Capitolo 9

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LA FELICITÀ
La felicità è sempre stato un concetto intrinsecamente controverso da decifrare, poichè da un lato si mostra nella sua banalità, illudendo i più circa il suo scontato raggiungimento, e dall'altro lato sembra volersi deliberatamente barricare all'interno di mura così alte da risultare insormontabili. Nel corso del cammin di nostra vita tendiamo, compreso il sottoscritto, ad associare la felicità al benessere materiale, credendo erroneamente di poter ricondurre una nozione astratta a un'entità tangibile. Per Epicuro, ad esempio, il bene si esplica nel piacere e ne individua due tipi: il piacere "cinetico" e il piacere "catastematico". Il primo riflette un piacere caduco, di breve durata, legato alla soddisfazione del corpo e dei sensi e, perciò, destinato a lasciare l'uomo più insoddisfatto di prima; mentre il secondo incarna un piacere più durevole, riscontrabile nella capacità di sapersi accontentare della propria vita, nel saper usufruire del proprio tempo in maniera consona ecc. Epicuro elabora una specie di catalogazione dei bisogni che se soddisfatti procurano "eudemonia", ovvero serenità: i bisogni naturali e necessari, che soddisfano interamente poiché essendo limitati possono essere completamente colmati; i bisogni naturali ma non necessari, che provocano nell'individuo un malcontento parziale legata al loro essere non necessari; i bisogni né naturali né necessari, che in virtù della loro natura effimera non hanno un limite e perciò non potranno mai essere soddisfatti. Epicuro non fornisce un elenco dei bisogni naturali e necessari, poichè egli ritiene che spetti a ognuno riuscire a individuare i propri. Immanuel Kant, noto filosofo del XVIII secolo, non era concorde con questa logica: nella sua celebre "Critica della ragion pratica" del 1788, delinea una definizione di felicità senza far alcun riferimento specifico al piacere. Di fatto rifiuta l'impostazione eudemonistica non solo perchè non ritiene possibile porre la felicità a fondamento della vita morale, ma anche perchè, secondo la sua enunciazione, la felicità non può essere fatta coincidere con la tirannia dell'animalità (cioè della sensibilità e del piacere). Risulta quindi chiaro ed evidente come la componente soggettiva plasmi in maniera determinante il concetto di felicità, poichè, a seconda degli individui, essa può fondarsi su principi completamente differenti. Tracciare un'idea universale di felicità sarebbe, quindi, cosa impossibile oltre a risultare del tutto inutile, però possiamo definirne una caratteristica comune. Tutti noi conveniamo sul fatto che la felicità sia uno stato di benessere psicofisico derivante da un evento particolarmente soddisfacente e che questo abbia delle ripercussioni positive sui nostri rapporti sociali. Per quale motivo allora siamo molto spesso infelici? Seneca ne individua le radici nel comportamento negligente di ciascuno: "Nessuno è infelice se non per colpa sua". È nella natura delle nostre azioni che si cela, pertanto, la complessa matassa della felicità che sembra apparire come un ente vicino, ma che molto spesso si rivela più irraggiungibile del previsto. Coordiniamo, dunque, i nostri atti e i nostri interessi affinché possano collaborare insieme alla ricerca della felicità.

Pensieri di un viaggio di ritornoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora