24. Adam

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Michael parlava da chissà quanto, ma avevo smesso di ascoltarlo parecchi minuti prima. Aveva detto che voleva parlarmi appena finite le lezioni, quindi mi ero trattenuto nel cortile della scuola con lui, che sembrava decisamente esaltato: se quello che avevo capito prima di distrarmi era corretto, stava raccontando il suo ultimo appuntamento con Caleb che sembrava essersi concluso con un bacio molto appassionato.
Probabilmente era stato quel dettaglio a farmi perdere la concentrazione: il ricordo di Scarlett e dei nostri baci era tornato prepotentemente a farsi strada nella mia mente tagliando fuori tutto il resto. Era stato così improvviso e intenso che ancora faticavo a rendermi conto che era successo davvero, non me l'ero immaginato.
Lei era così piccola eppure così piena di vita... Averla tra le mie braccia era stato come un sogno ad occhi aperti che non avevo realizzato di desiderare: da quando avevo cominciato a considerarla una bella ragazza e non una scocciatrice lunatica? Da quando avevo cominciato a notare quanto fosse bella la sua pelle chiara, la curva morbida del suo collo, le sue labbra rosee, i suoi occhi da cerbiatto, il modo in cui i capelli le accarezzavano la schiena?
«Stai ancora pensando a Shirley?» La voce di Michael mi risvegliò dai miei pensieri.
Sollevai lo sguardo su di lui, confuso. «Chi è Shirley?»
«Scusa, colpa mia. Intendevo Samantha.» Si corresse per poi guardarmi in attesa della mia risposta.
«Non conosco nessuna Samantha.» Replicai. «Di chi stai parlando?»
Sembrò irritato. «Quella a cui fai ripetizioni.»
«Ah... Scarlett.» Dissi annuendo.
Fece un gesto sbrigativo con la mano. «Sì, quella lì. Allora, stai pensando a lei?»
«No.» Mentii distogliendo lo sguardo. «Perché dovrei?»
«No, certo. E io sono la moglie del presidente.» Borbottò lui guardandomi male.
«Beh, congratulazioni.» Mormorai mordicchiandomi il labbro.
Lui mi mollò un calcio. «Parla, Meyers.»
Sospirai e mi strinsi nelle spalle. «Che vuoi che ti dica?»
«La verità.» Ribatté in tono ovvio.
«D'accordo, d'accordo. Sì, stavo pensando a lei.» Ammisi. «Contento?»
«No. Voglio i dettagli. Che è successo tra voi?» Insistette, lo sguardo improvvisamente malizioso.
«Niente. Abbiamo avuto un momento di tensione, ma poi abbiamo risolto.» Spiegai. Al suo sguardo scettico aggiunsi: «Davvero, Michael, è tutto qui.»
«Mmh.» Socchiuse gli occhi. «Non ti credo neanche un po'. Avanti, a me puoi dirlo.»
Valutai l'idea di mentire di nuovo, ma a che scopo? Mi conosceva bene e riusciva a capire sempre se c'era qualcosa che non andava. E poi avevo bisogno di parlare con qualcuno di quello che era successo con Scarlett. Trassi un respiro profondo sperando che non si esaltasse troppo. «L'altro giorno... ecco, l'ho baciata.»
«Ah-ah!» Saltò su lui con aria trionfante. «Lo sapevo che c'era qualcosa sotto!» Alcuni ragazzi si girarono a guardarlo, sorpresi dal suo tono fin troppo acuto. Michael li ignorò bellamente. «Allora? Com'è successo? Lei come ha reagito? Era una cosa voluta? E dopo che è successo? Come è stato?»
Alzai gli occhi al cielo. «Ehi, frena. È stato solo una bacio.»
Non gli avevo parlato di quello che era successo quella sera in quel locale durante il gioco della bottiglia perché sapevo che avrebbe dato di matto se l'avessi fatto: Michael aveva un debole per i pettegolezzi. Per questo e perché non volevo rivelare troppo, non menzionai il fatto che il realtà io e Scarlett ci eravamo baciati due volte.
Sollevò un sopracciglio e mi puntò contro un dito. «I dettagli. Adesso.»
