La forma più piccola di creazione

2.1K 162 17
                                    


Non scrive più.

Non canta più.

Non suona nemmeno.

Harry non ha più metafore e sta lontano dalla musica, perché sa che questa salva anche chi non vuole essere salvato, rende lucidi anche il più fedele alla cecità. Harry ha perso poesia e il suo ipod è scarico, mentre la sua riproduzione casuale è stata cancellata. Sa che ascoltare anche una nota può renderlo lucido in merito a ciò che non vuole scoprire.

Torna a casa dove non ci sono più spazi liberi: i pensieri che non scrive su carta ingombrano le camere e le pareti. Si siede su un divano che scotta di ricordi. Si alza, si butta sotto la doccia, e anche lì: ricordi.

Cucina. E finisce per rompere un piatto, un bicchiere e diverse ciotole. Le mani gli tremano, per l'istinto abituale di muoversi e creare. Le ferma intrecciandole fra loro e trema ancora.

Non scrive più.

Non canta più.

Non suona nemmeno.

Non deve.

Perché per farlo, dovrebbe inchinarsi alla sua Musa e venerarla. E lui conosce soltanto un modo.

Non può.

Per dormire si fa ospitare in casa di una amica. Silenziosa. Priva di profumi e di tentazioni. E le giornate le trascorre così, come un vagabondo senza destinazioni, che finge di non avere più una casa dove tornare. Anche se quella è sempre lì, a pezzi, malandata, troppo piccola e con troppi buchi in cui celare segreti, e non è un'abitazione. È lì, che non cade perché quel poco di fondamenta è solido, è fatto bene, è ciò che ha creato e fatto suo. E non cede, pur di aspettare il suo ritorno.

Ma Harry non scrive più.

Non canta più.

Non suona nemmeno.

Perché in quella casa non torna più. Ha perso la strada, e non vuole assolutamente fare altri passi – falsi – indietro.

Harry non è istintivo, forse una volta quando i sorrisi sbarazzini non erano sotto il suo controllo. Harry è riflessivo, da quando quei sorrisi si sono spezzati, soffocati da un dolore che, tramutato in sofferenza, gli ha portato via anche la voglia della sua passione più grande.

Perciò, Harry non scrive più.

Non canta più.

Non suona nemmeno.

Perché per farlo dovrebbe tornare ad agire di istinto, ma stavolta senza sorrisi.

Harry non scrive più, non pensa di aver più molto altro da raccontare.

Harry non canta più. Non ha più stonature da dedicare.

Non suona, la chitarra è nella casa sbagliata e il pianoforte non ha mai finito di imparare a suonarlo. Il suo maestro lo ha mandato via troppo presto.

La musica è in ogni angolo e lui è un fuggitivo. L'ha sentito, distrattamente, prima di convincersi della sua sordità, you're my muse, la voce di John Legend rivelargli tutto ciò che non voleva sapere. E si è dannato. Si è dannato come un pazzo e ha distrutto il volante della sua costosa macchina, sbattendoci i pugni ripetutamente e facendo suonare perfino il clacson, uccidendosi le labbra facendole bruciare a contatto con la saliva. Di lacrime non ne scendono da quando ha detto che per lui non ne verserà più, ma ci sono e sgorgano altrove.

Harry non ha più metafore e la colpa è di una fine.

Harry non scrive,

non canta,

La forma più piccola di creazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora