Anoressia

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Iniziò a piovere lentamente, come in un accordo triste; le gocce scurivano il bordo dei marciapiedi, velavano la strada, piangevano dalle foglie scure degli alberi, intrecciavano il canto infuocato dell'alba con i tramonti dell'inverno, oscurando il sole sorgente in una nuvolaglia viola sul mare, indaco fino all'orizzonte lontano.
Gli edifici sfrecciavano veloci nell'aria fresca, sulle colline, sino alle alture da cui le montagne parevano potersi toccare con mano. E poi, sull'infinito nastro grigio dell'autostrada, il ragazzo e l'ombra blu che cavalcava furono un tutt'uno, trascinati via contro il vento della corsa.

«Come stai?»
«Secondo te?»
«Coraggio! Esci, godi dell'aria pura, il mondo non è poi così male!»
«Sì, lo so.»
«Serena, posso fare qualcosa per te?»
«Scusa Dario, non ho voglia di parlare.»
Lo scatto secco del telefono aveva chiuso ogni possibilità di riprendere il leggero legame che si era instaurato. Non avrebbe risposto di nuovo, questo il ragazzo lo sapeva. Si portò sul terrazzo; le stelle erano velate da una fitta coltre di pennellate violette, mentre all'occidente l'oscurità sembrava una belva acquattata, compatta, spessa, nera. Era il preannuncio di una tempesta. Serena non sarebbe uscita dalla sua stanza, non prima di aver consumato ogni briciolo di energia nel suo corpo, di aver estirpato la vita fisica e materiale, disseccata la fonte illusoria, estratto il coltello che le avvelenava l'anima. Non era la prima volta – ma ognuna di esse la avvicinava a quella che sarebbe potuta essere l'ultima.

Mentre le curve rompevano il ritmo veloce e il motore riprendeva il canto allegro e regolare nel vento, il ragazzo si lasciava trapassare dalle voci del presente e del passato – e da quelle del mondo, incantate, fiere, forti e sincere come i tronchi degli alberi che scurivano le cime.

Nero e bianco, bianco e oro, il casco rispose a un timido bagliore stilettante tra le nubi, come una speranza iridata che ancora non si era compiuta. Il vascello accelerò ancora. La luce non si alzò, e la pioggia iniziò a frustare inclemente la strada, le mani e la carena.
Neve bianca e d'argento risplendeva ai lati della piazzola in cui il ragazzo si fermò a indossare la tuta impermeabile, sottile e robusta. Viaggiava leggero. Come un desiderio inciso nel metallo incandescente.
In breve le nuvole scomparvero, sostituite da una semioscurità violacea e venata di malinconia. Dario le osservava in piedi, il volto deciso, addensarsi in massa dinanzi a lui, affianco alla sua motocicletta blu notte, al bordo di una piazzola tra il bianco ormai invisibile della tarda mattina. Trasse un sospiro, e ripartì.
Presto la pioggia si rovesciò in torrenti sulla carreggiata; muri d'acqua ghiacciata si levavano improvvisi e, passati come a guado, investivano il guidatore sino alla cintura. Infine il sole del primo pomeriggio fece capolino tra le nubi, quasi il maltempo avesse rallentato durante la corsa attraverso la pianura, ed illuminò come un gioiello Vicenza, le sue borgate e i suoi boschi sparsi. Dario guidò sicuro sino ad una chiesa al centro di un paesello, piccolo, angusto, dall'aspetto medievale. Si tolse gli abiti da viaggio e si asciugò alla meno peggio, avviandosi poi a passo svelto verso l'abitazione di Serena.

Lontana da occhi indiscreti, quasi cercasse di nascondersi a sguardi troppo insistenti, la casa ad un piano era circondata da bassi alberi, tra i quali un esile cancello dava acceso ad un passaggio lastricato. Il ragazzo suonò, ed una voce gracchiante rispose. Era la madre della ragazza. Dovette dare parecchie risposte sul perché si trovasse lì, che cosa volesse, che cosa cercasse; non gli fu aperto. Suonò di nuovo:

«Serena non vuol vedere nessuno! Neanche me! Si è chiusa in camera!»
«Va bene. Mi faccia solo provare. Se non mi vuole vedere me ne andrò, la prego.»

Infine il cancello non troppo amichevole si aprì ed il ragazzo percorse le pietre d'ardesia tra il prato di un verde abbagliante sino alla la porta di casa. Senza troppi complimenti, fu fatto entrare. Conosceva la strada.

«Sono giorni che non mangia.» esclamò la madre a mo' di congedo. Dario non mosse un muscolo. Quando la donna si fu allontanata, bussò alla porta di legno castano.

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