Era notte, la pioggia batteva incessante sui vetri della finestra, e a quel punto sentii lo sparo.
Ero morto, o almeno mi sentivo la morte addosso; insomma ero più di la che di qua ma non mollai.
La mia crociata iniziò quando avevo 12 anni; ero uno come tanti, un ragazzino un po' sfigato senza niente in testa, a parte far finta di allontanare tutti da me quando in realtà ne avevo bisogno più dell'acqua. Non avevo niente di speciale, niente di più niente di meno, ero solo qualcuno che non voleva essere visto se non dalle persone giuste, (genitori/familiari, amici e primi amori) ma neanche questo mi volevo concedere, troppo stupido per farlo o troppo sfaticato; in ogni caso erano più le volte che me lo ricordavo che le volte che lo facevo quindi non avevo senso come ragazzino o come persona; esistevo e basta. Abitavo in un quartiere non troppo bello di New York Hell's kitchen, popolato si... ma non dalla gente giusta che tutti si aspettano, o almeno io incontravo quella sbagliata, adulti e ragazzini che difatti mi bullizzavano; ma io in qualche modo mi difendevo non ero e non sono assolutamente un "caga sotto", mi dovevo far rispettare e per questo tornavo spesso e volentieri a casa con qualche taglio sul labbro o sul sopracciglio ma niente di che. Per mio padre invece era qualcosa, lui si preoccupava per tutto e non ho mai capito il motivo, non ha mai avuto qualcosa di negativo che lo portava a preoccuparsi di tutto, almeno non che io sappia, ma il fatto era che si preoccupava di qualunque cosa e non so se era giusto ma finivo sempre in punizione; erano più le volte che rimanevo in casa che quelle fuori (ma comunque scappavo in qualche modo: dalla finestra o dalla porta sul retro), anche se devo ammettere che molte volte era una mia scelta passare tutto il giorno chiuso dentro. Abitavo poco vicino alla scuola in cui andavo , alla NYU Midtown Center, tutti invece abitavano li vicino tutti si conoscevano ed io ero quello emarginato o ero quello che si emarginava, comunque non conoscevo molte persone se non quelle della mia classe e pochi li dentro mi stavano simpatici. C'era ad esempio Grece che l'ho rincontrata recentemente; l'intellettualona della classe, sempre prima e mai seconda, per quanto agli altri stesse poco simpatica per me era la persona più vicina ad una migliore amica che io abbia mai avuto; un altro che mi stava e mi sta molto simpatico era ed è tutt'oggi Luke, il mio migliore amico da sempre, ora elettricista ed informatico ma principalmente ripara computer e lavora per una compagnia che sviluppa software e poi ci fu la prima persona che io abbia mai amato tanto da averci una relazione a distanza: Sophie Marchad (è francese). Lei era bellissima non era come le altre, era diversa e non "diversa" come me ma comunque diversa, aveva lunghi capelli marroni che tendevano sul rossastro con gli occhi marroni come me ma con una sfumatura di verde sul perimetro, bellissima. Purtroppo come dicevo prima se ne andò per un problema di sua madre non capii allora e non capisco ancora oggi ma sta di fatto che non la rividi più da allora, o meglio non la rividi più quando avevo 18 anni. Comunque arriviamo all'incidente che mi ha reso come sono ora. Mentre tornavo da scuola durante il mio tredicesimo compleanno, vidi un uomo che ne picchiava un altro mentre gli chiedeva soldi; l'uomo che picchiava mi riconobbe e io riconobbi lui, era mio padre, quelli che chiedeva erano i soldi per il mio regalo; corsi via a casa inorridito e disgustato e nel farlo mio padre mi rincorreva scusandosi e ripetendomi di fermarmi ma non lo feci. Quando ritornai a casa, decisi di aspettarlo d'avanti alla porta chiedendomi come avrei fatto ad affrontare una cosa del genere. Quando mio padre tornò a casa gli lessi sul volto la vergogna pura, a quel punto lui piangendo mi scongiurò di perdonarlo e io ovviamente lo feci. Fu da lì che ci giurammo di non mollare mai e di andare sempre avanti, di continuare a lottare e mai fermarci, di ricostruire tutto anche se quel tutto era stato distrutto. La sera che mio padre morì, mia madre scappò di casa lasciando solo un misero biglietto, ma ritorniamo alla morte di mio padre. Morì per una sparatoria della mala, i soldi del regalo dovevano essere anche i soldi che un noto malavitoso aveva prestato a quel tipo; mio padre a quanto pare aveva il compito di recuperare i soldi, non facendolo si è beccato un proiettile