Capitolo 1 ~ vado a New York, non aspettatemi per la cena

24 3 2
                                    

Luke

Si dice che alcune persone nascono grandi, altre... beh, altre hanno bisogno di un aiuto in più.

Non ho molte certezze, ma di una cosa ne sono completamente sicuro: io non sono nato con la stoffa del campione.
Quando ero piccolo mio padre mi portava sulla spiaggia, in riva al mare, a pescare. "Noi siamo come i granelli di sabbia" mi diceva toccandosi il mento con una mano rugosa "siamo piccoli e insignificanti di fronte all'universo."

Forse lui pensava di darmi una lezione di vita, grande stronzata.

Nessuno in vita mia mi ha mai fatto sentire insignificante come mio padre.
Ho sempre pensato che mentre mia madre era in mia attesa lui avesse fatto un corso approfondito e velocizzato: come rovinare la vita del proprio figlio in tre piccoli passi:
1- fallo sentire una nullità dal primo mese di vita.
Il primo ricordo che ho di questa fase è di quando, a tre anni, mi disse che il mio amico di infanzia, Tom soprannominato il pidocchioso, aveva fatto un castello di lego migliore del mio.
2- umilialo pubblicamente.
Ricordo che a undici anni avevo portato la ragazza che mi piaceva a casa mia per un progetto scolastico. Avevo ripetuto più volte ai miei di non farmi fare figuracce: mia madre le ha mostrato degli album di fotografie che avevo tentato di bruciare e mio padre le aveva raccontato di ogni singola figura di merda della mia vita. La ragazza non mi ha più parlato.
3- ricordargli costantemente che il tetto sotto il quale vive non appartiene a lui.
Questo punto gli è andato particolarmente a genio dai miei quindici anni in poi. Quasi ogni giorno, durante il suo lungo monologo che teneva ogni sera a cena, mi ripeteva la solita frase che su di me suonava come un crudele presagio. "Ricorda che questa non è casa tua, è sempre casa mia".
Come se io vivessi in un hotel.

E per questo che un giorno, durante le vacanze di Natale, mentre guardavo attentamente una vetrina di giocattoli per bambini con oggetti colorati e brillanti mi venne l'illuminazione di una vita: due parole, una città. New York.
Mi è sembrata subito un idea geniale, quasi un illuminazione divina. Un luogo dove ognuno può essere se stesso e può fare ciò che vuole. Un luogo dove i sogni non sono proibiti ma si avverano.
Per questo tornato a casa annunciai: "vado a New York, non aspettatemi per la cena".

Quella sera cenai con la mia famiglia nonostante tutti i miei buoni propositi di partire. Forse ero stato un po' irruente e mi ero fatto trascinare dalla frenesia. Non si affronta un viaggio di circa 5.114 chilometri perché si è vista la pubblicità di un aereo in un manifesto.
La casa dei miei genitori è in una bella zona di Dublino, ma non mi è affatto dispiaciuto lasciarla.
Ho impiegato tre settimane per organizzarmi e riuscire a partire.
All'aeroporto sono stato accompagnato solo da mia sorella e da mia madre, perché mio padre ha pensato bene di non parlarmi più dopo il mio grande annuncio.
Pensa ancora che io sia un avventato fuori di testa e che non abbia capito niente della vita.
Io penso che abbia completamente ragione, della vita non ho capito proprio niente, tranne che con lui non ci voglio stare.

Forse mia madre è stata la persona che più ha sofferto per la mia partenza, ma prima di prendere l'aereo l'ho confortata più volte dicendo che sarebbe potuta venirmi a trovare.

L'appartamento qui è piccolo e fatiscente, con delle grandi finestre in soggiorno e in camera, una puzza di muffa e fumo in ogni stanza e dei vicini terribilmente rumorosi. È piccola e mi basta girarmi sul posto per fare vedere ogni stanza, ma è bello sentire che è solo e completamente mia.
Ho tentato di pulire il calcare dal lavandino ma non ci sono riuscito. Posso sembrare pazzo ma giuro che mi piace sapere che quel calcare è solo e completamente mio.
Quindi tu hai lasciato la tua bella villa a Dublino per possedere del calcare attaccato ad un lavandino newyorkese?
Zitto cervello. Sei rimasto in silenzio per 21 anni non puoi continuare così?

Sono stato un illuso a pensare che sarebbe stato semplice. La prima settimana è stato un vero inferno e sono stato veramente tentato a tornare a casa. Ma poi nella mia testa si materializzava il viso sereno e cupo di mio padre è il pensiero scompariva completamente, come per magia.
Ogni giorno sono costretto a mangiare una poltiglia che cerco di chiamare cibo ma che chiaramente non entra nella piramide alimentare. Ho la certezza che non diventerò mai un cuoco.

Per quanto possa ben sapere cosa non farò nella vita, non ho idee su quello che potrò diventare.

Fin da quando ero un bambino il mio sogno era quello di diventare una grande star.

"È un enorme sciocchezza" mi ripeteva mio padre dall'alto dei suoi quarant'anni di vita.
"Non diventerai mai nessuno a strimpellare una chitarra al parco!"

Ma ai bambini piace sognare e a me più di tutti.

Tanto non sarei diventato qualcuno in ogni caso.

In realtà la mia mente sperava ancora che vivere a New York potesse migliorare la possibilità di diventare il futuro Michael Jackson, possibilmente meno drogato.
Certo, la prima settimana ha fatto dissolvere ogni speranza di diventare qualcuno.

La città e le persone si sono subito dimostrate più ciniche di quello che mi aspettavo.
Desideravo l'avventura e mi ritrovo con tanti costi da pagare, il calcare nel lavandino e pochi soldi in tasca.

Trovare un lavoro era stata la mia prima priorità. Ma non è stato così semplice come pensavo. Volevo farmi strada fin da subito nel campo della musica, grande cazzata.

Ho scoperto che nessuno vuole aiutare un irlandese ventunenne con tante idee e tanti sogni ma pochi soldi e poca esperienza.

Le terza notte mi sono ritrovato a pensare ciò che mai avrei creduto possibile: mio padre aveva ragione.

Ma fortunatamente mi sbagliavo: ora un lavoro l'ho trovato. Miracolo.

È un incarico prestigioso, persino.  È già incredibile trovare un lavoro dignitoso a Manathan, sono stato molto fortunato. Sono il nuovo tuttofare della grande compagnia the Douglas Hotels Collection Com.
È la più importante compagnia di alberghi del paese, famosa nel mondo per i suoi grandi e costosi hotel di lusso.
In pratica pulisco i cessi. Almeno sono dei bei cessi.

Durante il colloquio di lavoro sono stato molto onesto.
"Non so molto di hotel ma imparo in fretta. Non assumermi sarebbe un errore". Al signor Douglas deve essere piaciuta l'ironia. Mi guardò dall'alto in basso, ma senza mettermi in soggezione, si passò la mano nei radi capelli bianchi fino ad appoggiarla sulla nuca e fece un grande sorriso.
"Non mi piace sbagliare"  ha risposto lui.

Ha portato in avanti una mano per farsela stringere e io credevo stesse scherzando. Invece mi ha assunto veramente.

Così ora sono qui, a New York, quello che era cominciato come un gioco di un ragazzo è diventato la realtà di un uomo.

Ma sto aspettando il vero cambiamento che mi è stato promesso.

La figlia del capoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora