Brutta razza , gli scrittori

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ATTENZIONE : la storia NON mi appartiene ma è di una ragazza gentilissima (Give_me_only_kiss) su efp che mi ha permesso di riportarla qui .


Larry!AU Harry!flowers Louis!writer accenni Zayn/Liam
Non è colpa di Louis se è nato scrittore, anche se i suoi genitori continuano ad accusarlo silenziosamente; è invece colpa di Liam se Zayn lascia Louis da solo. Harry ha una coroncina di fiori e tutto sembra andare bene, ma Niall fa previsioni nefaste e quella degli scrittori continua a essere una brutta razza.Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno


                      A Irene, perché è il suo compleanno e io non posso ancora essere il suo regalo. 
 Non so che altro scrivere, penso solo a quanto sarebbe bello sprofondare tra le tue braccia.
 Come si fa a spiegare 
a una persona che hai bisogno di lei?

Brutta razza, gli scrittori


Se c'è una cosa che Louis odia, sono le sensazioni e i concetti in generali a cui non riesce a dare una definizione precisa. Odia quella sensazione di ignoranza che lo pervade quando un termine gli rimane incastrato su per la gola e tra i neuroni nel cervello, e non riesce ad arrivare alle corde vocali, che vogliono solo liberarsi da quella fastidiosa irritazione.
Eppure è su quell'irritante senso di vaga ignoranza che Louis preferisce concentrarsi, piuttosto che le vere emozioni a cui non riesce dare un nome e che occupano il suo cuore in quella fredda mattina di gennaio, troppo fredda per la sua giacca di jeans, nonostante sia imbottita. Ha voluto metterla lo stesso, sebbene l'inconscia – o forse no – consapevolezza del freddo che l'avrebbe di certo investito.
Perciò si stringe ancora di più in essa, nel tentativo disperato ma meccanico di trovare un minimo di conforto nel calore. Non lo trova, è il suo cuore ad essere congelato. Non si muove di là, rimane fermo, sulla panchina del binario 9. I treni corrono spediti, chi in partenza e chi in arrivo; le persone partono, si ritrovano, si abbracciano. Louis invece rimane là, fermo, un solo, piccolo pensiero che gli s'insinua nella mente. Lo ricaccia subito.
Fa freddo. E non sarebbe dovuta finire così.

