VI. I dolori del giovane Pavel

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Ricordo ancora quanto mi sentissi solo in quei giorni, più solo che mai. Vagavo per i vicoli di Praga senza una meta, una speranza, senza di lei. In quei momenti ripensai anche a te, Magda, e capii che forse eri andata via per non dovermi abbandonare che una sola volta. E' vero, non ti avrei più rivista se non nei ricordi e nei sogni, ma ora so che solo in quel modo avresti potuto continuare a vivere in me, ed io ti avrei portata nel mio cuore per sempre. Saresti stata il mio segreto più grande, e certamente il più bello.
Spesso mi ritrovavo a casa di Pavel, ed insieme suonavamo per ore, senza smettere mai neanche per un momento. Che grande compositore, era. Lo ritenevo formidabile, molto più bravo di me ad inventare, a creare, eppure aveva qualcosa di incompleto in sé, qualcosa di danneggiato e irrisolto. Io e lui, oltre a condividere la passione per la musica e per il piano, condividevamo un amore distruttivo, ma non per la stessa donna. Pavel era profondamente innamorato di Alena "Da quel giorno in cui mi ha sorriso ai giardini pubblici, non posso fare a meno di amarla" diceva per spiegarmi la sua passione. Eravamo diversi, ed era forse per questo se io non riuscivo a trovare nulla di positivo in quella ragazza. Era bella, devo ammetterlo, ma non possedeva neanche un briciolo dello spirito artistico di Pavel, era superficiale ed incredibilmente legata alle apparenze, all'opinione della gente nei suoi confronti, voleva apparire brillante, intelligente, ma in realtà era veramente stupida. Era così piatta, priva di qualsiasi forma di talento, vuota di sentimenti se non d'invidia, eppure lui l'amava, l'amava con tutto sé stesso, e non riusciva proprio a capire quanto lei lo sfruttasse, lo illudesse, di quanto si prendesse gioco di lui. Il suo amore era folle, e senza speranza. Quando era con lei, lui diventava debole.
Quel giorno, come spesso accadeva, mi ritrovai a bussare alla sua porta. Ricordo che non rispose immediatamente, strani rumori provenivano dal suo appartamento, poi la porta si aprì e ciò che vidi in quel momento mi fece sorridere. Pavel, lì davanti a me, ancora in camicia da notte, spettinato, mezzo ubriaco. Pavel, le borse sotto gli occhi e le labbra secche. Mi fece entrare, e subito fui assalito da un forte odore di alcool. Mi guardai intorno e mi accorsi di essere circondato dal disordine, da bicchieri vuoti sporchi e bottiglie stappate con ancora del liquore all'interno. La cosa smise improvvisamente d'essere divertente, e cominciai a chiedermi che cosa stesse accadendo alla vita del mio amico. Insomma, qualche volta poteva capitare che alzassimo un po' troppo il gomito, io e lui, ma in questo caso doveva aver bevuto da solo, e certamente doveva esserci stato un motivo valido. Devo essere sincero, sospettavo che ci fosse lo zampino di quella ragazza, ma non avevo la più pallida idea di cosa fosse accaduto precisamente. Chiesi più volte spiegazioni, ma lui non riusciva a esprimersi bene, era vago, disorientato nelle risposte, e le parole sembravano essere trascinate a forza fuori dalle sue labbra screpolate ed impastate dall'alcool. Pochi minuti dopo ebbe la lucidità di scusarsi per la sua condizione sgradevole e mi chiese di accomodarmi ed aspettarlo lì mentre andava a vestirsi più decentemente. "Non è cosi che si trattano gli ospiti" disse. Decisi di assecondarlo, non volevo confonderlo ulteriormente o forzarlo a parlare, almeno non immediatamente. Vagai un po' per il suo salotto, poi mi misi al piano, ed iniziai a suonare qualcosa per ingannare l'attesa che, senza accorgermene, si faceva sempre più lunga. Dieci minuti più tardi, non vedendolo tornare, mi insospettii, e chiamandolo ad alta voce mi avviai verso la sua stanza. Nessuna risposta. La porta era accostata, così la aprii lentamente per non essere scortese. Il sorriso, per fortuna, mi sorprese un'altra volta. Pavel si era addormentato. Era lì, sdraiato sul suo letto, e respirava profondamente a pancia insù con i pantaloni all'altezza delle ginocchia. "Vecchio ubriacone" pensai, sogghignando per quella situazione ridicola e triste allo stesso tempo. Sorridevo, ma ero preoccupato. Era probabile che non riposasse da ore, così lo presi per le gambe e lo infilai sotto alle coperte, al caldo. Mi tornò in mente la mattina in cui avevo fatto la stessa cosa con Sofia, e sentii come una mano stringere il mio cuore nel pugno. Ero costantemente impegnato a tenere il dolore a distanza da me e sembrava che ci riuscissi, ma quando venivo poi raggiunto faceva sempre più male della volta precedente, ed era come se allontanandolo questo prendesse la rincorsa per potermi attaccare con una sempre maggiore brutalità.
Raccolsi le bottiglie vuote, i loro odori mescolati erano nauseabondi, e raccolsi quelle piene per evitare che continuasse a bere nel caso si fosse risvegliato. Lasciai il suo appartamento prendendo le chiavi e andai al bar. Per far passare il tempo, ordinai un latte macchiato caldo e una brioche, come faceva sempre Sofia. Abbandonai la malinconia, e mi misi a pensare a cosa potesse essere successo a Pavel. Nei miei ragionamenti giungevo sempre e solo ad una conclusione: il suo problema doveva por forza essere Alena. Passai minuti e minuti su quella questione senza mai venirne a capo, finché rinunciai.
Salì la nebbia e guardai l'orologio: erano passate un paio d'ore, così pagai il mio conto e tornai nel suo appartamento.
Aprii la porta, il puzzo di alcool era più debole ora, ma nella casa c'era lo stesso silenzio di due ore prima. Mi diressi in camera sua e lo ritrovai rannicchiato nel suo letto che dormiva a pancia in sotto, come un bambino. Lo scossi dolcemente, chiamandolo per nome, e lo svegliai. Impiegò qualche minuto per aprire del tutto gli occhi, era confuso, il viso pallido, aveva mal di testa ed una gran nausea. "Fatti un bagno freddo, ti sveglierà per bene" gli dissi con un tono più simile ad un ordine che ad un consiglio. Barcollando, forse per il sonno o forse per l'ubriachezza, si chiuse in bagno e sentii l'acqua scrosciare. Quel rumore mi rese più tranquillo, poi lo sentii tossire e vomitare, bestemmiando fra un conato e l'altro. Questa volta sorrisi di piacere perché si stava finalmente disintossicando da quei liquori. Mi misi a suonare il piano per non ascoltarlo, poi, un quarto d'ora dopo, lo vidi uscire dal bagno e sedersi sul letto con i capelli ancora bagnati ed un asciugamano a coprirgli le parti intime. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui. Fissammo i palazzi fuori dalla finestra, e se un pittore ci avesse osservati alle spalle, avrebbe dipinto un quadro meraviglioso. "Pensatori feriti", questo sarebbe stato il titolo.
"Cos'hai?" chiesi.
"E' quella puttana." fu la sua risposta.
"Cosa succede con lei?" non aveva fatto nomi, ma poteva trattarsi solo di Alena.
"Ha un nuovo fidanzato, Gustav Bruckner".
"Il figlio del giudice Bruckner?" ero sorpreso.
"Proprio lui. Non m'importa troppo di non poterla avere, Hugo - disse mettendosi le mani sul volto - ma il pensiero che ad averla sia quello spilungone con un occhio cieco mi uccide."
"Pavel, cosa vuoi che importi ad Alena della bellezza di quel ragazzo? - spiegai a cuore aperto - E' il figlio del giudice Bruckner, uno degli uomini più ricchi di Praga."
"Non riesco a credere che sia davvero così superficiale" disse, passandosi le dita fra i capelli ancora umidi. Poi fece una pausa, e riprese "Ah! Ma chi voglio prendere in giro!? Lo so eccome, so da sempre quanto sia inutile quella ragazza. Mi odio per questo. Come posso amarla?"
Avrei voluto rassicurarlo, avrei potuto incoraggiarlo elogiando le sue doti da compositore, spiegargli quanto quel mondo non fosse ancora pronto per due talenti come me e come lui, e che non avremmo dovuto soffrire così tanto per due creature inferiori al nostro genio. Eppure, non dissi nulla di tutto ciò, gli spiegai solo che, spesso, chi è addolorato per amore tende a dimenticare i propri pregi, e quasi non vuole più credere di averne.
Restammo ancora un po' a guardare il cielo dalla finestra, stando in silenzio. Eravamo stati sconfitti dall'amore, e purtroppo anche da noi stessi. Mi chiese poi di lasciarlo solo, lo compresi, e così me ne andai dandogli una pacca sulla spalla, invitandolo a reagire invece di buttarsi giù ed ubriacarsi. Ricordo che tornando a casa mi sentii un po' meglio, più sollevato. Ebbene, stavo soffrendo, ma non ero solo nel mio dolore, e guardando Pavel avevo capito che, forse, ero più forte di quanto pensassi.

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