VIII. La verità

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La mia, per la maggior parte della gente, non era stata altro che una bella esibizione alla quale avevano assistito con piacere. Nessuno di loro però, a parte Pavel, poteva sapere che quella era molto di più che una semplice melodia. Era infatti una dichiarazione d'amore, nella quale, senza dare troppo nell'occhio, avevo riposto la mia anima e i miei desideri più nascosti.
In quei giorni nell'orchestra qualcuno mi ammirava ed altri mi schivavano, forse pensavano che mi fossi esibito solo per farmi vedere, oppure perché, nella solitudine delle loro stanze, nell'intimità, davanti allo specchio, avevano sempre sognato di fare qualcosa del genere, senza mai averne il coraggio.
Un pomeriggio, ricordo, aspettavo Pavel nel mio appartamento e mi annoiavo a morte, mi alzavo e mi sedevo di continuo dal sofà, camminavo senza una meta. Odio le attese, mi trasmettono ansia, anche per le cose più inutili. Ricordo che passò più di un'ora e Pavel non si era ancora visto, così immaginai che non si sarebbe più presentato ed immediatamente caddi nello sconforto. Mi ricordai di quel giorno in cui avevo sequestrato le sue bottiglie di vino, e mi chiesi se non avessi gettato quelle ancora piene. Così raggiunsi lo sportello del mobile e ne trovai un paio, ancora sigillate. Rimasi qualche secondo a pensare se berle fosse la cosa giusta oppure no. Magari anche solo una, che male ci sarebbe stato in fondo?
Presi una bottiglia, quella di vino rosso, e la stappai, impugnai un calice e mi sedetti di fronte al piano. Bevvi a piccoli sorsi mentre suonavo, e prima che me ne rendessi conto un bicchiere era già andato. Pochi secondi dopo, ne avevo già vuotato un altro. Non sono mai stato un amante degli alcolici in generale, eppure quel giorno non so cosa avessi, avevo una gran sete, forse d'amore, forse di risposte che solo il vino riusciva a darmi. Faceva schifo ma ne bevvi più della metà, e se non avessero bussato alla porta l'avrei certamente scolata fino all'ultima goccia. Mi diressi verso l'entrata, doveva essere Pavel con un paio d'ore di ritardo, così aprii, e se fossi stato sobrio avrei probabilmente avuto un infarto. Sofia era lì, mi guardava con i suoi occhi grandi e curiosi, da bambina, ed io fermo di fronte a lei, ciondolante, con una bottiglia di vino mezza vuota in mano. Non dissi nulla, sgranai gli occhi per essere certo che non fosse una visione. Non lo era. Mi rubò la bottiglia dalle mani e, infilandosi sotto il mio braccio poggiato allo stipite, entrò nell'appartamento. Un po' frastornato, ma felicissimo di rivederla, chiusi la porta e la seguii. Si sedette sul letto, scelse una sigaretta dal mio pacchetto, accese un fiammifero ed aspirò. Probabilmente ero quasi ubriaco, ma ero certo di non aver mai visto Sofia fumare fino a quel momento. Anzi, ogni volta che mi vedeva voleva convincermi a smettere, perché quello era un vizio atroce ed avrebbe potuto uccidermi se ne avessi abusato.
"Non sapevo che fumassi, - dissi io incredulo - sei una cantante, ti farà male alle corde vocali."
"Pavel ha detto che hai scritto tu quel pezzo, - mi interruppe, tuffando la mano fra i capelli - e che l'hai scritto per me." Improvvisamente Sofia aveva smesso di essere la dolce bambina che era stata fino a quel momento, aspirava avidamente dalla sua sigaretta e, con un profondo sospiro, soffiava fuori il fumo in una nube effimera. Ogni giorno venivo a contatto con fumatori, ma mai mi era capitato di soffermarmi sul gesto del fumare, e ne vidi una magia: Sofia aspirava il niente, all'apparenza, e gettava fuori del fumo, materia, aspirava quindi qualcosa che dentro di sé trasformava in altro. Era una magia nascosta nel gesto più banale e ripetitivo che potesse esistere.
