Corri.
Questo era il suo unico pensiero. Doveva correre. Una figura completamente ammantata filava rapida tra gli alberi della foresta di Groened, al confine orientale del regno.
Gli stivali di cuoio calpestavano foglie secche e rami caduti con un ritmo scandito dal battito accelerato del cuore dell'uomo. Mentre correva si girò e vide alle sue spalle due esseri che sembravano strisciare a terra, le due creature procedevano a zig zag, evitando gli alberi che gli si parlavano davanti. Il respiro dell'uomo si condensava in spire di vapore che salivano verso l'alto danzando nella fredda notte della foresta. Ci fu un boato, un'esplosione e poi silenzio. I rumori della foresta cessarono, cori di grilli terminarono il loro canto. Persino il vento,che fino a poco prima soffiava forte tra gli alberi, si abbassò, come se anche la natura avesse paura di ciò che stava avvenendo. Solo i passi cadenzati dell'uomo e lo strisciare viscido delle due creature continuava a riecheggiare. Poi l'uomo smise di correre e si voltò verso i suoi inseguitori. Poi parlò:
-È finita, se n'è andato. Che ne dite, risolviamo questa questione?-
Le due creature sollevarono il busto da terra: braccia lunghe e flessuose spuntarono dai lunghi corpi affusolati. Uno di loro aprì bocca:
-Ssssciocco uomo. Lo ritroverà, ssstanne certo.- l'altro nel frattempo uscì la lingua biforcuta come per saggiare l'aria. Ci fu un attimo di silenzio, il vento era tornato a soffiare, poi l'uomo replicò, alzando il tono di voce:
-Lo spero per il vostro padrone. Mi hanno detto che Lui tende ad essere un tantino irascibile quando gli si danno brutte notizie, vero?-
-Non è affar tuo sssse il nosstro padrone è irasssscibile o meno, bada a come parli uomo- stavolta fu la bestia che saggiava l'aria a parlare. Disse la parola "uomo" come se fosse un'offesa.
-Bene, vedo che voi aborti della magia siete sempre fedeli a chi vi crea eh? Se queste sono le vostre ultime parole, io direi di passare ai fatti.- il timbro cavernoso della voce dell'uomo risuonò parecchio nell'ultima frase. Poi l'uomo tirò giù il cappuccio del suo mantello, rivelandone il volto. Che era un Uomo era certo, aveva tutti i tratti tipici di quella razza tanto odiata dalle due bestie. Il capo era coperto da ispidi capelli neri, e della stessa foggia era la lunga barba che copriva la parte bassa dell'uomo.
Gli occhi nocciola baluginavano alla luce della luna. L'uomo si accigliò, sembrava concentrarsi. Strinse il guanto di pelle dura che portava alla mano destra. Le bestie osservavano in silenzio, sibilando qualche volta. L'uomo mormorò qualcosa. Dalla mano destra prese origine una piccola fiammella di color giallo. Il crepitio del fuoco e il calore che esso emetteva fecero retrocedere le due fiere.
-Io sono Goset Koyensson dell'Ordine del Palmo, che si batte affinché mostruosità come voi e il vostro padrone non distruggiate del tutto l'ormai fievole magia che abita il nostro mondo.- detto questo Goset sorrise, i denti sporchi di qualche radice masticabile brillarono alla luce della fiammella.
-Pyro freon!- urlò Goset, e una palla di fuoco esplose verso le due belve. Uno venne colpito, sibilando e urlando di dolore, mentre la sua pelle coriacea prendeva fuoco. La sofferenza della bestia venne conclusa in un ultimo urlo di dolore soffocato. L'altro mostro si avventò su Goset, l'uomo schivò l'assalto ed estrasse un pugnale dalla cintura che portava alla vita.
-Che c'è? Non riesschi ad abbrustolirmi come hai fatto con mio fratello? Sssei forsse ssstanco?- disse con tono di sfida il serpente. L'uomo rise, poi rispose:
-Il tuo padrone ti ha insegnato molte cose eh? Ebbene si, sono stanco, ma non credere di aver vinto.- poi partì all'attacco.
Il mostro caricò un pugno, ma Goset lo evitò, e, messo un braccio attorno al collo del serpente, lo pugnalò al ventre. Il viscido corpo della bestia iniziava ad irrigidirsi, ma prima di morire, il serpente morse Goset sul braccio, rilasciando nel suo corpo un'ingente dose di veleno. L'uomo lasciò la presa e maledisse quella creatura così innaturale. Strappò un lembo di tessuto dal suo mantello e si fasciò alla buona il punto dove era stato ferito. Il veleno iniziò a circolare, Goset iniziò a vedere le cose in modo confuso, ma non c'era tempo per svenire.
-Venite corvi! Il vostro servo sta preparando un lauto pasto- esclamò una voce alle spalle di Goset.
Finalmente pensò l'uomo. Un sorriso gli attraversò il volto stanco. Poi si voltò, e disse:
-È banchetto, non pasto. Non citare versi dei riti degli Elfi se non ne hai un'ampia conoscenza.-
-Goset, finalmente ci incontriamo. Vedo che hai sistemato i miei due animaletti eh? Lui non sarà affatto felice. Ma quando vedrà la tua testa mi premierà.-
-Beh, caro il mio Koraner, se devi portargli la mia testa per renderlo contento credo rimarrà arrabbiato per un bel po'.- si concluse così il dialogo. Poi, Koraner gettò a terra il mantello che lo copriva, chiuse gli occhi, serrò la mascella e respirò profondamente. Era adirato. Stava perdendo tempo. E Goset doveva morire in fretta, almeno lui, visto che il suo obbiettivo era fuggito poco prima. Aprì gli occhi. L'iride grigia stava studiando l'uomo che aveva davanti. Koraner si scostò una ciocca di capelli che gli dava fastidio e tirò fuori la sua spada.
La sua era una lama particolare: aveva una lama lunga due bracci, l'elsa fatta di un metallo dal colore nero aveva la forma di un falco con le ali spiegate, l'effige della famiglia di Koraner. Il pomello aveva un rubino finemente lavorato, il taglio era tipico delle regioni del nord del regno dei Nani. "Rapace" era il nome di quell'arma.
-Vedo che quel tuo punteruolo è ben pulito e luccicante eh?- lo schernì Goset
-Bada a come parli. La mia Rapace brama il tuo sangue, anche se non sei degno di morire dilaniato dai suoi colpi.- rispose con una nota di fierezza Koraner. Stava abboccando. Goset lo irritava, sapeva che in lui l'orgoglio era forte, e spesso era impulsivo, e batterlo era più facile se il suo avversario non era concentrato.
-Oh, quale onore mi concede sua signoria.- continuò Goset -quindi mi stai dicendo che quello spiedo per polli non è degno di ammazzarmi? E perché mai? È opera degli dèi?-
-Incominci ad infastidirmi vecchio! Facciamola finita.-
Koraner si spazientiva. Il veleno iniziava a circolare nel corpo di Goset. Non aveva molto tempo. Per un attimo calò il silenzio nella foresta. L'aria era carica di tensione. Koraner digrignava i denti, Goset sorrideva, sapeva qual era il suo destino. Era solo amareggiato, aveva molto da vivere ancora. Ma forse quella era una buona causa per cui morire. Così, rassegnato, Goset si tolse il mantello e lo gettò a terra. Dal fodero di cuoio stinto che portava legato alla schiena, Goset ne tirò fuori uno stocco. L'arma era lunga mezzo metro, la lama sottile era mezza arrugginita e incrostata di sangue. Goset la soppesò, la lama non era ben bilanciata, ed era troppo leggera tra le vecchie mani guantate dell'uomo. Poi passò lo stocco dalla mano destra alla sinistra e si sfilò il guanto con cui avrebbe usato la spada.
-Bene, iniziamo?- disse Goset.
Koraner protese la lama verso il suo avversario, che fece lo stesso. Finiti i convenevoli del caso iniziò lo scontro. Koraner attaccò per primo. Goset non si fece trovare impreparato e, parato il colpo, rispose subito con un affondo. Il colpo non andò a segno, e l'assalto finì con il cozzare delle spade che si incrociavano. Lo stridore del metallo sostituì il silenzio innaturale del bosco. I due avversari si allontanarono l'uno dall'altro. Koraner si scostò nuovamente la ciocca di capelli che in precedenza l'aveva infastidito, poi mormorò qualcosa di incomprensibile e sorrise.
-Sto davvero perdendo la pazienza. Combatti usando la magia. Mostrami la tua potenza, mostrami che ho un avversario davvero degno di nota d'innanzi a me. Forza vecchio, o attaccherò io.-
-Ragazzo, la tua è una richiesta davvero rischiosa. Ho il doppio dell'esperienza. E la tua non è vera magia, o perlomeno non più.- Goset, profondamente amareggiato, lasciò cadere la spada. Poi protese entrambi le mani davanti a sé e urlò una formula in un idioma identificabile come quello parlato dagli Elfi del tempo che fu. Dal terreno partirono due piccoli ciottoli appuntiti, che si andarono a conficcare nel polpaccio di Koraner. Ferito, Koraner ululò di dolore, digrignò i denti e lanciò un piccolo pugnale al nemico. Goset non provò nemmeno a schivare il colpo. Il pugnale lo colpì allo stomaco. Non era finita, non ancora. Se Goset doveva morire avrebbe voluto ferire il più possibile il nemico. E così fece. Il terreno cominciò ad ingoiare Koraner, bloccandolo fino al ginocchio.
-Pyro!- urlò nuovamente Goset, e una fiamma uscì dal suo palmo, pronta per ustionare chiunque egli volesse. Il vecchio la lanciò verso Koraner. Venne colpito nel torace. Era gravemente ustionato, ma sapeva come farla finita. Da una tasca dei pantaloni, tirò fuori una piccola pietra levigata, di colore nero come la notte. Koraner la strinse nel palmo, e da essa ne fuoriuscirono quelli che sembravano spettri. Gli spettri, tre per la precisione, si avventarono su Goset, mentre uno, schioccando le dita simili a quelle di uno scheletro, annularono l'effetto dell'incantesimo che era stato scagliato a Koraner. Fatto ciò, gli spettri tornarono nella pietra. Goset era in ginocchio, era la fine. Il vecchio alzò lo sguardo, e disse al suo avversario:
-Non male ragazzo, non male. Ma attento Lui sta rischiando grosso, quelli erano spettri, e gli spettri non si accontentano, mai.- tossì più volte. Il sangue scendeva dalla sua bocca ad ogni tremito inflitto dalla tosse. Koraner, ancora con la spada in pugno, si avvicinò zoppicante a Goset, lo guardò negli occhi, i suoi profondi occhi grigi erano accecati dall'ira.
-Brutto bastardo, come hai osato? Io sono Koraner Tropensson. Nessuno può permettersi di recarmi un simile affronto. Il tuo sangue inzupperá queste terra!- urlò Koraner ormai in preda alla follia. Goset non parlava, era troppo faticoso. Il veleno gli ostruiva le vie respiratorie. La sua ora era giunta. Koraner alzò la sua Rapace. La spada calò secca sul corpo di Goset, infilzandolo da parte a parte. L'arma uscì dal corpo del vecchio per come ne era entrata. Goset cadde a terra inerte. La barba ispida e nera copriva un sorriso stampato sul suo volto inerte. In quel momento, il vento e gli animali tornarono a farsi sentire.