«Mi ha chiamato dicendo che aveva bisogno di parlare con qualcuno. Ci siamo incontrati e mi ha detto che il suo ragazzo l'aveva lasciata.» Raccontai cercando di sintetizzare al massimo. «L'ho consolata, ci siamo abbracciati e... ci siamo baciati. Fine della storia.»
«Quindi è venuta da te in cerca di supporto? Oh, che cosa tenera! Si fida di te allora.» Esclamò lui sorridendo. «E tu l'hai confortata... Se questo non è amore...»
«Ha appena rotto con il suo ragazzo, non penso sia in cerca di un'altra storia. Non così presto almeno. E poi, non c'è amore tra noi, assolutamente.» Protestai.
«Okay, magari amore è una parola grossa, ma qualcosa c'è. Su, non puoi negarlo.» Insistette lui.
Abbassai lo sguardo. «Non lo so, Michael. Lei è... complicata, cambia umore ogni cinque secondi, però... ha qualcosa che mi piace. Nello stesso tempo non voglio sembrare un approfittatore che va con lei ora che è fragile per via della rottura col suo ragazzo. Se proprio deve succedere qualcosa vorrei che fosse perché entrambi lo vogliamo.»
«Senti, secondo me tu e Sheila sareste una bella coppia.» Commentò lui. «L'ho vista in giro per la scuola e hai ragione, è carina. Se poi si fida di te al punto da cercarti in un momento di debolezza vuol dire che ti vede come qualcosa in più di un semplice amico.»
«Scarlett, si chiama Scarlett. A parte questo, non so se stare con lei è ciò che voglio. La conosco da poco e non siamo mai usciti insieme, non ci siamo mai visti come "possibile ragazzo" e "possibile ragazza". Siamo sempre stati Scarlett e Adam, due cose distinte.» Strinsi le labbra. «Insomma, ci siamo baciati solo una volta.»
«E allora? Hai mai sentito parlare dell'amore a prima vista? Del colpo di fulmine? Dovreste darvi una possibilità. Se poi non dovesse funzionare almeno saprete di averci provato.» Replicò lui studiandomi.
«Forse.» Concessi senza sbilanciarmi troppo.
Sospirò con fare teatrale. «Devi buttarti, Adam, okay? Lascia stare la razionalità, fregatene dei rischi e dille che vuoi stare con lei.»
«Devo capire se lo voglio prima.» Risposi aggrottando la fronte.
Lui sbuffò, esasperato. «Sì, che lo vuoi. È ovvio. E se non glielo dici tu lo farò io.»
Per un attimo mi venne voglia di rinfacciargli la sua codardia quando aveva dovuto dire a Julia che l'aveva tradita, ma mi trattenni: non sarebbe servito a niente infliggergli un colpo basso del genere. «Okay, okay. Le parlerò.»
«Bene.» Commentò lui cercando di fingersi serio. Ma poi si lasciò sfuggire un sorriso. «Sono contento per te, comunque. Dopo Elisabeth non sei più uscito con nessuno.»
Scrollai le spalle. «Non c'era nessuno che mi interessasse.»
«O forse volevi aspettare che una certa Susanne si liberasse, eh?» Mi provocò con un sorrisetto.
Sorrisi anch'io. «Non credo proprio. E comunque si chiama Scarlett. Te l'ho detto meno di un minuto fa.»
Si lasciò sfuggire una smorfia. «Non me lo ricordo mai. Eppure Scarlett Johansson è una delle mie attrici preferite...» Scosse la testa. «Credo che dovrai farle indossare una di quelle targhette con il nome, come quelle dei camerieri, se vogliamo evitare brutte figure.»
«Oppure potresti semplicemente imparare il suo nome.» Proposi.
«Non mi ricordo neanche cosa ho mangiato ieri, secondo te posso ricordarmi il nome della tua quasi-ragazza?» Mi fece notare sollevando le sopracciglia.
«Ci spero.» Confermai. «Io l'ho imparato il nome del tuo ragazzo.»
Si grattò la testa distogliendo lo sguardo. «Uh... Beh, in questo caso allora... Forse posso farcela.»
«Sarebbe molto carino da parte tua.» Convenni lasciandomi sfuggire un sorriso.
Lui trasse un respiro profondo e controllò l'orologio. «Okay, io devo andare: Caleb ha una partita oggi pomeriggio e mi ha chiesto di andare a vederlo.»
«E visto che tu sei un grande fan del basket vai di sicuro, mmh?» Lo stuzzicai.
Lui mi fece una smorfia. «Ah-ah, simpatico. E comunque vado solo per vederlo in canottiera. Lo farò felice e avrò un bello spettacolo da vedere: due piccioni con una fava, no?»
Sorrisi di nuovo, divertito. «Oh sì, sembra un ottimo piano.»
«Vero?» Ricambiò il sorriso e mi diede una pacca sulla spalla. «Ci vediamo domani.»
«A domani.» Replicai.
Lui mi fece un cenno di saluto prima di allontanarsi, le mani nelle tasche dei jeans. Lo guardai per un paio di secondi finché non si dileguò. Il cortile cominciava a svuotarsi e, in effetti, dovevo andarmene anch'io.
«Adam Meyers?» Domandò una voce sconosciuta alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e mi trovai davanti un ragazzo alto, slanciato, con i capelli biondo cenere e gli occhi verdi tendenti al grigio. Aveva un'ombra di barba sulla mascella affilata e l'aria cupa, come se nascondesse infiniti misteri.
Indossava dei jeans neri, una maglietta rosso scuro e una giacca di pelle. Sembrava avere poco più di vent'anni. Lo sguardo era duro, freddo, ma anche profondo, come se nascondesse mille parole non dette.
Mi schiarii la gola: non potevo negare che un po' mi intimidiva. Sembrava così sicuro di sé e forte... E ben informato anche. «Tu sei?»
Nei suoi occhi passò un lampo. «Conosci Scarlett Dawson?»
"Che c'entra Scarlett adesso?", pensai confuso. «Che ti importa di lei?»
«Sai che cos'è lei?» Aggiunse come se non avessi aperto bocca.
Esitai: Scarlett non me l'aveva mai chiesto esplicitamente, ma mi ero preso di mia spontanea volontà l'impegno di mantenere il suo segreto. E adesso un perfetto sconosciuto che sapeva anche troppo veniva a chiedermi proprio quello che non avrei mai dovuto dire.
«Una ragazza?» Tentai sperando che non intuisse che stavo mentendo.
Un sorrisetto gli sfiorò le labbra. «Sì che lo sai.» Sembrava che ignorasse bellamente tutte le mie risposte, che in realtà erano domande.
«Senti, che vuoi da me? E da lei?» Replicai senza togliergli gli occhi di dosso.
Mi osservò per qualche secondo prima di parlare. «Hai mai sentito parlare di cacciatori di licantropi?»
«No. Ma non capisco cosa c'entri adesso.» Ribattei sperando che si decidesse ad essere un po' più chiaro.
Socchiuse appena gli occhi, come se avesse voluto mettere a fuoco qualcosa. «C'entra, credimi.» Non aggiunse nient'altro per un po', tanto che pensai che la nostra conversazione irritante e incredibilmente confusa fosse finita lì. Poi, di punto in bianco, disse: «L'hanno presa.»
Sentii un brivido freddo scendermi lungo la schiena anche se non ero sicuro di aver capito a cosa si riferiva. «Che intendi? Chi ha preso chi?»
«I cacciatori hanno preso Scarlett.» La sua voce era sorprendentemente calma.
La mia prima reazione fu un misto di paura e scetticismo: com'era possibile che dei cacciatori che non avevo mai sentito nominare fossero spuntati fuori all'improvviso e avessero catturato Scarlett? «Preso? No, non è possibile.»
Ci fu un cambiamento minimo nella sua espressione imperturbabile, ma fu così leggero che quasi pensai di essermelo immaginato. «Perché no? L'hai vista oggi?»
«Beh, no.» Ammisi. «Ma non abbiamo neanche una lezione insieme quindi è possibile che non ci siamo mai incrociati.»
Doveva essere così, giusto? Insomma, chi si mette a dare la caccia ai licantropi? E poi, come sapevano cos'era lei? No, doveva essere tutta una messinscena di quello strano ragazzo spuntato fuori dal nulla. Certo, però, sapeva un sacco di cose piuttosto compromettenti, questo dovevo ammetterlo.
«Oppure l'hanno catturata i cacciatori.» Replicò lui stringendosi appena nelle spalle come se non se nulla fosse.
Scossi la testa e distolsi lo sguardo. «No, andiamo, non può essere. Ci deve essere un'altra spiegazione.» Tornai a guardarlo mentre una strana sensazione di gelo strisciante si faceva strada in me. «Chi mi dice che questi fantomatici cacciatori esistono, eh?»
I suoi occhi si incupirono di colpo. «Io te lo dico. E credimi, lo so per certo.»
«Non è realistica come cosa.» Protestai passandomi una mano tra i capelli. «Senti, posso chiedere ad una sua amica se oggi c'era o no.»
"Così mi dirà che ha fatto lezione con lei, che sta bene, che adesso è casa a guardare quel reality sulle modelle che le piace tanto", aggiunsi mentalmente.
Arricciò appena le labbra, come se fosse stato irritato, ma si ricompose subito. «Okay, fa' pure.»
«Bene.» Commentai prima di voltarmi e cercare Elisabeth con lo sguardo, sperando che fosse ancora lì.
Quando la trovai mi lasciai sfuggire un silenzioso sospiro di sollievo. Mi incamminai verso di lei, ma non abbastanza in fretta da non sentire il ragazzo aggiungere: "tanto di tempo ne abbiamo da vendere..." con un tono fin troppo sarcastico per i miei gusti.
Elisabeth stava parlando con una sua amica, una bionda che avevo già visto con lei, dall'altra parte le cortile. Appena le fui vicino la richiamai sentendo la tensione nella mia stessa voce. Elisabeth si voltò e un sorriso sorpreso le incurvò le labbra.
«Adam, ciao.» Disse sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Era impeccabile come sempre, con quella gonna blu e la camicetta in tinta.
«Ehi.» Risposi sperando di riuscire a nascondere la preoccupazione per qualcosa che magari non era neanche successo. «Senti, hai visto Scarlett oggi? Devo... uhm, restituirle il libro di matematica. Sai, l'ha dimenticato dopo le ripetizioni...»
«Oh...» Aggrottò la fronte. «No, non l'ho vista. In effetti, non c'era a lezione di inglese. Forse è malata.»
Sentii un brivido gelido scivolarmi lungo la schiena a quelle parole. Scarlett mi aveva detto che la costituzione dei licantropi, più forte ed allenata di quella umana, impediva loro di ammalarsi; solo le malattie particolarmente gravi come il cancro o i tumori potevano fare breccia nel loro sistema immunitario.
Il biondino aveva ragione allora? C'erano davvero dei cacciatori di licantropi in giro per la città? E avevano messo le mani su Scarlett?
Mi schiarii la gola e abbozzai uno dei sorrisi peggio venuti della mia vita. «Okay, grazie lo stesso.»
Un angolo della sua bocca, con le labbra colorate di rosa scuro, si sollevò. «Figurati.»
Mi voltai e tornai verso il punto dove avevo lasciato quello strano ragazzo sperando che se ne fosse andato, che fosse stato tutto uno stupido scherzo. Invece lui era ancora lì, appoggiato ad un muro con una spalla, l'espressione ancora indecifrabile.
«Allora?» Chiese appena gli fui di fronte.
Mi si strinse la gola. «Non era a scuola.»
Si allontanò appena dalla parete. «Oh ma guarda, chi l'avrebbe mai detto?»
«Basta con questi giochetti.» Sbottai. «Cosa vuoi da me? E che vuol dire che i cacciatori l'hanno presa? La uccideranno?»
«Ci sono buone probabilità che succeda, sì. Ma prima vorranno sapere se ha un branco e, se sì, dove sono gli altri.» Spiegò senza perdere la calma. «Da te voglio collaborazione, aiuto, chiamalo come vuoi. Anche a me interessa riportarla a casa sana e salva.»
Non era la domanda più appropriata da fare, non con la vita di Scarlett in pericolo, ma non riuscii a trattenermi. «Perché?»
I suoi occhi verde-grigio si accesero per un attimo. «Ho le mie ragioni.»
Distolsi lo sguardo: il suo atteggiamento tutto sottintesi e parole non dette mi dava ai nervi. «Che succede adesso?»
«Adesso andiamo a prendere a calci qualche bastardo.» Replicò lui sollevando il mento in segno di sfida.

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