allo stomaco e una scazzottata mortale. Da quel momento mantenni realmente la mia promessa mi impegnai nello studio, nello sport e nell'allenamento fisico in generale, imparando ad arrampicarmi e a correre facendo diventare la città il mio parco giochi. Finita la scuola, intendo tutti gli studi dal primo all'ultimo, incominciai a imparare il mio stile di combattimento inventandolo di sana pianta; non avevo soldi allora per pagarmi un maestro di arti marziali. Mentre mi allenavo incontrai una donna sulla quarantina che da una finestra del palazzo mi urlò: << Devi essere più rapido, e pensare più al contrattacco che all'attacco in se per se così riuscirai a fare realmente del male ai tuoi nemici>>. Quando mi girai, mi disse che mi avrebbe aiutato con il controllo della forza e della mente ma in cambio mi fece promettere di non parlare mai a nessuno della suo aiuto, il suo nome era Alexa; era una strana tipa che girava con il bastone, con il quale poteva letteralmente fare a pezzi il nemico che gli stava d'avanti. Io la "stesi"un paio di volte con il mio combattimento personale, facendomi dire che ero stato comunque colpito troppe volte e se non ci fosse stata lei davanti a me mi avrebbero ucciso; ma fidatevi l'età non fa differenza, mi ha messo al tappeto tante di quelle volte che infatti quando mi insegnò tutto ciò che dovevo sapere, riuscii molte volte a batterla ma non era questo il punto, il punto era che mi fece diventare il combattente perfetto, mi fece diventare quello che da solo non sarei mai riuscito a diventare. Da lì in poi Alexa mi lasciò senza neanche salutare, anzi scrivendomi un bigliettino "Ti lascio il mio sapere e fai ciò che devi, ragazzino". Il mio primo giorno come giustiziere, iniziò male: indossavo solo una felpa nera, una maschera fatta sul momento con un pezzo di maglietta strappata, e pantaloni della tuta grigi. Stavo indagando su un caso di rapimento di una ragazza, la polizia non riusciva a trovare testimoni, o meglio i testimoni erano anch'essi colpevoli; erano tutti in combutta nel proteggersi l'un l'altro, ma io so come far parlare le persone. Ruppi un braccio a un per una soffiata, (per alcuni sarò stato crudele ma per chi capisce sa che era necessario). Sta di fatto che quando trovai il palazzo in cui la tenevano, era pieno di uomini della mala alcuni per la maggior parte armati; quando trovai la ragazza e non mi avevano ancora visto mi avvicinai a uno per ottenere informazioni minacciandolo che lo avrei ucciso se non avesse parlato; io sarò anche duro ma non sono un carnefice, non uccido e mai lo farò. Riprendendo dal punto in cui abbiamo interrotto, io avevo questo tizio tra le mie braccia lo stordii per poi urlare a attrarre i suoi amici: <<C'è qualcosa di strano qui venite forza!>> ; quando tutti i suoi amici arrivarono, li stesi uno ad uno ricevendo qualche mazzata, ma poche per mia fortuna, anche perché mi ero portato appresso il mio bastone. Ma cosa andò storto quella notte? Andò storto il fatto che quando liberai la ragazza, c'era ancora un uomo che non aveva perso i sensi, prese la pistola e mi sparò alla gamba la ragazza era troppo spaventata per ringraziarmi, sta di fatto che a me tanto non mi importava niente se lo avesse fatto o meno; il problema reale era che la polizia sapeva che c'era stato un problema e sapeva che qualcuno, dalla identità ignota, era stato ferito; purtroppo non riuscivo a concentrarmi sulla fuga furtiva per il colpo alla gamba e un poliziotto mi vide scappare dalla scena del crimine dicendo di avere visto il tipo che aveva steso i criminali e urlo da lì il mio futuro ed eterno nome "IL GIUSTIZIERE" .Quindi dovetti stringere i denti e scappare a piedi sui tetti. Fortunatamente la mia "divisa" scura mi fece passare inosservato sui tetti senza luci di New York. Tornato nel mio appartamento nel Queens, mi levai la mia "divisa" per vedere come era ridotta la ferita... era uno spettacolo orribile e non potete immaginare il dolore di una pallottola nella gamba; presi del disinfettante e delle garze e stringendo i denti li passai sulla ferita, e era talmente doloroso che stavo quasi per urlare ma dovetti stare zitto per non destare sospetti trai miei vicini visto che in TV non trasmettevano altro che la sparatoria.
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THE JUSTICER
Action"Una volta sapevo cos'era giusto, ma adesso... non so cosa sia giusto o sbagliato"