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Ero lì in quella stanza ancora immersa nei miei pensieri tristi, quando sentii dei passi.
"Sarà la signora Murphy.." pensai alzando lo sguardo.
Ma subito dopo sentii qualcuno avvicinarsi alla porta.
«Ehi va tutto bene ?» chiese un ragazzo, ma solo due secondi dopo riconobbi la sua voce, era Lucas.
«Ehi, Lucas. Che ci fai qui?» chiesi asciugandomi le lacrime.
«Dimmi come stai? Ti ha fatto qualcosa?»
«No. Niente, sono rinchiusa qui da ore, ma ci sono abituata tranquillo. Ho frequentato spesso questa stanza.» risposi io avvicinandomi alla porta.
«Forse tu hai un carattere davvero pessimo, e menefreghista.. Ma lei non può trattarti così..» esclamò lui.
«Grazie mille del complimento eh..» risposi ironica.
«Senti, perché sei tornata qui, cos'hai fatto di male?» chiese il ragazzo appoggiato alla porta.
«Non sono fatti tuoi.. Puoi anche andare..»
«Ma dai la smetti.. Perché improvvisamente torni a diventare la finta menefreghista.. Ti ho semplicemente fatto una domanda.. » rispose lui, dopo avermi fermata.
«E poi, pensavo che volessi uscire da questa stanza.. Sai? Ho la chiave proprio qui tra le mie mani.» continuò facendo rumore con quest'ultima mentre entrava nella serratura.
Mi alzai di scatto e appena aprii la porta notai lui con lo sguardo da "io sì che ci so fare." con una chiave fra le mani.
«Ottimo, grazie.. Ora posso andare.» dissi dopo avergli accarezzato un braccio.
«Ci risiamo.» sentii da parte sua.
«Ti conosco si e no da qualche ora e posso già dire che siamo simili.. Perché non .. Cioè restiamo insieme così da ..» continuava lui a balbettare.
«Da..(?)» chiesi io, notando che si era bloccato.
«No niente, lascia stare.» rispose per poi darmi le spalle.
"Thomas non si sarebbe tirato indietro COGLIONE!." pensai portandomi le mani tra i capelli.
Ma adesso c'era un'altra cosa a cui dovevo stare attenta, ovvero non farmi vedere dalla direttrice e sgattaiolare nella mia camera.
Scesi le scale, fino ad arrivare al piano stabilito.
Arrivai fuori la mia camera ed entrai dando le spalle al letto, e appena mi girai notai la signora Murphy, seduta sulle mie lenzuola, fissarmi con aria menefreghista.
«Pensavi di scampartela.. Stai esagerando, sono 12 anni che sei qui, nel mio istituto, nel mio orfanotrofio, e ormai ti conosco bene. Ovunque ti rinchiuda, riesci sempre a scappare, riesci sempre ad ottenere ciò che vuoi.. Ma adesso basta.. Resterai chiusa in questa stanza senza nemmeno più vedere gli altri.. Senza vedere il tuo nuovo amichetto Lucas. Ti  sta bene così? » chiese lei facendo dondolare una chiave tra le dita per poi alzarsi di scatto e venirmi accanto, dopo aver chiuso la finestra a chiave.
«Biondina, sappi solo che la prossima volta, le cose andranno davvero molto peggio.» disse infine per poi darmi le spalle, accanto alla porta.
«Perché ce l'ha così tanto con me?» chiesi poco prima che la chiudesse a chiave.
«Semplice. Te l'ho ripetuto tante e tante volte. Odio le ragazzine ribelli, e chi non mi ascolta. E poi una come te, qui non ci serve..» esclamò in fine.
Dopo aver seguito con gli occhi la porta chiudersi, decisi di distendermi sul letto e socchiudere gli occhi.
«Non vincerai tu, stronza.» dissi per poi stringere tra i pugni le lenzuola fresche color bianco panna.
Quella sera mi addormentai così, con i nervi a mille, i muscoli tesi, e per finire vestita.
