«Dove sei stato, giovanotto?» mi rimprovera la mamma, con la mano sinistra sul fianco, mentre è appoggiata al piano da lavoro della cucina, intenta a far cuocere al forno dei cupcakes.
«A fare una passeggiata.»
«Per cinque ore? Ne dubito. Vai nella tua stanza, così la smetto di preoccuparmi.»
Annuisco solennemente per poi dirigermi al piano di sopra, solo che vengo fermato dalla voce di mamma prima di essere a metà strada.
«È passato Michael prima» dice, con un accenno di suggestività nella voce.
Non oso voltarmi. Lei mi conosce troppo bene, sa che tutto quello che ha a che fare con Michael è una faccenda delicata, ancora peggio ora che è ritornato.
«Cosa voleva?» chiedo, in tono fermo, con un filo di voce, ma abbastanza forte perché lei mi senta.
«Sapere dove fossi.» Mamma fa spallucce, continuando a mescolare l'impasto per torte davanti a lei.
«Oh.»
«Oh? Magari dovresti parlare con lui più tardi.»
«No, grazie, meglio di no. Ora se non ti dispiace.» Mi volto verso di lei. «Sarò di sopra come mi hai chiesto.» Sbuffo, dirigendomi su per gli ultimi gradini e poi nella mia stanza buia.
Le tende sono tirate, e la finestra è aperta in modo da lasciar entrare aria fresca per la notte.
Riesco vagamente a scorgere una sagoma dalla finestra di Michael, ma ignoro il dolore nel petto mentre incespico goffamente per la camera finché non trovo l'interruttore per accendere la lampada. Guardo la mia stanza incasinata, so che se non la metto in ordine entro domani, la mamma si incazzerà, e ho già sentito abbastanza le sue urla in questi giorni. Non ho bisogno di peggiorare le cose.
Inserisco il cavo del cellulare nelle casse; la musica risuona a tutto volume nella stanza, spero che mi aiuti a rendere più leggere le mie pulizie e che non mi faccia pensare a Michael. Provo a pensare al concerto di Ashton e della sua band che si avvicina, ma Michael riesce a trovare il modo per infilarsi di nuovo nei miei pensieri. Tutto nella mia mente sembra girare intorno a Michael. Io, però, voglio tutto tranne lui.
Ricordo quando io e Michael abbiamo imparato ad andare in bicicletta insieme. Ci aiutavamo a vicenda a trovare l'equilibrio sul sellino e poi correvamo dietro all'altro come farebbe un genitore. Volevamo imparare insieme, da soli. Quando uno di noi cadeva ci aiutavamo a rialzarci e a ricominciare da capo. Se ricordo bene, quella è stata anche l'estate in cui mi sono rotto un braccio cadendo dalla bicicletta, e Michael ha pianto per ore, pensando che fosse stata colpa sua perché era l'unico che mi stava aiutando. Ho passato due settimane a fargli capire che era stato solo un incidente e che era tutto a posto.
Poi ricordo che una volta - dovevamo avere dieci anni - eravamo arrivati di soppiatto alle spalle di un carretto di gelati e ne avevamo rubato una manciata. Michael si era sentito così in colpa che era tornato indietro e aveva dato un dollaro al proprietario, e poi ce ne siamo andati a vedere un film al cinema. Il cinema in cui adesso lavoro. Forse è proprio questo il motivo per cui l'ho scelto fra tutti i grandi posti dove potevo lavorare in centro. Da qualche parte nei miei ricordi riconoscevo sempre qualcosa che avevo fatto con Michael e che mi riportava indietro ai tempi più spensierati.
Scuoto la testa per allontanare i ricordi. Finisco di riordinare la mia stanza in tempo da record.
Afferro il cellulare dal comodino e lo stacco dalle casse, prima di andare a chiudere la finestra per la notte, quando qualcosa cattura il mio sguardo.
Mi sporgo dalla finestra e vedo Michael seduto sul suo davanzale. Sussulto, sbattendo così la testa contro la finestra. Non mi aspettavo affatto che lui fosse lì fuori.
«Che cazzo stai facendo? Mi hai spaventato!» urlo, strofinandomi il bernoccolo che si sta formando sulla nuca.
«Ti stavo chiamando, ma avevi la musica alta, così ho deciso di sedermi qui e di aspettare finché non avessi finito.» Michael fa spallucce, dondolando le sue lunghe gambe.
«Perché questo non è strano» borbotto.
Apro tutta la finestra e mi siedo a via volta sul davanzale, come Michael. Lo facevamo sempre quando eravamo più piccoli. La cosa mi intristisce.
«Perché, avere sul muro gli stessi adesivi a forma di pinguino di quando avevi cinque anni non lo è?» Michael ridacchia, e, nonostante l'oscurità, mi pare che stia sorridendo in modo compiaciuto.
Roteo gli occhi. «Non tirare in ballo il mio amore per i pinguini.»
«Almeno questa parte di te non è cambiata» sospira Michael, passandosi le dita tra i capelli scuri.
«Cosa intendi? Non sono cambiato!»
Lui ride. «Sì, lo sei. Sei un po' uno stronzo, ora.»
«Maleducato.»
«Sto solo dicendo la verità.»
«Sì? Be', non mi serve la tua onestà in questo momento.»
«Allora te la concederò più avanti.»
«Preferirei di no» mi lamento. Stiamo parlando da soli cinque minuti e vorrei che lui cadesse dalla sua finestra e magari su di me... Aspetta, cosa? No. Pensa ad Ashton. Al sorriso di Ashton. Alle braccia forti di Ashton intorno a me. Ai baci di Ashton. Alle sue dolci parole.
Quando riguardo Michael, lui mi sta fissando e si sta mordicchiando le labbra. Quelle stesse labbra che avevo baciato quando eravamo alle scuole medie. Michael è chiaramente nervoso per qualcosa, lo faceva sempre quando doveva dire qualcosa ma non sapeva come.
«Devo andare.» Scivolo giù dal davanzale, cadendo all'indietro sul pavimento freddo. Non riesco a guardare Michael in questo momento.
«Luke!»
Sbatto la finestra per chiuderla, prima di salire sul letto. Inizio a pensare allo spettacolo di domani del mio fidanzato, nella speranza che tutto questo pensare ad Ashton possa scacciare via Michael dalla mia mente per questa notte.
Ma non lo fa.
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Hola, people! Eccomi con il quarto capitolo di Luke and the boy next door . In questo capitolo sono presenti i nostri adorati Muke! 😍
Spero che vi piaccia, se sì fatemelo sapere con una stellina e un commento.
A presto, people!
P.s: oggi mancano soltanto 20 giorni al concerto dei 5sos a Verona! 😱😍 chi sta sclerando come me all'idea di essere in quell'arena con loro?? 😂😂😜✌️
-Instagram: RunawayMarty
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Luke and the Boy Next Door | Muke (Italian Translation)
FanficLuke Hemmings é sempre stato il vicino di casa di Michael Clifford, da quando lui può ricordare. Giocavano insieme all'aperto sotto il sole cocente della California, chiacchieravano fino a tarda notte affacciati alle loro finestre che erano esattame...