Il primo pensiero dei genitori di Louis era stato che il loro primogenito fosse autistico. Lo portarono da mille dottori, mille specialisti diversi, quasi non volessero rassegnarsi al fatto che loro figlio non fosse malato: era semplicemente un bambino silenzioso, schivo e forse troppo intelligente, per avere cinque anni.
Non erano genitori che ricercavano l'unicità, il genio, la diversità: volevano solo un bambino normale, che si sporcasse di fango giocando con gli altri bambini nel parco e che piangesse per avere più giocattoli. Erano persone meramente ordinarie, Johanna e Mark, e non si rassegnarono mai a quello che era il loro unico figlio, ovvero quel bambino strano che invece di giocare a palla si esercitava a leggere i cartelli di divieti del parco e i giornali dei vecchi signori che ormai si erano abituati a quel bambino curioso dagli occhi azzurri. Che non chiedeva giocattoli, ma libri, sin da quando aveva sei anni. Libri di narrativa, s'intende, non credete che fosse chissà quale genio. A otto anni ebbe il suo primo romanzo da grande e forse se glielo chiedete, vi dirà che è ancora lì, conservato come una reliquia nella sua libreria stracolma ma pulita, manco fosse un santuario. Per lui, comunque, un po' lo è.
A nove anni, quando la nascita di Lottie aveva inaugurato l'entrata della famiglia Tomlinson nel mercato delle bambole e dei vestitini da principessa, Louis aveva capito. Forse non era un genio, ma era precoce. Louis capiva. Che la madre preferiva occuparsi dei capricci di Lottie che accompagnarlo in biblioteca oppure comprarle la nuova e richiestissima bambola piuttosto che sentirlo parlare dell'ultimo libro che aveva letto. Persino suo padre, sfatando il mito dei papà che desiderano tanto un figlio maschio, preferiva Charlotte a lui, e non era solo perché era l'ultima arrivata. Louis era cosciente, quando l'avevano portato da mille specialisti, quasi implorandoli di dire loro che in lui c'era qualcosa di sbagliato. Aveva cominciato a confrontare i propri comportamenti con quelli di Lottie, e aveva capito. Capito che non andava bene, che se i suoi genitori non lo amavano come dovevano era solo colpa sua. Perciò, aveva appoggiato Viaggio al centro della terra sulla scrivania, piegando l'angolo della pagina a cui aveva deciso, a malincuore, di fermarsi. Aveva recuperato un vecchio pallone dal giardino – chissà di chi era poi – e si era avvicinato al padre, seduto a lavorare nel suo studio, cercando di assumere la più speranzosa delle espressioni. Al solo vederlo, Mark si era illuminato. Anzi, forse gli erano quasi venute le lacrime agli occhi, ripensandoci. L'aveva subito portato in giardino per giocare. Ironia della sorte, Louis aveva anche una sorta di talento naturale.
Quindi, quel ragazzino che aveva avuto la grande sfortuna di nascere senza maschera alcuna, dalla mente sveglia e curiosa, disinibita alle convenzioni e interessata solo a essere ciò che voleva essere, aveva iniziato a mentire. Per l'amore dei suoi genitori.
Aveva continuato a mentire per anni. Andava in biblioteca dicendo i suoi di avere un appuntamento con amici che non aveva e che non sentiva il bisogno di avere. Leggeva fino a tarda notte, grazie a una torcia che aveva comprato con i soldi della paghetta. Aveva cominciato a scrivere. Scriveva, scriveva, riempiva pagine di frustrazione e odio. Perché, sì, aveva imparato a odiarli, quei genitori che lo costringevano a essere ciò che non era. Forse costringere non è il termine adatto, perché in realtà era tutta opera di Louis. Forse quell'odio, cominciava a provarlo più per se stesso.
A scuola non parlava con nessuno, sebbene qualche ragazzina cercasse di avvicinarlo e qualche ragazzo di invitarlo a giocare a calcio nel campetto del paese nel pomeriggio. Semplicemente rimaneva in silenzio fingendo di essere l'autista che a volte avrebbe voluto essere davvero, oppure rifiutava cortesemente. Tutto si poteva di Johanna e Mark, ma non che avessero tirato su un maleducato. O forse è meglio dire cinque maleducati, di cui Louis rappresentava l'unico motivo di un plurale maschile, vista la schiacciante maggioranza femminile di quattro a uno. Charlotte ormai era una scocciante ragazzina di sette anni, affiancata da Fizzie, con i suoi timidi cinque e da Phoebe e Daisy, le gemelle ancora intrappolate nell'età in cui ogni cosa è buona per strozzarsi. Forse ci si aspettava che tutte queste piccole principesse urlanti oscurassero la faccenda Louis. E invece no, affatto. Mark era sempre puntuale nell'accompagnarlo alla scuola di calcio che aveva iniziato a frequentare neanche un mese dopo quella fatidica partita nel giardino di casa loro. Johanna non mancava nemmeno una partita ed era sempre pronta ad accogliere qualche compagnuccio di squadra che Louis portava a casa per non destare sospetti. Perché, a dirla tutta, lui le qualità per essere socievole le aveva tutte: aveva sempre la battuta pronta, era sarcastico, gentile e altruista. Il problema è che non aveva mai trovato nessuno per cui valesse la pena.
Alle superiori, quando stava per perdere ogni speranza e stava per cedere alle richieste del padre di entrare anche nella squadra di calcio della scuola ("Ma papà, sono già capitano della squadra locale!" "A scuola c'è più possibilità di farsi notare da uno scout, fidati di papà, Louis."), aveva incontrato Zayn.
Facendo riferimento alla piramide sociale che spesso si vede rappresentata nei film americani per teenager, Zayn era lo sfigato. Non lo sfigato classico, non fraintendetemi. Stava sempre da solo, mangiava seduto sul bancone della signora della mensa e chiacchierava con lei, per farle compagnia, e lei gli dava sempre la fetta di torta più grossa e lo copriva quando usciva fuori a fumare. Era il preferito di qualsiasi professore nella scuola, sebbene nessuna delle due parti lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura. Sempre preparato, sveglio e acuto: Zayn rappresentava la tenue luce di speranza nel lavoro, a parer di Louis, spesso degradante di quei poveri insegnanti. Vestiva sempre di nero e non faceva mai educazione fisica, anche se nessuno sapeva il perché: c'erano molte voci che giravano sul suo conto, ovviamente, e Louis mentirebbe se dicesse di non aver posto l'orecchio ad alcune di esse. C'era chi diceva che suo padre fosse un malavitoso, che aveva pagato la scuola per l'esonero o che avesse addirittura corrotto i medici, e che anche i suoi buoni voti fossero dovuti a questo. Louis però l'aveva visto in azione, dato che condividevano parecchie lezioni, e poteva affermare che la voce era campata in aria: probabilmente, solo il delirio di qualche secchiona delusa di non essere al primo posto nel cuore della prof di matematica, una di quelle che studiavano e basta, senza capir nulla e che dimostravano la propria stupidità fin troppo gratuitamente, per i gusti di Louis. La peggior specie, dopo le stupide che credevano fosse figo essere stupide.
Un'altra voce diceva che si drogasse, per questo era così magro e aveva sempre profonde occhiaie a circondargli gli occhi dorati. Questa Louis l'aveva subito ignorata, riconoscendo in essa il seme profondo della gelosia: Zayn era bello, troppo bello. L'aria orientale conferitagli dalla forma degli occhi e dalla pelle ambrata ben si sposava con la sua aria da cattivo ragazzo, con tanto di ciuffo biondo tra i capelli neri e orecchino dorato. Aveva anche un bel po' di tatuaggi, lasciati scoperti da maglie a maniche corte e leggermente scollate e Louis avrebbe scommesso che aveva anche il torace pieno.
L'unica voce che poteva dirsi fondata, anche se non confermata, era quella che riguardava la sua sessualità. Si diceva – Louis l'aveva sentito negli spogliatoi prima dei provini per la squadra di calcio, perché sì, aveva ceduto al padre – che fosse gay. Inizialmente aveva pensato ad un'altra sciocchezza pensata per frenare l'immaginazione delle ragazze di quegli energumeni che di certo sbavavano dietro Zayn. In seguito però, aveva iniziato a farci caso: il cappotto lungo di Zayn, quello nero, presentava un vago taglio femminile e anche le sue movenze delicate, eleganti, da pantera, non potevano dipendere tutte dal suo sangue orientale. C'era un altro ragazzo a scuola, dal nome impronunciabile e lo stesso asiatico, che era sì slanciato e bello – non quanto Zayn, ovviamente – ma si muoveva come un qualsiasi altro ragazzo sedicenne: con le gambe divaricate, leggermente storte per il calcio, piedi a papera. Zayn aveva l'eleganza di una regina d'Inghilterra e la sinuosità di un animale della giungla, di quelli di cui Louis aveva letto nei romanzi di Emilio Salgari. Degno di un personaggio di uno dei migliori romanzi, di quelli che leggi troppo in fretta perché il finale fa gola, ma che non vorresti mai finire per paura che il sogno finisca.
Perciò sì, aveva deciso che per Zayn ne valeva la pena.

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