"Quella sonata sei tu - dissi, prendendo il pacchetto di sigarette sul tavolo - l'ho scritta per te, pensando a te, perché io ti amo." Estrassi una sigaretta, la misi in bocca e la accesi. "Sei ciò che voglio, ciò per cui vivo - Sofia continuava a fissarmi - vivo per te, solo per te, ed era giusto che tu lo sapessi". Fece cadere la cenere ed aspirò, poi si voltò verso di me "Scommetto che hai incantato Anna con le stesse parole - disse fredda - non è vero?". Nel pronunciare quelle parole i suoi occhi cominciarono a farsi rossi e lucidi.
"Non amo Anna - sorrisi - non l'ho mai amata, e da quel giorno in cui ti ho vista nel bar lei ha cessato di esistere dentro di me".
"Hugo - disse sospirando - Anna è una mia amica, non posso farle questo. Se avessi saputo sin da subito della vostra storia, e soprattutto dei suoi sentimenti, mi sarei fatta da parte - spense la sigaretta - Oramai è troppo tardi per tornare indietro, ma forse sono ancora in tempo per aggiustare le cose." Silenzio. "E' tempo per noi di ricominciare da capo, da buoni amici".
"Non farmi questo, ti prego - non poteva essere così - Anna non ti vuole bene, non è un'amica sincera."
"Cosa intendi?" rispose incuriosita.
"Mi ha detto che hai già avuto molte storie, e che ti sei già concessa svariate volte, con molti ragazzi" dissi fissando il pavimento.
"Hugo, sei patetico" mi guardò con disprezzo.
"Lo giuro sulla mia vita" dissi con la mano sul cuore.
Silenzio, ancora una volta.
Presi coraggio "Sofia, ho bisogno di credere che nelle parole di Anna non ci sia nulla di vero - sospirai - giurami che è tutto falso". Mi osservò per qualche secondo, come se stesse pensando a qualcosa in particolare, poi tolse il maglione, si slacciò la gonna e, con la sola biancheria intima indosso, si infilò sotto le coperte del mio letto. "Perché non vieni a scoprire tu stesso la verità? - disse con dolore - Se ti interessa così tanto, verifica tu stesso quante persone abbia mai amato prima di te." Ero completamente ghiacciato, il suo comportamento era del tutto inaspettato e strano, eppure faceva sul serio, non stava giocando, o fingendo, voleva davvero che entrassi nel letto con lei, e che scoprissi la verità nell'unico modo possibile. La guardai. Spensi la sigaretta.
Quella notte io e Sofia facemmo l'amore, e in lei riscoprii l'emozione che, anni prima, avevo provato con Magdalena. Dopo di lei, era sempre stato sesso, una semplice ed inutile soddisfazione di un bisogno. Con Sofia, invece, ero tornato ad avere diciassette anni, era stata come un'altra prima volta. Per lei, fu invece la vera prima volta, e capii che il mio cuore non mi aveva mai mentito, sapevo, dentro di me, che le parole di Anna erano solo bugie, ma era stata così brava da insinuare in me il dubbio, la cattiveria. Lei voleva tenermi tutto per sé, e così aveva sporcato il nome di Sofia. Mi vergognai per aver dubitato di lei, della sua purezza, e quella notte la amai con tutto me stesso. Quella notte riscoprii la felicità. Riscoprii la forza che mi avrebbe permesso di affrontare senza paura il mondo, un mondo nel quale si nasce solo per vivere un determinato momento, ed io lo avevo appena vissuto con lei. Stavolta nulla avrebbe portato via da me l'amore, non una seconda volta. Avrei passato la mia intera vita al suo fianco, e saremmo stati per sempre felici.
Sofia, nel sonno, per tutta la notte, strinse la mia mano, ed io non chiusi occhio. Ripensai a quelle labbra stampate sul bicchiere il giorno che se ne era andata, e capii che le aveva lasciate solo come pegno, che prima o poi sarebbe tornata a riprenderle, e non sarebbe andata più via, mai più.
