Capitolo Diciannovesimo

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Abbassai gli occhi, socchiudendo leggermente la bocca.

Casa.

Potevo considerare quel maestoso castello gotico casa mia? Potevo ritenermi davvero a casa?
Probabilmente non aveva importanza.
Dovevo sentirmi a casa.

Aggrottai la fronte, fissando la pioggia che si riversava a terra, incessante.
Appoggiai la fronte contro al vetro, sospirando piano. La mia mente si improvvisò piovra, intrappolando tra i suoi lunghi tentacoli decine di devastanti ricordi. Ogni immagine era una coltellata al petto.
Serrai gli occhi.
Una lacrima scivolò sul mio viso, fino a toccarmi la punta del naso e cadere a terra.

-Ehi, angelo.- spalancai gli occhi. La mano di Evan sfiorò il mio viso. Il silenzio venne squarciato dalla sua voce. -Non essere triste.-

Il moro appoggiò la nuca contro al vetro, sorridendo leggermente. Lo guardai, inebetita. Mi aveva chiamata "angelo".
Considerando il fatto che effettivamente ero un angelo, la cosa non avrebbe dovuto sorprendermi. Eppure, ci misi cinque minuti buoni per realizzare la cosa.

-Che ne dici di parlarmi un po' di te, Ctor?-

Scossi la testa, sorpresa.

-...cosa?-

-Ti va di raccontarmi la tua storia?-

-Non vedo che storia dovrei raccontare.- mentii.

-Tutti abbiamo una storia da raccontare, Victoria. Che sia una favola o una tragedia, siamo tutti fatti di parole.-

Tacqui qualche secondo, cercando di realizzare ciò che stava dicendo.
Volevo davvero raccontargli la mia storia e riversargli addosso i miei demoni? Volevo aggiungere tragedia su tragedia?
Sospirai. Ero pronta a liberare i miei fantasmi?
Puntai i miei occhi nei suoi. Quel castano velato di rosso mi incalzava a parlare, a liberarmi di quel terribile carico che portavo quotidianamente sulle spalle, cercando di nasconderlo dietro una battuta.
Lo ascoltai respirare, cercando di ricordare il nostro primo incontro. Il ricordo della sua risata pervase la mia mente, facendomi decidere.

Era Evan. Doveva sapere.

Sbattei le palpebre per l'ennesima volta, raccogliendo l'energia per parlare.

-...è piuttosto lunga, da raccontare.-

Il moro si sedette sul letto, inarcando un sopracciglio.

-Ho tutto il tempo che vuoi, angelo.-

Mise su un sorrisetto, lasciandomi interdetta per qualche secondo. Mi aveva chiamata di nuovo così, ma questa volta aveva un tono diverso. Sfiorai la finestra con la schiena, scuotendo lievemente la testa.
Socchiusi la bocca, pronta per dare sfogo a tutto ciò che avevo imparato a sopportare in anni di tormenti.

-Sono nata il 22 aprile in una cittadina dimenticata da Dio. Ho sempre vissuto a fianco della mia gemella, Alexandra.- ricacciai indietro le lacrime al pensiero di Ael che mi cacciava da casa sua, impaurita. -Non vivevamo in simbiosi, ma poco mancava. Affrontavamo insieme la terribile situazione famigliare che ci attanagliava, i reciproci incubi e paure. Eravamo una sola anima in due corpi differenti.-

Presi un respiro profondo, pensando a tutto ciò che ci era capitato. Deglutii, cercando di liberarmi di un groppo che mi si era formato in gola.
Mi sedetti accanto a Evan. Il moro non lasciava trasparire alcuna emozione, ma i suoi occhi parlavano chiaro. Quella luce rossastra da cui erano velati sembrava più intensa e cupa, in quel momento.

