Capitolo 28- Che le stelle veglino su di me.

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-Sbrigati, sbrigati! Il bar ha chiuso, tra poco verranno tutti di quà!

Ordina rapidamente agli altri due il ragazzo col naso rotto.
Mi prendono per gambe e braccia, issandomi fin sopra il parapetto in pietra del ponte.
E senza aspettare un secondo di più mi gettano di sotto.
Sbatto la testa sul fondo del fiumiciattolo, più basso verso la passerella, ma profondo un paio di metri verso il centro. L'acqua è gelida, sento i muscoli contrarsi in un lampo in mezzo all'oscurità. La corrente mi trascina via, senza che io riesca a tornare a galla.
Non ho mai imparato a nuotare; ho rischiato la vita da piccola, quando le maestre ripetevano "Non dovete staccarvi dal bordo, non siete bravi quanto i vostri compagni di classe", e io non volevo crederci. Se potevano loro, potevo anch'io. 

Avevo sbagliato, dovevo starmene al mio posto e imparare. Invece volevo dimostrare di essere migliore. E ora eccomi quì, ad affogare sul serio, senza che qualche insegnante si accorga che sto morendo. Senza che Alis sappia che non ci vedremo più. Senza che sappia che non volevo allontanarla. Senza che sappia che l'unica cosa che volevo era amarla.

In pochi secondi non sento più nessuna parte del corpo a causa del freddo pungente delle acque, e spero che l'ipotermia venga presto a prendermi. La testa mi sta scoppiando per il dolore, sento gli occhi bruciarmi e ho finito l'aria per poter andare oltre. Apro leggermente un occhio, e da sotto il pelo dell'acqua riesco a vedere uno spettacolo unico.
 Sotto un cielo nero come la pece brillano un'infinità di stelle bianche, piccole, grandi, vicine o lontane.
Affascinata da quell'ultima visione non faccio caso a un forte rumore, che invece attira l'attenzione di qualche passante neanche troppo sbronzo. Sento il piede incagliarsi in qualcosa, e la corrente tentare violentemente di trascinarmi via.
Penso di stare andando a fondo, quando torno a galla, con i polmoni in fiamme all'aria gelida della notte, per poter respirare ancora.

-Non mollare!
Sento urlare da una voce lontana.
Un uomo si getta in acqua dopo essersi tolto il giubbotto, mentre la donna che era con lui è al telefono. "Sembra preoccupata" riesco a pensare, mentre tossisco, ingurgitando aria e acqua senza controllo. Non distinguo molto di quello che dice a causa del rumore assordante del fiume, solo un "emergenza" e "buttato". Spero non sia troppo ubriaca e prendano sul serio la richiesta d'aiuto.
Il giovane mi raggiunge con difficoltà, raccogliendomi dalle braccia di qualcuno che era entrato prima di lui per tirarmi fuori da quell'inferno di ghiaccio. Scossa da tremiti incontrollati e con le lacrime agli occhi riesco solo a distinguere un tatuaggio scuro sul braccio destro del primo arrivato, sotto la camicia bianca e fradicia di acqua sporca. Tatuaggi Maori, o tribali.   
Non vedo altro, dopo che mi hanno distesa sulla passerella in attesa dell'ambulanza, e coperta con tutto ciò che avevano.

Non vedo altro al di fuori delle stelle, ancora più luminose, ora che al mio fianco c'era lei.

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