Chapter fourteen

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Chiudo la chiamata di botto e salgo di corsa al piano di sopra. La mamma mi segue, rimanendo sotto l'arcata della porta. Tiro immediatamente fuori da sotto il letto la valigia.
"Cosa credi di fare?!" quasi urla in preda all'isteria. La guardo con tanto di occhi.
"Niall non da segni di vita, mamma! Non posso rimanere qui!" dico, prendendo le robe dalla base del letto e da sopra la scrivania, lanciandole alla rinfusa nel bagaglio. Devo tornare a Los Angeles adesso, non posso lasciare Niall da solo. Sento il cuore battermi a mille e le lacrime agli angoli degli occhi. Tiro su con il naso. Non posso credere che gli sia successo qualcosa, un'ora fa stavamo parlando a telefono e adesso Jennifer mi avvisa che non si muove. No, non può essere. Cosa mai potrebbe essere accaduto nell'arco di sessanta minuti? Mentre continuo a gettare nella valigia le magliette che mi trovo davanti, sento la mamma trafficare nella sua stanza, tornando nella mia reggendo tra le mani un trolley bordeaux. "Non ti lascio tornare da sola" dice, prendendo il cordless appoggiato sul mobile nel corridoio. Lascia il trolley a terra a traffica con l'altro mano sul suo telefono. Chiudo la valigia tirando la cerniera, sedendomici sopra per permettere che tutto ci entri. Non ho preso tutto, ma non fa niente. La mamma finalmente trova quello che stava cercando fino a qualche secondo fa. Compone immediatamente il numero sull'altro telefono e se lo porta all'orecchio. "Che fai?" le chiedo, legandomi i capelli in una coda alta.
"Chiamo l'aeroporto" la sento dire, prima che inizi a camminare a grandi falcate lungo tutta la lunghezza del corridoio. Poi la sento imprecare mentre prendo la giacca appoggiata sul letto. "Non rispondono, cazzo!" sbotta, prendendo il manico del trolley e scendendo le scale, facendo sbattere la sua piccola valigia su ogni scalino. Giunte nell'ingresso, prende le chiavi di casa e si richiude la porta alle spalle. Scendo gli ultimi gradini del patio e spingo il cancelletto di lato, fiondandomi in strada. La macchina della mamma è parcheggiata dietro l'angolo. Corriamo lungo il marciapiede, non possiamo permetterci di perdere altro tempo. Quando mettiamo malamente i bagagli nel baule, ci fiondiamo dentro e mette subito in moto. Appoggio la testa contro il finestrino, sospirando pesantemente. Tiro fuori dalla tasca il telefono e chiamo Jennifer. Il cellulare squilla a vuoto e inizio a muovere freneticamente la gamba. Perché diamine non risponde?
Chiudo la chiamata, sbattendo il telefono contro la coscia. Il tragitto verso l'aeroporto sembra più lungo di quanto sia mai stato quando sono atterrata qui appena tre giorni fa.
Respiro con la bocca aperta, giocando con la lingua e mordendomi il labbro inferiore. La mamma non ha mai guidato così velocemente.
Il telefono mi vibra contro la coscia e lo sollevo così velocemente che sembra io abbia appena avuto un crisi epilettica. E' un numero che non riconosco.
"Sì?" dico con l'affanno, e noto chiaramente mia madre gettare un'occhiata nella mia direzione.
"Jessica?" chiede una voce abbastanza squillante e in preda all'ansia.
Mi avvicino con la mano il telefono, come se tenendolo completamente aderente all'orecchio possa aiutarmi a capire meglio. "Chi parla?"
"Sono Josh!"
Sbatto ripetutamente la palpebre. "Cosa è successo? Perché Jen non risponde?"
La mamma tamburella le dita contro il volante muovendo la mascella come se volesse impegnarla nel masticare qualcosa. La sento respirare pesantemente accanto a me. "Che ha Jennifer?" chiede con la voce tremolante. "Giuro che se l'è capitato qualcosa-"
"Parla, Josh, per favore!" quasi urlo, smorzando le domande di mia madre.
Josh respira contro il microfono. Intorno a lui c'è caos. "E' arrivata l'ambulanza" si affretta a dire, "ma tua sorella ha il telefono scarico. E' salita sull'ambulanza per stare con Niall, non essendoci nessuno a portata di mano."
"Perché non sei con lei?!" urlo, spostando gli occhi mentre la mamma si infila frettolosamente nel parcheggio dell'aeroporto. Ci sono migliaia di macchine, il sole si riflette contro i vetri trasparenti e il forte rumore dei motori degli aerei permea l'aria. Scendiamo dall'auto, recuperando i bagagli.
"Perché accettavano una sola persona!" sbotta lui, con l'affanno. "Adesso sto correndo come un coglione per strada per recuperare un cazzo di taxi per l'ospedale!"
"Buon Dio!" dico, reggendo la valigia con la mano mentre io e mia madre entriamo nell'imponente atrio pieno di turisti. Molti si girano a guardarmi, ma prontamente li scanso. Adesso nessuno deve importurnarmi. "Ti prego, Josh, raggiungi mia sorella, io sto prendendo il primo volo per Los Angeles proprio adesso!"
"Lo farò" dice, e riattacca. La mamma ha l'affanno e si guarda intorno per cercare il tabellone. Mantengo il telefono in mano mentre mi spingo oltre i corridoi per cercare un cazzo di schermo con gli orari dei voli. Lo vedo in fondo sulla destra e inizio a correre con il bagaglio appresso. Quando arrivo ai piedi del tabellone, controllo Los Angeles.
Nessun volo in partenza.
Vedo in basso e noto i prossimi orari.
Il primo volo per Los Angeles è alle 16.50.
E sono le 14.35.
Sbatto il piede per terra. "Ma porca puttana!"
La mamma si porta una mano sullo stomaco per prendere fiato. "Tranquilla" prova a dire, "troveremo un mo-"
"No, mamma, no! Non c'è nemmeno un fottuto aereo a disposizione, e di certo non posso chiamare il nostro perché impiegherebbe cinque ore ad arrivare!"
"Due ore passano in fretta, andiamo a fare i biglietti."
Mi prendo il labbro superiore tra i denti e seguo la mamma verso il check in.
Dopo circa tre quarti d'ora, riusciamo ad avere i nostri pass, così ci invitano ad accomodarci nella sala d'attesa. Mi sento impotente, non posso aspettare stando con le mani in mano. Non sapere nemmeno niente mi uccide. Perché nessuno mi chiama? Mi siedo pesantemente contro la sedia in plastica blu e mi sollevo sulla testa il cappuccio della giacca. Prendo il telefono e lo sblocco, facendo delle brevi ricerche per sapere se la notizia si è diffusa o meno. Niente. Non hanno ancora detto niente. La mamma mette a posto i documenti, strofinandosi la base del mento. I turisti ci osservano e ci passano accanto indifferenti.
Ad un certo punto, sia il telefono della mamma, sia il mio suonano contemporaneamente. Risponde prima lei, e capisco si tratti di Lizzie.
Chiudo gli occhi, tirando un sospiro profondissimo, poi rispondo al mio. E' lo stesso numero di prima.
"Jessica!" La voce di Jennifer mi trapana il timpano.
"Finalmente ti fai viva, cazzo!" quasi urlo, seppellendo la testa nella mano appoggiata contro la fronte. "Dimmi di Niall."
"E' vivo, Jess" la sento parlare piano, "adesso Josh è con me e i dottori ci hanno informato che gli stanno facendo le analisi."
Mi lascio cadere contro lo schienale della sedia. "Grazie a Dio."
"Josh mi suggerisce che stai tornando" esclama.
Annuisco. "Sì. Ma spiegami come è successo."
Un attimo di silenzio dall'altra parte della linea, mentre nell'aeroporto viene fatta diffondere per l'interfono la chiamata per il volo Miami - Lisbona. Una famiglia si alza alle mie spalle e mi supera sulla destra. Ci sono due bambini che trasportano i loro piccoli trolley, il manico ben stretto nelle manine mentre cercando di stare al passo dei genitori che sono sul punto di scappare.
"Ci eravamo sentiti telefonicamente, e alla fine sapendo sarebbe stato solo, l'ho invitato a pranzare con me e Josh" inizia a spiegare. Ad un certo punto la sua voce si fa più ovattata, in quanto stacca il telefono dall'orecchio per un attimo. "Ok, va bene" la sento dire, prima che il suo respiro riempi nuovamente il microfono e la sua voce si faccia più tremolante. "Mi hanno cacciata dal reparto, dicono faccio troppo chiasso."
"Continua" la istigo, mentre la mamma si allontana e parla ancora al telefono.
"Dicevo. Alla fine, poiché doveva sbrigare delle faccende in ufficio, gli avevo detto che sarei passata a prenderlo io. All'ora prestabilita, mi sono recata nel suo ufficio, ma non ho trovato nessuno. Ho provato allora a chiamarlo sul cellulare, ma nessuna risposta. Così, per non so quale motivo, ho pensato si potesse trovare nella sala prove. Quando ho aperto la porta in legno" dice con un soffio di voce, come se fosse traumatizzata. Mi siedo meglio, con la spalla dritta. "l'ho trovato steso scompostamente per terra, con una miriade di fogli sparsi intorno a lui. Il suo corpo.." inizia a parlare più rapidamente, come se non volesse perdere il filo del discorso e la sequenza di immagini che si svolgeva di nuovo sotto i suoi occhi, sicuramente persi nel vuoto. Trattengo il fiato, mentre la sento continuare. "Il suo corpo era esattamente nel mezzo della scenografia, appena visibile sotto un occhio di bue gettato su di lui, come se volesse cogliere l'attenzione di qualcuno. Ho provato a smuoverlo, metterlo in piedi ma le mani mi tremavano. La stanza era vuota e buia quasi interamente, non c'era nessuno che mi potesse aiutare. Ho chiamato l'ambulanza, cercando intanto di farlo riprendere, ma ogni mio tentantivo era nullo. Solo dopo è apparso Jason e con lui tutta la truppa. I fogli sparsi per terra erano del curriculum di Harry, ma ovviamente non li ho raccolti. Non ci ho badato più di tanto. Ho accompagnato Niall nell'ambulanza. Avevo paura avesse avuto un infarto, come suo padre.." poi la sento singhiozzare.
Respiro affannosamente. "Sto arrivando, tranquilla. Andrà tutto bene, sto tornando a casa" dico, notando l'orario sullo schermo. 16.15. Manca poco, dai.
"Ok" dice, e poi chiude la chiamata. Niall è il mio migliore amico, ho una morsa alla gola che mi fa risultare difficile persino respirare. La mamma si risiede accanto a me.
"Lizzie mi ha detto di darle notizie appena possibile."
Annuisco, poi la mamma mi accarezza una spalla. "Ce la facciamo, tranquilla. Cosa ha detto Jennifer?"
Le faccio il riassunto di quello che mia sorella mi ha appena raccontato, sentendo la voce farsi più asciutta man mano che il racconto prosegue. Voglio piangere, ma non ci riesco.
Il mio racconto viene interrotto alla fine per il telefono che ha preso nuovamente a vibrare nella mia mano. "E quindi niente" dico alla mamma, concludendo. "Stanno facendo le analisi." Poi annuisce e mi fa cenno di rispondere.
E' Harry.
Mi alzo in piedi e mi allontano, non voglio che la mamma mi senta.
"Ehi" dico, avvicinandomi il telefono all'orecchio.
"Mi dispiace" dice con il suo tono basso e roco.
"Io non ho parole" ammetto, mordendomi il labbro. "Non capisco come possa essere successo."
C'è silenzio dall'altra parte della linea. "Lo so."
"Aveva il tuo curriculum in mano."
"So anche questo" risponde subito. "Dovevamo vederci, ma non abbiamo fatto in tempo.."
Rimango in silenzio, appoggiando la testa contro il vetro della finestra.
"Vorrei che tu stessi qui con me ora" dice Harry, e dei piccoli brividi cospargono la mia pelle abbronzata.
"Anche io" ammetto. L'interfono chiama per la terza volta il volo per Lisbona, poi passa in rassegna la prima chiamata per Los Angeles.
"Cos'è questo rumore?" dice Harry dall'altra parte della linea. Mi giro verso mia madre, la quale mi sta indicando la mia valigia per poter andare presso il gate.
"Sto tornando, Harry" dico, avviandomi verso di lei.
Un risucchio, poi la sua voce mi appare chiara e limpida. "Adesso?"
"Sì, ma non sarò lì prima di cinque ore. L'attesa mi sta uccidendo."
Un mugugno dall'altra parte della linea. "Okay, io nel frattempo sono ancora qui in ufficio perché arriveranno i poliziotti a fare delle indagini. Hanno chiamato me e altri collaboratori affinché mostrassimo loro i laboratori e le stanze. Il tempo passerà. Impiegheremo queste cinque ore al meglio, e passeranno come se niente fosse. Promesso."
Tiro su con il naso. Annuisco contro il telefono. "Ok."
"Ti prego, non piangere" dice lui. "Andrà tutto bene. A dopo, Jess." E chiude la chiamata.
Metto il telefono in tasca e mi dirigo verso mia madre. Prendo la valigia e finalmente ci avviamo verso il gate. Dopo circa dieci minuti dall'imbarco, prendiamo il volo.
Finalmente torno a casa.

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