La mattina dopo, a svegliarmi fu un raggio di sole che mi illuminò l'occhio destro.
Mi alzai e andai nel bagno della camera.. Questa era l'unica cosa positiva, potevo avere un bagno tutto mio, perché come già dissi, quella stanza prima, non era una camera.
Mi lavai i denti, mi sciacquai il viso e appena aprii gli occhi mi guardai allo specchio.
«Thomas? Mi manchi.. Mi manca litigare con te... Perché non vieni..» dissi con tono triste, seguendo i lineamenti del mio viso con gli occhi, e subito dopo andai a farmi una doccia.
Era bellissima la sensazione che provai in quel momento.
L'acqua fredda che sembrava volesse cacciare via ogni mio pensiero, scivolando sui pori della mia pelle indifesa.
Appena tornai in camera mi vestii e per abitudine cercai di aprire la porta.
«Ah diavolo.. È vero, è chiusa..» esclamai tirandogli un pugno.
«Mi sento così.. sola..» dissi affacciandomi alla finestra.
«Sto impazzendo..» continuai poi strofinandomi gli occhi.
D'un tratto, dall'esterno di quell'istituto, potei sentire una macchina arrivare, per poi spegnere il motore.
"Chi è?" chiesi cercando di affacciarmi per vedere, ma ero troppo in alto, e non potevo sporgermi troppo, e per di più la finestra era chiusa.
Riuscii solo a sentire delle parole, molto distanti.
«Dov'è? La prego.» supplicò un uomo.
«Oh, mi dispiace ma un'altra famiglia ha deciso di adottarla.» rispose la direttrice.
Riuscivo a identificare la sua voce da trombetta sfiatata da lontano.
«No, non è possibile, LEI È QUI.»
Questa frase fu come musica per le mie orecchie, la sua voce, la ricordavo così bene, la desideravo così tanto.
Era Thomas, e stavano parlando di me, cercavano me.
Cercai di urlargli che ero qui ma a quanto pare non riuscivano a sentirmi, nonostante gli facessi dei segni. La mia camera era nella parete destra, e a malapena potevo sentirli e vederli.
Potei sentire una frase della direttrice che mi deconcentrò da tutto.
«Mi dispiace. È stata adottata, e se la riporteranno, come sempre, andrà in un altro istituto.»
"Cosa? Un altro istituto, ma che diavolo sta dicendo? Perché mente.. " pensai.
Riuscii a vedere anche la scena di Louis che porta il figlio in macchina cercando di calmarlo.
«Mio Thomas..» dissi per poi seguire la macchina con lo sguardo fino a perderla di vista.
Mi sedetti sul pavimento freddo ed infine ricordai di avere ancora il cellulare che era nascosto sotto il cuscino.
Lo presi e cercai Thomas nella rubrica e appena trovato gli mandai un messaggio.
"Tom, lei mente, io sono qui." digitai velocemente e subito dopo lo inviai.
Aspettai qualche minuto, ma niente lui non lo lesse, e non mi arrivò suo messaggio, fin quando si spense.
«Cosa nooo. Dio la batteria di merda.. Tom tra tutti dovevi scegliere proprio l'iPhone.» urlai cercando nella valigia il caricatore ma non c'era..
«Cazzo, era nello zaino che mi ha preso la direttrice..» dissi lanciando il cellulare sul letto e portandomi le mani al viso.
«Perché tutto contro me? Perché?» chiesi.
Diedi uno sguardo all'orologio nella camera e si erano già fatte le 12:58.
A distogliermi dai miei pensieri fu lo scatto della porta, che si aprii, e appena portai lo sguardo all'uscita, vi era la direttrice con un vassoio.
«Ecco il tuo pranzo.» urlò posando il vassoio sul comodino alla sua destra.
«Mi aspettavo.. Che non lo portava lei.. Che lo avrebbe fatto portare da una delle suore.. Ma ovviamente deve stuzzicarmi. SEMPRE.» sussurrai, seduta sul pavimento, osservando l'orologio, con tono distratto, come qualcuno che davvero non ce la faceva più.
«Già, ma ho deciso che non devi vedere più nessuno oltre me..» esclamò per poi darmi le spalle.
«Aspetti.. Mi dica un'ultima cosa.. » gridai per fermarla, portando lo sguardo a lei.
«Mia madre?.. Vorrei sapere la verità.»
«Semplice.. Tua madre è morta. Ti ha portato un uomo qui.. Già sai la storia.. Non c'è nessuno.» balbettò lei.
Ovviamente quella frase non mi faceva più effetto come mi fece all'età di 6 anni, dopo aver scoperto la verità.
Non degnai nemmeno di uno sguardo il vassoio, e dopo qualche oretta quando tutti erano nelle proprie camere, decisi di provare a forzare la serratura, per prendere il caricatore nello zainetto confiscatomi dalla direttrice.
Presi una forcina e con il solito metodo prima tirai, poi infilai la forcina, per poi spingere.
Al primo tentativo uscì solo una bestemmia, ma al secondo riuscii ad aprirla, e subito feci attenzione se vi era qualcuno.
Sgattaiolai fuori con il mio cellulare fra le mani, e andai in cucina.
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Perché ? Ah semplice, volevo un biscotto 🍪
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Subito dopo, cercai l'ufficio della direttrice e notando la sua assenza entrai dentro, e bloccai la porta con la sedia.
«Allora vediamo..» dissi.
«Una stronza del genere, dove può nascondere il mio zainetto?» continuai a chiedermi mentre cercavo nei mobili.
Dopo minuti di ricerca, trovai un cassetto pieno di fogli.. Ognuno di questi fogli aveva il nome di tutti i bambini che erano in quell'istituto, e ne riconobbi alcuni.
Cercai il mio nome e appena trovato lessi le informazioni.
"Sii.. Si.. Aleksandra Volkov.. A 3 anni.. Padre non identificato..."
Lessi appunto le mie informazioni, fino ad arrivare a mia madre.. Ma proprio come se il mondo fosse contro me, la direttrice arrivò, e nonostante volessi dare un'ultima occhiata al foglio, lei riuscii a forzare la porta, ed entrare.
"Porca puttana, ora sono nei guai." pensai, iniziando a sudare.
«Io lo immaginavo, immaginavo che avresti fatto ciò, che saresti uscita dalla tua camera, ma non immaginavo di trovarti qui, nel mio ufficio. Questo.. é grave.» disse lei, con tono serio, girandomi intorno.
«Forzare la porta.. Cercare tra le MIE cose...»
«Tra le SUE cose, c'è qualcosa di mio!» urlai fissandola negli occhi neri scuri che aveva.
«Ciò che è tuo, è mio, se sei qui.» continuò lei, prendendomi per i capelli e portandomi nel bagno di fronte.
Mi fece sedere, e appena provai ad alzarmi, mi spinse con la mano sulla spalla.
«Come ho già detto, devi pagarla.. In che modo? Beh, per ora andiamoci piano, so che ti piacciono tanto i tuoi lunghi capelli biondi.. Bene. Allora non li vedrai più.» disse prendendo una ciocca tra la mano, e con l'altra prese delle forbici.
Improvvisamente sentii una leggerezza sulla mia testa, che non mi piaceva affatto.
.. Cosa? L'aveva fatto davvero? Mi aveva tagliato i miei capelli, che adoravo, con cui riuscivo a sentirmi a mio agio?
«So che questa cosa ti fa soffrire.. Perché non erano semplici capelli per te.. La prossima volta impari.» disse poi tagliandomi un'altra ciocca.
Sulle spalle potevo sentire i capelli accarezzarmi la pelle, ma purtroppo erano capelli morti.
Ero impassibile in quel momento, non la pregai.
Nonostante stavo soffrendo dentro, non le chiedevo di smettere, non dovevo affatto essere debole avanti a lei.

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