Forse è giusto così...

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Una notte calma e serena, la luna brilla in cielo con le sue stelle. Le nuvole se ne sono andate, ed ora mi accorgo di essere veramente sola. Tutti i miei "amici" sono usciti, d'altronde per loro è un sabato sera come tutti gli altri. Beh, purtroppo per me non è così. Guardo la luna e le sorrido, forse lei è l'unica che capirà quello che sto per fare. La paura che ho provato durante la cena si è volatilizzata, ora mi rimane solo un senso di eccitazione ed entusiasmo. Guardandomi sembro pronta per andare in centro città, ed è questo quello che voglio far credere ai miei genitori. Gonna nera liscia, calze velate, camicetta bianca e giacchetta quasi elegante. Nella borsetta nera ho messo il telefono, le cuffie, i soldi e le medicine, quelle che finalmente mi aiuteranno a guarire da questo male che ormai non mi molla più da mesi. Non voglio che qualcuno sappia anche solo  minimamente di questo mio, come posso chiamarlo, problema (?). Nessuno capirebbe, lo so, ho già provato a parlarne alla mia "migliore amica", la quale mi ha quasi riso in faccia credendo che scherzassi. Beh, direi che non è proprio coì. Esco di casa senza un filo di trucco, e scendendo le scale porto senza volerlo le mani al ciondolo che ho al collo, quello che mi è stato regalato anni fa da un amico di famiglia, che purtroppo ora non c'è più. Una volta arrivata a fine rampa mi sistemo velocemente i ricci e cerco di sorridere al portiere che, come sempre, mi regala una caramella. E' forse uno dei pochi che mi  ha sempre sorriso, e spesso mi ha fatto complimenti sinceri. Appena salgo sul pullman dei ragazzi fischiano nella mia direzione, e io  mi siedo accanto a una signora anziana, con i capelli bianchi raccolti in chignon alto. E' molto bella, e quando si accorge che la sto fissando mi sorride e dice a bassa voce: "Non ascoltare quei ragazzi, sono solo  degli sciocchi. Sei una bellissima ragazza." Le sorrido sincera e sento le lacrime salirmi agli occhi.
Ma cosa sto facendo?
Nella mia mente si forma chiaro quel ricordo: la porta che sbatte, le urla, lui che esce arrabbiato e le lacrime che hanno bagnato il mio cuscino. Tutte le volte la stessa storia:  una lite e iniziava il putiferio. Questa è l'unica scelta che ho.
Alla fermata  del parco scendo e mi siedo in un angolo, appoggiata al muro con la schiena e le lacrime che scendono veloci e salate sulle mie guance arrossate. Mi infilo le cuffie e faccio partire la riproduzione casuale dal cellulare, e, ovviamente, inizia quella canzone che io e lui beccavamo  tutte le mattine in macchina durante  il viaggio verso la scuola, quella che cantavamo ridendo, quella che non ho mai avuto il coraggio di cancellare. le lacrime scendono sempre più veloci, per cui prendo le medicine che ho nella borsa e me ne metto in mano una trentina. Me le metto in bocca e prima di ingerirle mando un messaggio, uno  solo, solo a lui: Addio papà.
Ingoio e il resto è vuoto, il resto è buio, il resto è  silenzio, se non per il trillo di quella notifica che purtroppo, o per fortuna, non leggerò mai.

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