Preoccupazioni

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Entrai nell'ospedale; ci fecero aspettare per un bel pezzo, e l'attesa era asfissiante. Molto asfissiante. Quasi insopportabile. Mio padre meritava la vita! Ha salvato milioni di persone durante le sue numerose guerre a partire da quella in Afghanistan, è stato ferito alcune volte ma è sempre andato avanti curandole, e nel giro di alcune settimane era di nuovo in forze! Ed ora? Ora c'era quella stupida macchia nera che lo stava divorando poco a poco... Si accenderà come un albero di Natale, e poi? Boom. Buio assoluto. No, no, no, no! Non potevo pensare a questo! Non lo sopporterei... Non vivrei più! Perché il Destino vuole potrarmelo via? Che peccato mortale avevo mai fatto, se non fare sesso?! Dannato sesso. Dannati peccati! Perché devo morire con la consapevolezza di aver perso entrambi i genitori con una morte orribile?! Quanto odio tutto questo. Odio, odio, odio! Vorrei tanto non voler essere mai nata... Le lacrime non fanno altro che rigare le mie guance, e mia zia accarezza i capelli in modo delicato, stringendomi a lei cercando di farmi calmare. Invece aumentava solo l'ansia, e mi mancava l'aria. Ignorai anche i numerosi messaggi da parte di Justin per quanto stavo male, e lui era l'ultimo dei miei pensieri. Mentre il giorno precedente era quasi il primo...

<<Signora e signorina Albert?>> Quella voce era quasi come una botta in testa. Volevo rimanere così per sempre. Immobile ed incapace.

<<Siamo noi. Ci dica>>, rispose mia zia con un nodo in gola.

<<Il signor Daniel Albert ha avuto un peggioramento. E' stato ricoverato in sala rianimazione... non vi garantisco nulla se non pregare. Il cancro è già arrivato in buona parte del cervello>>, ci disse dispiaciuta. Mi sentivo non una botta, ma un martello pneumatico che voleva uccidermi.

<<Oh, Dio...>> zia mise la mano di fronte alla bocca sconcertata, aveva gli occhi lucidi ma non cacciava le lacrime. Voleva essere forte con me, anche se... non c'era molto da fare, o a cui credere.

Erano le 19.58 di sera. Abbiamo passato tutta la giornata incollate sulle sedie in sala d'attesa senza muoverci. Eravamo come impietrite; le nostre gole erano secche, gli stomaci brontolavano e il nostro corpo era sfinito. Ma non avevamo la minima intenzione di muoverci per nulla al mondo! La batteria del cellulare era al venti percento, e avevo proprio bisogno di distrarmi. Lo presi, e accesi la connessione dati. In pochi secondi mi arrivarono circa cinque messaggi e cinquanta notifiche. Tutto da parte di BadBoy! Aprì immediatamente i messaggi.

BadBoy: Buongiorno, JessieLove.

BadBoy: Ehi, sei scomparsa? Dove sei finita? Ho bisogno di te...

BadBoy: Non faccio altro che pensare a te. Ti prego, contattami.

BadBoy: Okay, ma ora stai proprio esagerando. Mi stai facendo preoccupare, perché non sei online?! E' successo qualcosa al lavoro?

BadBoy: Se hai un problema, qualsiasi non esitare a chiamarmi. So che ci conosciamo a malapena, ma tu non stai bene. Ed io lo so. Quindi, signorina, usa le tue dita da principessa e contattami. Ci tengo a te. Siamo simili. Forse troppo.

Mi sciolsi come neve al sole a leggere quei messaggi. Gli inviai un messaggio di scuse, e che non me la sentivo di parlare dei miei problemi a lui. In fondo ci conoscevamo da solo un giorno. Successivamente, diedi un'occhiata alle numerose notifiche. C'erano molti 'mi piace', reblogghi e commenti su quanto avesse ragione la frase condivisa, o un suo pensiero a proposito di quell'idea. Avendo la batteria scesa del cinque percento, decisi di staccare la connessione avvertendo Justin. I miei pochi minuti di spensieratezza erano finiti. Ero tornata alla dura e tragica realtà. Io e la sorella di mia madre eravamo appoggiate l'una all'altra in attesa dell'arrivo di qualche infermiere. Finalmente la porta si aprì.

<<Jessica ed Alexandra Albert?>> chiese entrando un'infermiere sulla quarantina. Ci alzammo immediatamente come risvegliate da un lungo sonno <<ah, eccovi. Ci sono stati dei miglioramenti, ma attualmente il paziente è in coma. Non può essere visitato per via della gravità. E' in terapia intensiva. Vi consiglio di tornare a casa, ci vorranno alcuni giorni prima che si riprenda del tutto>>.

<<Sono la figlia. Vorrei vederlo, la prego. Poi torneremo a casa, voglio solo vedere il suo corpo. Anche se è da dietro una vetrina, però me lo faccia vedere. Vi supplico...>> lo implorai con voce spezzata. Sembrò pensarci, ma valutando la situazione, annuì nel giro poco tempo.

Il suo corpo era pieno di tubi, e il mio cuore terminò di battere facendomi sentire una morsa per nulla confortevole. Respirava con un macchinario, aveva una flebo attaccata e una macchina che calcolava il suo battito cardiaco. Era così lento che a volte, non lo sentivo neanche. Era ridotto proprio male, e vederlo così mi faceva star peggio. Stavo iniziando a credere che meritasse di morire. Così che non avrebbe più sofferto così. Adesso si trovava in un limbo. Chissà se ne uscirà per il mondo dei viventi, o quello dei... morti.

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