Capitolo 1.

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Era un giorno come un altro, qui, a Grosseto, ed io ero come sempre seduta,o meglio stravaccata, sul divano, con la mia solita camicia blu a righe, il mio solito basco nero, i mei soliti pantaloni bianchi, le mie solite sneackers, i mei soliti capelli lunghi, sciolti, neri, il mio solito sorriso, un pò forzato, stampato sulla labbra.
Mi vestivo quasi sempre in quel modo perché quei vestiti erano importanti, troppo.

Arrivò Linda, mia madre adottiva che come al solito, come ogni due settimane urlava :" Alessia! Alessia! Forza andiamo. È arrivato il giorno del trasloco! Ancora...!"

Ai suoi occhi non so cosa fossi, una bambola, un pupazzetto da poter portare ovunque lei volesse, oppure una persona secondaria che comunque per lei ci sarà sempre e che non la lascerà mai da sola.

Fatto sta che, anche se mal volentieri, iniziai ad imballare le mie cose...ormai decimate da tutti questi traslochi continui, iniziai prima dai vestiti... rimasti poco più di una decina di capi, tra mutande, calzini, gonne, pantaloni, maglette, maglioni. Poi le scarpe, rimaste 2 paia escluse quelle che avevo ai piedi. Quelle che già indossavo, le sneackers, bianche, erano le mie preferite, avevano un ricordo affettivo per me.
La altre erano, un paio, delle converse, quasi nuove, bordeaux, l'altro paio invece erano le Air Force nere, anche queste le amavo.

Dopo aver preparato e imballato tutta la roba da vestire mi dedicai a tutti quegli oggettini nella mia stanza. Nella prima scatola ci misi la bajuor,i mia bracciali, gioielli, il mio salvadanaio, l'orologio da muro, e alcuni quadretti, nell'altra ci misi soprammobili, cose di scuola, libri, borse, e, cosa che non poteva mancare, il mio cuscino, e i miei svariati portafortuna, sistemati sempre nell' OCCHIO DELL' IMMENSO come lo chamavo io.

Dopo qualche ora si erano già fatte le 17.

Il tempo era come volato.

In un attimo erano passate delle ore, ed io, ogni secondo avevo tanti di quei pensieri, che però andavano a incontrarsi su UN punto fondamentale, più importante di tutti gli altri.
Pensavo a dove saremo andati stavolta, se i miei nuovi compagni saranno simpatici, speravo che questo fosse stato l'ultimo, di trasloco.
Ma il pensiero che più mi rimbombava nella mente era quello di mia madre, naturale.

Lei mi aveva abbandonato appena nata, mi aveva lasciato in un cesto di vimini davanti ad una porta, qualsiasi, come i postini lasciano, o meglio tirano i giornali sugli usci.
Volevo a tutti costi scoprire cosa le fosse successo in questi 17 anni.

Ad un certo punto sentii uno squillo.
DIN DON...

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