Prologo.

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Fuori dalla finestra la pioggia scrosciava ancora con violenza, creando una coltre di nebbia nera, che si contorceva in un turbinio di venti provocando un leggero fischio.

Un lampo illumina le pietre consumate incastonate nelle pareti della stanza e, pochi attimi dopo, un tuono irrompe nella pacata tranquillità della notte, facendola sparire per sempre. Ho un sussulto. Ritorno violentemente in me dal sonno e con un movimento agitato del braccio sinistro scosto parte delle coperte. Odo le gocce d'acqua picchiettare e scivolare sui vetri della finestra. Le palpebre mi si sollevano leggermente, poco alla volta, lasciando la possibilità ai miei occhi di annotare e vedere cosa succede intorno a me, per capire cosa mi abbia così violentemente rapito ai sogni.  Il sarcofago si richiude di colpo irritato da una conosciuta luminescenza. Le mie labbra si aprono, creando una piccolissima fessura da cui sfocia un sussurro sbiadito:-È  successo di nuovo. Lentamente, mi porto il braccio sul viso, fino a raggiungere le palpebre,che danno ancora una volta, il dono della vista alle pupille. Passano alcuni secondi, scanditi dalla pioggia, per abituarle a quella luce titubante. Trascino una gamba sul lenzuolo, facendola colare giu dal letto. La seconda la segue, ma, accompagnata dal busto, che con l aiuto dell arto destro, si solleva, abbracciato dal freddo appena accennato, che domina nella stanza.Mi metto a sedere sul bordo del letto, voltando subito il capo verso la finestra e, abbassando il braccio, che pochi istanti prima copriva gli occhi, posizionandolo, con le dita raccolte in un pugno, sulla gamba. Sento una fitta: Il freddo delle piastrelle ghiacciate, su cui poggiano i miei piedi, irto di spine, me li punge e li fa sanguinare dolore. Li sollevo di scatto da terra e, continuando a tenere la testa girata, tasto con gli alluci il pavimento, in cerca delle pantofole. Un lampo e un tuono pervadono la camera da letto sconquassandola. Con il mignolo, percepisco una superficie dura, più calda rispetto alle piastrelle. Indosso la pantofola, mentre con l altro piede, raggiungo la gemella, posizionata poco più lontano. Fuori dalla finestra, le gocce d'acqua si tramutano in grandine. Mi faccio coraggio e, giro lentamente il capo, verso la tanto patita luce. Strizzo leggermente gli occhi. Noto che la cera, si è sciolta quasi del tutto, lasciando un misero mozzicone, ad annegare nel suo corpo fuso, fuoriuscito addirittura dal piattino. Alcune lacrime di cera, sono colate sul mobile, per poi precipitare a terra e, creare delle chiazze appena visibili nel buio. Sospiro. Mi alzo dal letto.

. Un brivido si cosparge su di me, facendomi tremare le membra. Prendo dal tavolino, il piattino con la candela, lo inclino leggermente, e una cascatella di cera, si riversa sul mobile. Sollevo la fiammella e inizio a camminare, facendo strisciare i piedi sulle piastrelle, che riflettono la luce, mostrando il loro colorito bianco. La finestra e più vicina ora. Il suono della grandine, si insinua nelle orecchie, raggiungendo il timpano. Raggiungo i vetri fradici, e passo in rassegna il paesaggio. Oltre la fitta nebbia, si intravedono le nembi, attraversate da alcuni tentacoli di luce lunare; all orizzonte, le teste delle colline e, in lontananza, quelle frastagliate delle montagne, sono nere come la pece; e si vede a malapena, la massa informe del lago. Noto come la grandine si sia depositata, sul davanzale e, come non si sciolga. Arrivo alla conclusione, che non sia una buona idea, uscire per respirare una boccata d'aria, all aperto. Lo stucco consumato, fa penetrare uno spiraglio di vento, che fa tremare la fiamma della candela, e crea un fischio acuto. La allontano, coprendola dietro di me.Mi giro, e guardo la porta, nascosta nel buio. Mi avvio, la raggiungo, e prendo in mano la manigliagelida. Un altro tuono. Stavolta senza lampo. Abbasso la maniglia, e allontano da me l' anta con un gesto titubante. Il corridoio ha un aria surreale: Buio e profondo.

. Un tiepido sospiro, mi avvolge. Faccio un passo, illuminando con la candela, quell' antro spettrale. Tutte le lampade, ornate con piccoli fiori dorati, rovinati dal tempo, e composte da un fiore di vetro, contenente l anima, che lo renderebbe vivo, sono spente. Un altro passo, cauto, mi avvicina abbastanza, al muro di pietrisco, per notare un quadro, raffigurante una donna che mi osserva, con il suo sguardo misterioso e fisso. Riconosco in lei qualcuno. Una persona, che sfortunatamente, si perse nel baratro dei miei ricordi, divenendo irraggiungibile. Con la mano libera, cerco nel vuoto, la maniglia. La trovo, e la trascino verso di me, facendo tornare la porta, una lastra di tavole di abete, culminante in un sesto acuto, nelle mani degli stipiti. Un cigolio stridente e fastidioso, precede un tonfo sordo, ma appena  percepibile. Mi avvicino, a passi lenti e vigili, alla targhetta di ferro, sotto la pittura: Un nome illeggibile, si presenta ai miei occhi. Un tuono, sconquassa il corridoio e una luce bianca si infiltra un istante dopo, dalla fessura sottostante alla porta, illuminandomi flebilmente le suole delle pantofole, e i polpacci scoperti. Il mio capo dirige la vista a destra e a sinistra, scattando all improvviso, quasi istintivamente. Sospiro, pesantemente. Mi giro verso destra, e inizio a muovermi, calpestando il tappeto, colorato di un rosso scuro, di cui non chiesi mai il nome, a passi lenti, pacati, e mi inoltrai nel ventre della bestia, tenendo ancora saldo, il piattino con la candela. Durante il mio cammino, si susseguono, sulla destra, quadri raffiguranti paesaggi, volti di persone dimenticate, oppure semplici nature morte, incastonati in cornici di legno, con ornamenti e crepe, dovute al tempo; alternandosi a lampade, tutte avvolte nell' oscurità. Sulla sinistra, si notano soltanto porte, e sezioni di muro, spoglie e rovinate. Sopra l arco di una porta, vedo un crocifisso. Penso al mio ateismo, ed esso perde, la mia attenzione. Proseguo ancora, fino a raggiungere, una stanza, a forma di quarto di cerchio. Sulla sinistra, si trovano, due rampe di scale: Una sale , l altra scende. Mentre, sulla parete curva, ci sono delle finestre, con i vetri colorati, e sotto di esse, un divanetto, di tessuto marrone chiaro, le segue, per tutto il perimetro. Al centro del salotto, una colonna, di massicce pietre e malta. Scendo le scale. E per diversi piani, mi ritrovo davanti agli occhi, lo stesso salotto. Continuo la mia discesa, fino ad arrivare, subito dopo ad uno di essi, non ad una scalinata, ma ad un portone, a doppia anta. Sotto ad esso, una luce. A lato una targa: Biblioteca. Spingo una di esse e, una grossa stanza, in cui, una luce calda e soffusa, si mescola, al rumore della pioggia sulle vetrate, altissime e strette. Continuo a camminare, e la porta, si chiude alle mie spalle, senza produrre alcun rumore. Le assi del pavimento, scricchiolano sotto i miei piedi. Una figura nera, con le mani portate dietro la schiena, osserva il fuoco crepitante, che si dimena, in un grosso camino.                                                                        -E una notte tempestosa questa, vero?- mi interroga una voce rilassata.                   Il mio mozzicone di candela, si spegne creando delle scie di fumo.     -Mi ha svegliato un tuono.- rispondo.                                                        -Si e dimenticato un altra volta la candela accesa?-  domanda ancora, smettendo di fissare il fuoco, e alzando la testa.                       Raggiungo un tavolino, appoggiandoci il piattino, e facendo traboccare alcune gocce di cera.          -Esattamente.- ammetto.  Raggiungo la figura, e mi metto al suo fianco. Un lampo accende la penombra, presente nella stanza. – Spero abbia dormito bene nella camera provvisoria.- chiede       -La sua stanza e nel corridoio a destra.-mi informa il maggiordomo, voltandosi ad osservarmi.-I suoi bagagli sono già stati sistemati al suo interno, il letto sistemato e il mobilio tirato a nuovo.-si inumidisce le labbra.            Lo guardo-Non sono abituato a farmi fare le cose dagli altri. Mi stabilii nella periferia industriale,della capitale, lavorando tutti i giorni per abitare in una stanza singola. Anni duri ma felici, poiché col tempo mi guadagnai il rispetto e l amicizia degli altri operai. Tutti figli di famiglie povere. Ed io, l unico figlio di nobili. La lettera e arrivata a mezzogiorno, diceva di recarmi qua, la mia vecchia casa. Un incontro di famiglia. Tutti degli spilorci di merda. Per questo me ne andai: Le ricchezze non fanno per me.-finisco con una nota di rabbia nella voce. Sospiro. Poi riprendo-comunque grazie mille.-                                             -Domani e previsto l arrivo di suo zio. Approderà a l molo alle undici. Lei non può ricordarlo. Lo vidi quando era ancora in fasce. E la persona più generosa di questo mondo. Buona notte. Domani sarà una giornata impegnativa.- sospira.- Se quello che dice lei e vero, si presenti alle quattro nell'ala nord del castello. E' crollato un muro. Bisogna ricostruirlo.- spiega. Indietreggio. Lui rivolge lentamente il capo verso il fuoco.                                   -Le candele sono nell' armadio, prima della porta.-                                                Prendo il piattino, e lo batto sul tavolino, la cera solidificata si sgretola e si posa sul centrino. Almeno in parte. Mi sposto. Raggiungo l armadio, lo apro, e prendo un candela. Su un altro ripiano, si trova un acciarino e  delle pietre. Pietra focaia, penso. Sistemo la candela sul piattino, che ripongo sul ripiano. Inizio a scalfire una pietra, con l' arnese metallico. Alcuni tentativi più tardi, una scintilla, fa apparire una fiammella, sulla cima della candela. Un tuono esulta per me. Dirigo lo sguardo, ancora una volta, al maggiordomo, fisso  a guardare il fuoco ed aspettare l alba. Probabilmente.                      -Buona serata.- sussurro. Mi avvicino alle porte, e varco la soglia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 04, 2016 ⏰

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