X. Tonalità minore

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Scesi dal treno alla stazione di Roma. Non avevo nessun tipo di bagaglio, quindi non ebbi alcun ingombro. Per la strada fui assalito dai conducenti di taxi e fra tutti scelsi un uomo sulla sessantina, con il viso simpatico e un sorriso che sembrava stampato sul suo faccione paonazzo. Salimmo in macchina, non conoscevo una parola di italiano, e lui certamente non masticava il francese. Avevo avuto però l'accortezza di trascrivere l'indirizzo di Sofia su un foglio di carta, così glielo porsi. L'uomo sgranò gli occhi e lesse ad alta voce ciò che c'era scritto, poi mi guardò, sorrise, e alzò il pollice per comunicarmi che aveva capito. Tirai un sospiro di sollievo e mi rilassai. Così, ingranò la marcia e partimmo. L'autista parlava, parlava, e io osservavo i suoi occhi nello specchietto retrovisore, annuendo ogni tanto, ma senza mai capire nulla. Non so perché si ostinasse a parlare sapendo di non essere compreso, così spesso sorridevo, e lui sorrideva con me. Questa è l'Italia, pensai, questa è Roma. Dalla macchina osservai la gente compiere gesti quotidiani, e notai che le persone facevano esattamente le stesse cose di Praga o Parigi, ma con una differenza: sorridevano. In quel momento capii che il tassista non sorrideva perché era più simpatico degli altri, era semplicemente italiano, e questo fece sorridere anche me.

Giungemmo su una strada sterrata, l'uomo mi fece scendere e mi indicò una casa un centinaio di metri più avanti. Diede un paio di calcetti alle ruote, ed intuii che non voleva rovinarle entrando in quella via. Pagai e lo salutai con affetto, poi cominciai a camminare. Misi le mani in tasca, il vento era tiepido ed accarezzava i miei capelli dolcemente. Fra mille pensieri, giunsi al cancello, diedi uno strattone e mi accorsi che era aperto. Entrai, e passai attraverso un sentiero circondato da alberi alti che facevano filtrare pochissima luce fra le foglie. Gli uccelli cinguettavano felici, facendo un baccano incredibile. C'era una salita davanti a me, ma ai lati ora seguiva un prato sconfinato, pieno di fiorellini bianchi. Seguendo la S che il sentiero formava serpeggiando verso l'alto, scorsi nel cortile accanto alla casa una figura femminile, con lo sguardo fisso su un libro. Era lei, Sofia, seduta su una sedia a dondolo di legno, indossava occhiali da sole. Rallentai il passo, ero spaventato ma felice di averla ritrovata, eppure le mie gambe continuavano ad andare da sole, senza che io le controllassi. Dovevo calmarmi, ero sempre più vicino, una cinquantina di passi al massimo, e non sapevo cosa fare. Forse mi stava aspettando, pensai, chissà da quanto. Spezzai il silenzio cominciando a fischiettare "Tonalità minore", ma lei non si accorse di nulla, probabilmente era molto assorta nella sua lettura. Così continuai, più forte, e questa volta il suo volto si staccò dalle pagine, e il suo sguardo si alzò verso di me. Mi fermai. Le mani in tasca, un sorriso ebete sul viso mentre continuavo a fischiare. Alzò gli occhiali da sole, raccogliendo i capelli all'indietro. Vidi i suoi occhi riempirsi di gioia e la sua bocca aprirsi leggermente dallo stupore. Il libro le cadde dalle mani, eppure rimase seduta, immobile. Smisi di fischiare, feci un breve inchino. Scese una lacrima sul suo viso. "A Sofia" dissi, e scese una lacrima anche a me. Uno stormo di uccelli volò sopra di noi senza fare troppo rumore.

Fine.

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