~ Mi ameresti,non provarci: perderesti.Da una vita stravissuta che ti aspetti?(Renato Zero – Mi ameresti) ~
Chiunque, almeno una volta nella sua vita, in un posto lontano o vicino dal luogo d'origine, ha fatto il cosiddetto 'turista': si sarà immerso in lunghissime passeggiate, avrà pranzato nei locali più caratteristici, avrà setacciato scrupolosamente tutte le bancarelle presenti. Beh, a volte capita di trovare, per caso, qualcosa di carino, in queste bancarelle. Per esempio, la famiglia del giovane Harry Potter – non più così giovane, in realtà – aveva comprato, in visita in un piccolo villaggio del sud dell'Inghilterra, una targhetta di legno con su scritto 'Il padrone di casa sono io. Chi comanda è mia moglie'; lui l'aveva fatta vedere a sua moglie, Ginny Weasley, e dopo essersi fatti un paio di risate l'avevano comprata e, una volta tornati a casa, l'avevano appesa in salotto, proprio accanto alla libreria.
E in quel tardo pomeriggio di fine Agosto del 2027, mai frase fu più attinente.
"Ginny, amore," sempre meglio inserire qualche 'amore' qua e là, se si voleva riuscire ad intenerire la controparte "ti ricordi, vero, che, tra poco meno di un'ora e mezza, io, Ron e George andiamo al pub? Non ho il tempo materiale di fare quanto mi chiedi. Amore."
Ginny l'aveva guardato in un modo che non ammetteva repliche.
"Harry, te lo chiedo gentilmente... Il nostro frigo langue! Sai come sono i nostri figli, soprattutto James! Se potessi andarci io, a fare la spesa, non te lo avrei chiesto!"
Ed Harry Potter aveva finito con l'impuntarsi.
"Io non andrò a fare la spesa, Ginny. Manda Albus, manda Lily! Non mi ridurrò all'ultimo secondo per potermi preparare ad uscire!"
Com'è che recitava, quella targa? 'Il padrone di casa sono io. Chi comanda è mia moglie'.
E così, circa un quarto d'ora dopo, Harry aveva dovuto prendere il proprio giacchetto ed andare a comprare qualcosa per riempire il frigorifero, avvalendosi dell'aiuto di una lista compilata direttamente da sua moglie. Camminava borbottando furiosamente e velocemente, diretto al supermercato più vicino, con le mani nelle tasche, stringendo, forse neanche troppo involontariamente, la lista che gli aveva dato Ginny, accartocciandola tutta.
Doveva andare al pub con Ron e George, accidenti. E doveva sbrigarsi, altrimenti non avrebbe avuto neanche il tempo di farsi una doccia.
Si fermò davanti alle porte scorrevoli del supermercato, chiedendosi perché ci mettessero tanto ad aprirsi, quelle maledette. Dopo qualche secondo fece un cenno col braccio alla fotocellula e finalmente quelle si degnarono di aprirsi. Quando entrò dovette bloccarsi un attimo per il gelo che provò, semplicemente a causa dell'utilizzo dell'aria condizionata babbana, e per un momento temette seriamente che ciò gli avrebbe provocato qualcosa di grave alla sua cervicale, ma poi ripensò a che ore fossero, e cominciò a darsi una mossa. Afferrò un cestino con le rotelle e prese a tirarselo dietro, mentre con l'altra mano estrasse la lista dalla tasca, accorgendosi di quanto si fosse accartocciata, e allora prese a spianarla sulla propria gamba.
Accidenti, c'era scritto 'pepe' o 'pane'?
Harry cominciò a vagare per il supermercato trascinandosi dietro quel carrellino che, oltretutto, faceva un rumore infernale, e riuscì ad uscire da lì – godendosi un altro meraviglioso sbalzo di temperatura – non presto quanto avrebbe voluto, con una pesante busta tra le mani.
Doveva sbrigarsi, doveva sbrigarsi, doveva sbrigarsi.
Con un'andatura un po' sbilenca Harry si incamminò verso casa: tutta la famiglia Potter abitava, infatti, in un tranquillo quartiere di Londra, in una modesta villetta. Non molto lontano da dove abitavano Ron, Hermione e figli, in effetti.
