Dubbi

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Ignorai la chiamata. L'orgoglio era troppo forte, e poi la avevo anche persa. Continuai a studiare per altri dieci minuti, ed ecco che si illuminò lo schermo con lo stesso numero che avevo letto poco fa. Persi la pazienza, e premetti sul verde.

<<Chi diamine è, si può sapere?!>> sbottai piena di collera.

<<Jess? Tutto okay?>>. Sgranai gli occhi. Quella voce... quel nome!

<<J-Justin?! Ma come...>> ero sorpresa nel sentirlo. Molto sorpresa!

<<Come è successo? Beh, voglio sentirti ancora. Ieri lo ammetto, non avevi per niente un bell'aspetto. Eri debole, molto debole... e credevo che non saresti riuscita ad affrontare la notte per questo ti ho vista dormire. Fino alle sei del mattino e credimi, volevo restare lì finché non ti saresti svegliata, ma non volevo che qualcuno sapesse di noi. Ci conosciamo da un paio di giorni, però mi attiri da matti. Hai un corpo così seducente. Ieri ho vissuto la migliore scopata che avessi mai fatto! Non vedo l'ora di rivederti, e di mettere le mani su quel culetto spettacolare>>. Questo discorso mi scioccò talmente tanto, che stavo sorridendo e non sapevo nemmeno il perché.

<<Anche io vorrei vederti, e fare sesso sfrenato per... che so, tutto il giorno, magari? E io che credevo che non ti avrei mai più sentito!>>

<<Perché pensi questo?>>

<<Perché è sempre accaduto così>> ammisi con amarezza <<hai sbirciato nel mio cellulare, mentre dormivo?>>

<<Sì. Ho visto foto con le tue amiche, e devo dire che sono tutte molto carine. Credo che farò un salto al 'Pizza Girls', stasera. Ho una fame...>> concluse con tono sexy. Ed io sapevo di che tipo di fame si trattava.

<<E magari, scambieremo anche qualche chiacchierata>> gli dissi alludendo alla serata prima, dove invece a stento ci eravamo salutati.

<<Sì, vero!>> esclamò seguito da una risata. E la sua era così dolce...

<<Okay, allora adesso vado a rinforzarmi con una grossa e grassa lasagna italiana, e poi mi preparerò al meglio per andare al lavoro!>> dissi euforica all'idea di rivederlo.

<<Hm... non vedo l'ora, Jess. Allora, a più tardi, buona giornata>>, mi salutò prima di staccare la telefonata.

Sentivo che era felice. Forse, anche lui doveva scaricare delle tensioni. Sperai che quella sera, sia riuscita a parlargli almeno un po' dal vivo, senza passare subito all'attacco, anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto. Scesi le scale con un sorriso stampato in faccia, ed aiutai mia zia a cucinare le lasagne, le si illuminò il viso, guardando un'espressione felicissima sul mio. Dopo aver infornato decisi di passare del tempo con lei. Meritava ogni attenzione, perché da quando mia madre ci ha abbandonati, si è sempre data da fare per rendermi felice, e mi considera come una figlia, dato che il suo fisico non le permetterà di dare alla luce una nuova creatura. E mi si spezza il cuore a ripensarci... lei era così buona, più di un pezzo di pane appena sfornato. Eppure, non può avere ciò che ha sempre desiderato avere. Che peccato avrà mai fatto per non meritarsi una famiglia e un marito amorevole? Nessuno. Se c'era una cosa che avevo imparato a mie spese, era che l'erba cattiva non moriva mai, e a questo mondo solo gli stronzi andavano avanti. Esattamente come la pensava Justin. Mi piacerebbe davvero molto sapere qualcosa in più su di lui e sulla sua vita.

<<Jessica! Era ora che ci degnassi della tua presenza>> mi rimproverò Suze appena entrai nel locale.

<<Allora scusami se mio padre è entrato in coma>> sbottai piena di collera. Si mise le mani di fronte alle labbra, sussurrando un 'mi dispiace'.

Mi ero preparata al meglio quella sera per sembrare almeno presentabile; impiegai tutto il giorno per lavarmi, vestirmi e le cose più svariate. Erano circa le 19.00 di sera, e il servizio sarebbe iniziato tra circa trenta minuti. Non c'erano ancora ordini da condurre a termine, così aspettai nell'office, impiegando il tempo a parlare con le altre colleghe. Era domenica, ed ero certa che il ristorante si sarebbe riempito di clienti, per lo più abituali.

<<E così hai passato tutta la notte in ospedale? Mi dispiace davvero tanto per il Destino crudele di tuo padre>>, mi disse Jennifer dandomi una pacca sulla spalla per confortarmi. Guardai a terra, ripensando a ciò che lui stava passando, volevo piangere, lo ammetto. Ma non potevo farlo. Non potevo mostrarmi debole di fronte alle persone, solo quando ero sola, in camera. Sotto le coperte.

<<Esattamente. Non sanno ancora se ce la farà. Ora si trova in un limbo. E' così tragico il coma, e sta accadendo proprio come successe a mia madre. Che sia maledetto quel cancro!>> affermai con rabbia.

Andai fuori per prendere una boccata d'aria fresca. Ne avevo bisogno, dannatamente bisogno. Non potevo più vivere in quella situazione, non volevo che le cicatrici del passato si riaprissero di nuovo. Eppure eccomi lì, più debole, ed angosciata di prima. Anzi, più che mai oserei dire. Mio padre mi disse sempre che ero una leonessa, una che non molla mai, un osso duro proprio come lui. E allora, perché stavo così male in quel momento? Forse perché stavo perdendo l'unica persona che abbia mai amato in tutta la mia vita, quella che mi ha sempre aiutata a rialzarmi, a farmi resistere ai numerosi ostacoli che la vita offriva. Stavo perdendo mio padre, ed ero impotente.

Rientrai con una faccia da funerale, erano già le 19.30, il che significava lavorare. Per i primi sessanta minuti vennero poche persone, e più il tempo passava, più clienti arrivavano. Ma non vedevo la persona che avrei dovuto incontrare. Stavo per preoccuparmi che non lo avrei visto, poiché era quasi orario di chiusura.

<<Jessica? C'è un ragazzo abbastanza carino, beh... molto, che chiede di te. E' al tavolo quindici>>, mi avvisò Suze con un gran sorriso.

<<Okay, grazie!>> esclamai, per poi avviarmi verso di lui. Appena uscì dall'office, lo vidi quasi subito.

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