Quella settimana Sofia rimase con me, stavamo insieme, chiusi in casa, nel nostro nido d'amore. La mattina mi svegliavo presto, uscivo, fumavo una sigaretta nel tragitto verso il bar, prendevo un latte macchiato e tornavo da lei, con la colazione. Ricordo quei giorni come i più belli, faceva freddo, le mie mani tremavano, ma c'erano i suoi abbracci a scaldarmi, la sua pelle ad accarezzarmi, ed ero felice, finalmente felice. Non saprei spiegare quella sensazione che scattava dentro di me, mettendo in moto meccanismi che non conosco. Era tutto così bello, così inaspettato. Sapete, fino a pochi giorni prima avevo creduto di averla persa per sempre, e nonostante questo sapevo che avrei continuato ad amarla per molto, molto tempo ancora. Sarebbe stata una tortura, ne ero cosciente, ma non potevo scegliere di non provare più nulla per lei, ed anche se avessi potuto non so se l'avrei fatto. Una musa, un'ispirazione, bisogna sempre averla, almeno dentro di sé.
Mi piaceva fare l'amore con lei, era fantastico. Non era sesso, non era nient'altro che amore. Io e lei, il resto era buio. Eravamo qualcosa di giusto, non saprei spiegare cosa, assolutamente perfetti e in sintonia.
Adoravo poi suonare e vederla ballare, nei giorni passati avevo creduto che dei nostri "duetti" mi sarebbe rimasto solo un lontano ricordo che, col tempo, avrebbe lentamente cessato di esistere. Invece lei era lì, davanti a me, e ballava solo per me, ancora una volta. Che meraviglia, era.
C'era la neve, e il Natale ci aveva uniti. La notte del nuovo anno, per le strade, qualcuno, fra la gente, mi riconobbe. Lo notavo dalle loro espressioni facciali, c'era chi strizzava gli occhi cercando di ricordare dove mi avesse già visto, qualcun altro mi fissava insistentemente, già certo di avermi riconosciuto, ma come alla ricerca di un'ulteriore conferma. Non mi interessava molto, quella fama era fine a sé stessa. Quell'esibizione, credevo, mi era stata utile solo a riconquistare Sofia. Mi sbagliavo. In quei giorni ricevetti infatti una lettera da un uomo d'affari francese, il signor Mathieu Morel, il quale mi proponeva un contratto con la sua etichetta musicale. Non riuscivo a crederci, immaginare il mio nome nelle locandine dei grandi teatri era sempre stato il mio sogno, ma ora che stava pian piano diventando reale mi spaventava a morte. Accettando il contratto, avrei fatto parte della "Timeless Sounds & Co.", avrei dovuto comporre e pubblicare almeno otto brani all'anno, e dovevo trasferirmi a Parigi. Già, Parigi.
Non volevo, non potevo rinunciare al mio sogno, ma anche Sofia, in fondo, era pur sempre un mio sogno. Aveva solo diciassette anni, i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di seguirmi, ed io non potevo chiederle di fuggire con me. Ricordo bene quei giorni, furono la tempesta dopo la quiete. Non avevo ancora dato una risposta al signor Morel, ma era abbastanza scontato che, di lì a poco, sarei partito. Ricordo Sofia, la sua espressione mentre mi passava una mano fra i capelli. "Cerca di capirmi" le dicevo triste, fissando il pavimento, evitando i suoi occhi. "Sta tranquillo - rispondeva, trattenendo le lacrime, accennando un sorriso disperato - io ti amerò comunque, e ti sarò fedele".
Non aveva tutti i torti, la distanza sarebbe stata certamente un problema, ma ci avrebbe divisi solo fisicamente. Sarei partito, ma ci saremmo appartenuti comunque, io e lei. Inoltre, non era escluso che i suoi genitori potessero cambiare idea col passare del tempo, ed in quel caso l'avrei accolta a braccia aperte a Parigi, e lì avremmo ricongiunto il nostro amore, una volta per tutte.
Così, nel febbraio del 1968, firmai quel contratto, lasciai il mio cuore a Praga, nelle mani di Sofia, e partii. L'avventura, finalmente, stava per cominciare.

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