Capitolo 47- Attacco di panico.

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-Che ci fai quì, piccola peste?

Chiede Alis con voce roca e stanca. Sento l'odore del pellet sulla sua mano, mentre mi trascina per la stanza senza lasciarmi l'orecchio. Il suo visino angelico scompare alla luce del fuoco, dando vita a un volto rosso, dagli occhi azzurri e freddi di un angelo dannato, caduto dal paradiso. Mi fa sedere sul letto, prima di tornare ad alimentare la stufa.
Sento l'orecchio caldo e dolorante, così lo massaggio fin che Alis non si infila di nuovo sotto le coperte,  debole e febbricitante. La guardo ancora per qualche secondo, prima di stendermi al suo fianco sul piumone, in modo da poter vegliare il suo sonno.

Un forte tonfo mi riscuote dal dormiveglia diversi minuti dopo. Alis non è più a letto.
Passo freneticamente lo sguardo su tutta la stanza, all'idea che Kyle sia riuscito a scappare e voglia coglierci di sorpresa. Scendo con cautela dal materasso, azzardando qualche passo nel buio pesto della camera, quando sento dei gemiti sofferenti venire dal tappeto ai piedi del letto. 
Alis è a terra, in iperventilazione, in preda ad un attacco di panico.
Con una lucidità che sono sicura non avere mai avuto mi ritrovo a cercare rapidamente un piccolo sacchetto sulla sua scrivania, all'interno dell'armadio, e persino nei cassettoni di un vecchio comò al piano inferiore. Metto a soqquadro diversi cassetti, prima di svuotare un piccolo contenitore in carta da alcuni brandelli di stoffa colorata. Incredula del fortuito ritrovamento torno di corsa in mansarda, allarmata dal silenzio irreale proveniente dalla stanza di sopra.

La ragazza respira poco ma freneticamente, mugolando, mentre un rivolo di sangue le scivola dalle labbra. Provo a tirarla a sedere, ma non collabora, continuando a reggersi il petto con la mano, e a gemere sofferente a terra, rossa in viso. 
-Alis ascoltami, è tutto ok, lasciati aiutare!
Cerco di spiegarle, mostrandole il sacchetto di carta. Risponde con un altro gemito, accompagnato da qualche colpo di tosse. Nasconde il viso tra le morbide frange che ricoprono il tappeto di ciniglia, stringendo nel pugno un lembo del lenzuolo, pur di non mostrarsi debole ai miei occhi.
-Alis... Ti prego, so cosa fare! Alis!
La supplico, accarezzandole un fianco. Sento i muscoli contratti dallo sforzo, mentre la ragazza si gira a guardarmi, gli occhi rossi e socchiusi, imploranti e pieni di lacrime. Finalmente riesco a farla sedere, appoggiandole la schiena al materasso, mentre  -ancora in preda al panico-  respira nel sacchetto di carta, tenendolo chiuso con le mani sul naso e sotto il mento. Dopo pochi minuti la sua testa si inclina leggermente di lato, stordita dal troppo ossigeno inalato. La sostengo, mentre a poco a poco riprende lucidità, e il ritmo dei respiri cala, tornando pressoché alla normalità. 

Abbassa il sacchetto e si copre gli occhi con un braccio, isolandosi, come a farmi intuire che aveva tutto sotto controllo. Mi metto a cavalcioni sulle sue gambe, ancora distese sul pavimento, rannicchiandomi sul suo petto, scossa da tremiti incontrollati. La sento sospirare dolcemente, e spostare le braccia sulla mia schiena, per stringermi fino a togliermi il respiro, con l'intento di bloccare quegli spasmi di terrore.
Terrore di perderla. Terrore di vederla morire davanti ai miei occhi.

-Tranquilla... E' passato...
Mormora tra un colpo di tosse e un altro. Singhiozzo sulla sua spalla, senza ascoltare le sue parole.
-Shh piccola, è tutto ok...
Ripete, prendendo un bel respiro, e tornando faticosamente sul bordo del letto, portandomi in braccio. Mi adagia sotto le coperte, sdraiandosi poi al mio fianco. Le accarezzo le guance e la fronte, ancora bollenti. E' sudata, e ha gli occhi arrossati e gonfi, ma sembra non importarle altro che calmarmi e stringermi a sé.
Non oppongo resistenza e rimango nel suo caldo abbraccio il più possibile, incurante del fatto che possa ammalarmi a mia volta. 

Non l'avrei lasciata sola per nulla al mondo. 
Soprattutto dopo il messaggio allarmato di Emanuel.
Un altro omicidio. Un altro giovane. Un altro paio di ali di drago.

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