La busta di plastica, poi, gli stava praticamente segando in due le dita, quindi si fermò un momento e l'afferrò meglio, per poi continuare a camminare. Ormai era il crepuscolo, e i lampioni si stavano lentamente accendendo e illuminavano il marciapiede con la loro luce 'eclettica', come ancora si ostinava a dire suo suocero. Un orologio, da qualche parte, rintoccò l'ora. Accidenti, accidenti. Riprese a camminare – sempre in maniera un po' sbilenca – un po' più velocemente, ma poi... poi lo vide.
Era esattamente dall'altra parte della strada, sul marciapiede, che camminava con quel passo che ormai era diventata una sua caratteristica. No, un momento... Cosa accidenti ci faceva dall'altra parte della strada? Cosa ci faceva lui, lì? Quando avrebbe dovuto, invece, trovarsi ad almeno mezzo metro sotto terra da... da almeno trent'anni?!
La busta che Harry stava faticando a tenere sospesa in perfetto equilibrio cadde, improvvisamente, rovinosamente a terra; il sacchetto delle patate si ruppe e quattro o cinque di esse fuoriuscirono dal loro contenitore e rotolarono sul marciapiede. Un sonorocrack gli indicò che probabilmente le uova si erano appena fracassate, ma Harry non aveva occhi che per l'uomo – macchia nera nel crepuscolo – che, dall'altra parte della strada, aveva appena svoltato in un vicolo, sparendo agli occhi di Harry.
Harry raccolse la sua spesa – o quello che ne rimaneva – ed attraversò la strada, di fretta, ringraziando Merlino che in quel momento non stesse passando nessuna automobile; si diresse immediatamente al vicolo in cui aveva visto scomparire quell'uomo, ma quando lo imboccò non vide anima viva. Harry spostò il peso del proprio corpo dal piede destro a quello sinistro, mentre rifletteva che... insomma... alla fine era pure normale che non ci fosse nessuno, lì. Probabilmente l'uomo che aveva visto si era smaterializzato non appena voltato l'angolo.
Se non fosse stato sicuro di avere gli occhiali ben piantati sul naso, quasi avrebbe ammesso di esser stato vittima di un'allucinazione.
Perché... Non era possibile che avesse appena visto un vivo e vegeto Severus Piton camminare dall'altra parte della strada. Giusto?
"Non me lo sono inventato, Ron, l'ho visto." disse Harry, stringendo un bicchiere di birra tra le mani e rimanendo seduto con la schiena curvata in avanti, sul tavolo, verso un Ron e un George che lo ascoltavano attenti.
Alla fine, dopo quella... sconcertante esperienza, e dopo essere riuscito a riprendesi, Harry era subito tornato sui propri passi e si era davvero precipitato a casa di corsa, quella volta. Purtroppo non aveva neanche fatto in tempo a cambiarsi (la doccia fu momentaneamente dimenticata) che era dovuto uscire, senza neppure il tempo di parlare con Ginny di quanto avesse appena visto. Di chi avesse appena visto.
"Harry, Harry, carissimo Harry, sicuro di aver avuto i tuoi preziosi occhiali sul nasino?" lo prese in giro George.
Il diretto interessato alzò gli occhi al cielo. "Sì, che ce li avevo, gli occhiali!" rispose stizzito "Anche perché non è che senza di essi vedo Piton da tutte le parti."
"Semplicemente non vedi nulla." concluse Ron.
"Appunto."
"Beh..." continuò allora George "Ovviamente è piuttosto... Beh, sì, piuttosto curioso, no?"
"Curioso?" gli fece l'eco suo fratello Ron "Tu lo definisci solo 'curioso'? Quell'uomo potrebbe essere anche uno..." Ron spostò per un momento i suoi occhi su Harry "... uno zambee?"
"Uno zombie, Ron." lo corresse il mago con gli occhiali "E comunque non penso si trattasse di un morto vivente o cose del genere."
"Anche se" intervenne George "considerando che dovrebbe essere morto... quando? Ventinove anni fa!"
"Già."
"Miseriaccia, gli abbiamo anche fatto il funerale! Come lo spieghi, questo?"
"Non lo so, Ron, non lo so!" esclamò Harry con le mani tra i capelli.
Diedero tutti e tre una sorsata ai loro boccali di birra, e l'unico rumore che si sentì fu quello del loro deglutire, per un po'.
"Sicuro che non fosse uno zambee, eh?"
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Punto di non ritorno
Fiksi PenggemarHarry Potter sta camminando per le vie di Londra, intento a tornare a casa, quando, improvvisamente, vede un uomo dall'aria piuttosto familiare camminare non troppo distante da lui. Non si sarebbe neanche sorpreso più di tanto, non fosse stato che q...