La Fatina dei Denti dell'Ala Sud (Cap. 22)

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Alla fine dell'ennesimo corridoio incontrammo delle scale lunghe e polverose, una targhetta di ottone intitolata Ala Sud riportava tra virgolette una specie di citazione piuttosto macabra: non per coloro che sono folli, non per coloro che sono pazzi ma per coloro che credono di essere sani.
"Non c'è paziente più difficile che un paziente che non ammette la malattia" disse Minus serio, "Suppongo di sì" dissi io cominciando a scendere nel tetro abisso, armato di  della luce del cellulare, ben quattro fantasmi sulle spalle e la sicurezza di non avere nulla da perdere.
L'uomo è un macchinario davvero eccezionale, convinto di aver toccato il fondo continua a scavare per vedere quanto può mettersi in difficoltà, così cercando perlomeno di entrare nel Purgatorio si ritroverà all'ultimo girone dell'Inferno.
Le scale scendevano molto in profondità ed erano particolarmente ripide, urla agghiaccianti riecheggiavamo nell'aria ma sono certo che il rumore del mio cuore che premeva per uscire dal petto fosse molto più forte dei lamenti di quei disperati.
Giunti all'ultimo scalino fummo investiti da una corrente di aria gelida come a preannunciare uno spazio molto ampio...Davanti a noi si aprí un grosso salone, pieno di celle con sbarre, due, tre, quattro piani di lunghe file di gabbie.
Non vi era illuminazione elettrica ma bidoni in fiamme, fiaccole e focolari improvvisati; la luce che il fuoco proiettava sulla parete sembrava dilaniasse l'intero salone, dando un senso di caos, come se la struttura potesse cadere su se stessa da un momento all'altro.
L'aria fredda fu sostituita da un odore acre e penetrante di feci umane, sangue rappreso e morte.
Avevo la nausea e gli occhi mi  lacrimavano copiosamente, era un carcere quel luogo maledetto, che fungeva anche da obitorio, da incubo e da Inferno.
In fondo al salone una porticina di legno marcio, per arrivarci si doveva passare in mezzo alle celle, un tragitto di pochi minuti...Giuro sembrarono ore.
Ci avviammo lentamente ma subito Monika ci fermó e disse indicando un pulsante rosso attaccato alla parete "A cosa serve quello?", non l'avevo notato entrando, ma una brutta idea mi ronzava per la testa, Minus ricominciò a camminare spedito liquidando  la domanda con un secco "Non voglio scoprirlo".
Le fiamme danzanti, l'odore nauseante e le urla disumane dipingevano il corridoio che attraversavamo veloci e silenziosi nella speranza di diventare invisibili.
L'errore, l'errore fu quello di fermarsi a guardare una di quelle celle, tra le tante urla di dolore quella che proveniva da dietro quelle sbarre mi aveva attirato particolarmente, un uomo sulla cinquantina, con addosso solo dei pantaloncini sudici e una canotta stava su una sedia fissandoci mentre con una pinza si strappava i denti. I suoi occhi fissi su di noi erano spaventosi e ad ogni dente strappato sembrava che provassero a uscire dalle orbite ma la cosa più terribile era il sangue, era ovunque, sulla sedia, sui vestiti, su tutta la faccia.
La Fatina dei Denti dell'Inferno, non lascia una moneta ma incubi atroci.
Minus mi afferrò un braccio e mi disse "Non guardarli, arriviamo a quella porta e troviamo un modo per andarcene", sembrava molto calmo, in una situazione simile il pazzo era lui.
Distolsi lo sguardo e ripresi a camminare, eravamo quasi arrivati, mancavano pochi passi...Un urto, un colpo spaventoso riecheggió nel salone, proveniva dall'ultima cella, quella a cui eravamo appena passati davanti.
Un ragazzo, molto giovane, ci guardava con il capo incastrato tra le sbarre, perdeva molto sangue dalla fronte...Aveva colpito le sbarre con la testa mentre passavamo, rompendosela ma nonostante il trauma ci fissava compiaciuto.
Perché fare una cosa simile? Monika scoppió in lacrime, stavo per provare a tranquillizzarla quando Minus urló guardando l'ingresso del salone, dove ci trovavamo pochi minuti fa "NO, FERMO!" poi un segnale acustico seguito da un rumore metallico, come delle celle che si aprivano...Molte celle che si aprivano.

Monika non c'è Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora