosse così: non è concesso a tutti di godere della bella vita. Infatti, non sapevo se stessi più morendo per quella costante affermazione o se per le catene, le quali stavano per compiere il loro scopo.
Ma sapete una cosa? Mi sentivo così vero. Così giusto. Tutto stava per finire, non ci sarebbe stato più nessun padre, nessun Orso né nessun Jack né Ryan da uccidere.
Almeno loro erano vivi.
Fu allora che mi ricordai: Ryan, il lupo, dovevo salvare il povero cucciolo. Ma ormai il mio corpo sembrava già arreso, nonostante io non lo fossi.
Bel modo di morire, qui, sotto questa magnifica luna, sotto l'ombra di questi alti alberi e sotto questo profumo di fiori, sopra questo bel prato e in mezzo al nulla.
Sentii sempre più la mente annebbiarsi, fin quando non svenni.Ero in una piccola radura.
Era tutto così meraviglioso:fiori, fantastici, che mai avevo visto; un sole così splendido che riscaldava piacevolmente e allo stesso tempo che non era eccessivamente troppo caloroso; alberi grandissimi e coperti di fiori di tutti i tipi. Ma non era tutto questo a stupirmi. Era una ragazza, bellissima, che sembrava aspettarmi con ansia.
Andai verso di lei, spinto da uno strano senso di familiarità, finché lei non mi corse incontro e non mi abbracciò.
"Sei stato così coraggioso, Pete" la sua voce era così chiara e dolce che ricambiai l'abbraccio. "Meritavi di meglio... ma cosa potevo fare? Il tuo destino era già stato scritto. Povera me... anzi, povero te! Il destino avverso ti ha scelto così come quello benevolo sembra aver scelto me: la madre di un ragazzo così straordinario e buono!" continuò lei.
Cercai di collegare le cose, ma non riuscivo a capire cosa stesse intendendo. Lei non era mia madre, mia madre abitava a Chicago, aveva trentasette anni e non aveva una voce così limpida.
"Lo so, non ci crederai, ma tuo padre, quell'idiota, ha capito da subito chi fossi. Se ne andò per questo, perché credeva che tu fossi un mostro. Ma il mostro non eri tu, ma noi: quelli le cui sofferenze e i cui capricci erano il tuo fardello, che giorno per giorno si appesantiva e che rischiava di farti cadere; ma nonostante ciò, sei riuscito a non cadere, o, se succedeva, a rialzarti, sempre."
Non capivo.
"Lo so, dovrei spiegarti molto, ma c'è una cosa che devi vedere.
Alzò le mani e cominciò a muoverle come un direttore d'orchestra. Ad ogni suo leggiadro movimento del braccio, qualcosa cambiava.
Alla fine, ne uscì una sala di un ospedale:c'era una donna, molto simile sia a mia madre, sia alla ragazza, che stava partorendo.
"La tua storia, inizia qui, in questo ospedale, dove da subito capii che tu eri speciale" e dopo aver detto questo, schioccò le dite e tutto si velocizzò, finché non lo rifece e tutto tornò alla velocità normale.
La madre stava tenendo il proprio bambino, quando questo cominciò a congelarla.
Arrivò a congelarle l'intero braccio.
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L'inverno: Peter Howard
FantasyVi piacerebbe avere poteri... 'speciali'? Be', a Peter Howard no. Lui non ha mai chiesto di far soffrire coloro che gli stanno vicino. Lui non ha mai chiesto di saper congelare chi lui vuole. Lui non ha mai chiesto di distruggere ciò che pensava fos...