-Finché non se ne andò. Alexandra scambiò un cadavere carbonizzato per il suo corpo. Attaccò il suo bracciale al polso del cadavere, e io me la bevvi.- mi morsi la lingua per non iniziare a singhiozzare. -La credevo morta. Ho passato due anni senza di lei, senza il suo sostegno. Ero costretta ad affrontare da sola i tentativi dei miei genitori di rovinarsi la vita a vicenda. Ero costretta a inquietare i miei compagni di scuola per non diventare loro vittima.-

Sgranai gli occhi al ricordo.

-Cosa... Intendi?-

Sospirai.

-Dopo la morte di mia sorella, ho capito da che razza di persone ero circondata. Infami senza onore o rispetto, mostri senz'anima né mente. Erano persone vuote, dei morti viventi. Non avrebbero esitato un secondo a rendermi una di loro. Ma io non ci stavo.-

Mi alzai in piedi, tornando ad appoggiarmi contro alla finestra.

-Così, ho costruito una maschera particolare che mi ha permesso di non cadere tra le loro grinfie. Ho iniziato a vestirmi costantemente di nero. Mi passavo la matita sotto agli occhi, sfumandola, per marcare le occhiaie. La sera, allo specchio, provavo dei sorrisi da far accapponare la pelle a un pazzo.-

-...funzionò?- Evan mi raggiunse, guardando fuori dalla finestra. I lampi davano luce a quel suo corpo martoriato da cicatrici.

-Sì. Nessuno provò a tormentarmi, ma...- incrociai le braccia, stringendole forte contro il petto. -giravano voci. Dicevano che ero instabile, e probabilmente avevo ucciso io mia sorella. Io e quei folli dei miei genitori.-

Il ragazzo mi accarezzò il viso, fissandomi. Non vedevo pietà nei suoi occhi, ma una sconfinata distesa d'ira.

-Ho convissuto con ciò per due anni. Ogni loro parola sembrava strapparmi un pezzo di carne, ma feci finta di nulla. Dovevo farlo.- scossi lievemente la testa. -Ogni tanto, però, questa mia maschera vacillava. Conobbi una ragazza, Zoe, che divenne ben presto la mia più cara amica. Dicono che quando indossi una maschera per troppo tempo, poi non riconosci più il tuo vero volto. Mi stava succedendo la stessa cosa, ma lei... Lei riuscì a capire chi ero veramente.-

Chiusi gli occhi, pensando alla mia amica. Chissà cosa stava succedendo, nel mondo mortale...

-Zoe non mi ha mai abbandonata. Mentre io, venendo qui con Xena, ho abbandonato lei. Spero che potrà perdonarmi.-

Mi schiacciai una mano sulla fronte. Non dovevo pensarci.
Scossi la testa, ordinando ai muscoli facciali di formare un accenno di sorriso.

-Grazie per avermi raccontato la tua storia. Non è facile parlare del proprio passato, ma tu l'hai fatto. Temo mi toccherà ricambiare il favore. Giusto?-

Rise amaramente, e così feci io.

-Bene, non c'è molto da dire sul mio conto. Sono fatto di tre sole parole.-

Evan abbassò lo sguardo, fissando la punta delle sue scarpe. Quando riportò gli occhi su di me, sembrava molto malinconico.
Si avvicinò a me, sfiorandomi la guancia con la sua. Le sue labbra erano a pochi millimetri dal mio orecchio. Le sue mani mi stringevano le spalle.

La sua voce roca e bassa diede vita a tre parole.

Tre semplicissime parole che mi fecero accapponare la pelle.

-Sono nato morto.-

Spazio autrice:
Ave, Wattpadders. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Chiedo venia per gli aggiornamenti sempre meno frequenti, ma ultimamente mi pare di essere negli Hunger Games!
Anyway, sarei molto felice se mi faceste conoscere la vostra opinione riguardo all'andamento delle cose. Magari fatemi sapere cosa pensate che accadrà, tanto è già tutto deciso!
(Non sarò buona. Sappiatelo.)

Saluti dalla vostra Dark Lady,

-Reyna

Midnight: Death is coming.     _Sospesa._Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora