28. Adam

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Perché non mi era venuto in mente? Spiegava tutto, rendeva ogni suo gesto e ogni sua affermazione perfettamente sensata. Chiariva anche la sua determinazione nel volerla salvare dai cacciatori.
In effetti, era praticamente ovvio che fosse stato lui a trasformarla. Era l'unico legame possibile tra loro due, così diversi eppure accomunati dalla licantropia.
Sollevai di scatto lo sguardo su Sean: se ne stava in piedi sulla soglia, la testa leggermente inclinata di lato, lo sguardo attento. Per il resto, non tradiva nessuna emozione. Scarlett, aggrappata a me, stava facendo dei respiri profondi per cercare di riprendere il controllo. Sembrava che rivedere il lupo che l'aveva trasformata l'avesse scossa nel profondo. E, in effetti, doveva essere una cosa molto sconvolgente.
«Non me l'avevi detto.» La durezza della mia voce sorprese anche me.
Sean aggrottò appena la fronte. «Non ti serviva saperlo.»
«Non mi serviva saperlo?» Ripetei incredulo.
Si strinse nelle spalle. «Esatto.»
Stavo per ribattere, ma mi fermai: non mi andava di litigare davanti a Scarlett, non ora che sembrava così fragile. Distolsi lo sguardo e mi concentrai su di lei. Nonostante questo, volevo comunque chiarire la cosa con Sean.
«Ecco... Oh, ciao Sean.» La voce di Matthew mitigò almeno in parte la tensione nella stanza.
Gli lanciai un'occhiata: sembrava un po' intimorito e teneva in mano una tazza di tè ancora caldo. Spostò lo sguardo su di me con aria interrogativa, ma neanche io avrei saputo spiegare cosa stava succedendo. Sean entrò chiudendosi la porta alle spalle. Fece un cenno di saluto a Matthew senza troppo entusiasmo.
«Ti ho preparato il tè, Scarlett.» Disse Matthew con un sorriso incerto.
Scarlett sembrò riscuotersi: drizzò la testa e ricambiò il sorriso. «Grazie.»
Lanciò un'occhiata sospettosa a Sean prima di avvicinarsi a Matthew e prendere la tazza che lui le stava porgendo. Si sedette sul divano con le gambe piegate sotto di sé, quasi avesse voluto farsi ancora più piccola di quanto non fosse già. Con un sospiro annoiato, Sean si lasciò cadere su una vecchia poltrona di pelle a lato del divano. Distese le gambe fasciate dai jeans davanti a sé e appoggiò i gomiti sui braccioli. Aveva un'aria strafottente, da ragazzino ribelle.
«Dobbiamo parlare.» Dissi tra i denti guardandolo.
Arricciò appena le labbra in una smorfia infastidita. «Magari dopo.»
«No.» Ringhiai. «Adesso.»
I suoi occhi verde-grigio si spostarono su di me ricordandomi lo sguardo di un leone un attimo prima di attaccare la preda. Rimanemmo a fissarci per lunghi momenti come se nessuno di noi due avesse voluto fare la prima mossa.
«Bene.» Decise infine alzandosi con un unico movimento fluido. «Parliamo.» Era riuscito ad infondere un'incredibile quantità di disprezzo in un'unica parola. «Andiamo fuori.» Aggiunse mantenendo il tono duro.
Alzai gli occhi al cielo, ma in fondo ero contento che avesse scelto di non mettersi a discutere davanti a Scarlett. Mentre lo seguivo fuori, le lanciai un'occhiata veloce che lei ricambiò stringendo le labbra.
Era preoccupata. Per me. Ancora faticavo a rendermene conto. In quel momento, però, avevo altro a cui pensare. Come, per esempio, il lupo mannaro diffidente e con una grande passione per le rispose a monosillabi davanti a me.
Mi aspettava di fronte alla casa, aveva sceso le scale del portico così silenziosamente che neanche me n'ero accorto. Mi chiusi la porta alle spalle e lo seguii.
Era sulla difensiva, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo attento. «Di che vuoi parlare?»
Scossi appena la testa: mi riusciva ancora difficile capire il modo in cui ragionava, ma soprattutto come si poneva davanti ai problemi che non potevano essere risolti con i suoi soliti metodi. «Come se avessi bisogno che te lo dica...»
«Sì, ne ho bisogno.» Replicò. «Perché io non credo ci sia niente di cui dovremmo discutere.»
Lo guardai negli occhi. «Non mi hai detto che sei stato tu a morderla, direi che è un buon argomento di conversazione, mmh?»
Mi soppesò con lo sguardo per un attimo. «No.»
«Cosa?» Sbottai incredulo.
«Saperlo non ti avrebbe cambiato nulla. Avresti agito in modo diverso se ti avessi detto che sono stato io a trasformarla? No, avresti fatto esattamente le stesse cose che hai fatto non sapendolo.» Spiegò, la voce calma che tradiva un accenno di rabbia.
«Non lo sai.» Ribattei cercando di mantenere il controllo.
«Sì invece. Che te ne frega se sono stato io a morderla o no? Rimane sempre il fatto che se non fossimo intervenuti sarebbe morta: è questo che ti ha spinto ad agire, non il sapere chi l'aveva trasformata.» Insistette.
Dovetti ammettere che aveva ragione, ma mi dava comunque fastidio il fatto che non si fosse neanche degnato di dirmelo. «Ma non puoi semplicemente presentarti alla mia scuola dicendo che Scarlett è il pericolo e aspettarti che ti segua così, senza dire niente. Mi devi qualche spiegazione.»
Nei suoi occhi passò un bagliore dorato. «Per prima cosa, è esattamente quello che hai fatto: sei venuto con me senza fare storie appena hai constatato che avevo ragione. E seconda cosa, non ti devo proprio niente. Semmai sei tu che devi qualcosa a me visto che ti ho aiutato a salvare Scarlett senza volere niente in cambio.»
Mi lasciai sfuggire un sorriso amaro. «Oh, ma certo. Adesso dovrei anche pagarti perché sei venuto da me in cerca di aiuto per portarla via di lì? Ma fammi il favore...»
«Guarda che è a te che importa di lei.» Ringhiò lui con aria irritata.
«E tu che scusa hai, eh? Perché sei venuto da me?» Replicai sentendo la rabbia nella mia stessa voce.
L'oro nelle sue iridi si fece più intenso. «Perché lei fa parte del mio branco.»
«Per questo credi di avere dei diritti su di lei?» Sbottai.
Un ghigno gli increspò le labbra. «Perché, tu pensi di averne qualcuno? Se proprio ne vogliamo parlare, qui sono io quello che potrebbe avere una qualche pretesa: le ho dato il morso rendendola una creatura forte e potente, è in debito con me.»
Scossi la testa. «Ma ti senti? Quello che è hai fatto è stato semplicemente complicarle la vita. Pensi che dover gestire istinti omicidi e notti di plenilunio le faccia piacere?»
«Tu non sai di cosa parli, io le ho dato il potere.» Dichiarò con aria altezzosa.
«Non mi sembra che lei te lo abbia chiesto.» Gli feci notare. «Da quel che mi risulta, il tuo prezioso morso non è una cosa di cui le faccia piacere parlare.»
Strinse i pungi tanto da far sbiancare le nocche. «Tu non sai tutta la storia che c'è dietro.»
«No.» Concessi. «Ma so abbastanza per capire che ti sei preso un po' troppe libertà: chi ti ha dato il diritto di trasformarla? Non le hai neanche dato la possibilità di scegliere.»
Una parte della mia mente mi disse che avevo toccato un nervo scoperto e lo sguardo di Sean, diventato improvvisamente di fuoco, me lo confermò. Un ringhio basso, minaccioso gli salì dalla gola. Un attimo dopo me lo ritrovai addosso: si era mosso così velocemente che avevo faticato a vederlo. Mi spinse indietro finché non mi scontrai con il muro. Eravamo così vicini che sentivo il suo respiro sfiorarmi la pelle. Teneva le mani strette sulla mia giacca, gli occhi accesi d'oro fissi nei miei. Era furioso.
«Tu non sai di cosa stai parlando.» Ringhiò tra i denti. «Non ne hai la minima idea.»
Avrei dovuto avere paura di lui e della sua reazione, ma l'unica cosa che sentivo era una rabbia fredda che non sembrava neanche appartenermi. Come facevo a non essere spaventato di fronte ad un licantropo arrabbiato? Sarebbe stato logico esserlo, era la cosa giusta, invece non mi sentivo assolutamente intimorito da lui. Forse era perché, in fondo ai suoi occhi, vedono un'ombra, come un vecchio dolore mai superato.
«Allora perché non me lo spieghi, eh? Tutti questi misteri mi danno sui nervi.» Replicai sfidandolo apertamente.
Un sorriso amaro gli sfiorò le labbra. «Sei solo un ragazzino, queste cose non ti riguardano.»
«Certo che mi riguardano!» Sbottai. «Mi hai trascinato nel covo di pazzi che cacciano licantropi e adesso mi vieni a dire che non mi serve sapere il motivo?»
«Sì, è così. Rassegnati.» Confermò lui aumentando la stretta. «E ti conviene imparare a stare al tuo posto, non ho tutta questa pazienza.»
Sostenni il suo sguardo. «Non ne hai neanche un po' infatti.»
Ringhiò di nuovo, ma si bloccò un attimo prima di rispondere. Si irrigidì, di colpo all'erta -non fu difficile capirlo visto che il suo corpo era premuto contro il mio-, e si voltò di scatto verso la porta sul portico sopra di noi.
«Sean!» Esclamò una voce che conoscevo bene: Scarlett.
Scese le scale di corsa e si fermò accanto a Sean per riprendere fiato: a quanto pareva, la ferita la destabilizzava ancora un po'. Sembrava sconvolta, incredula. E come darle torto? Sean le lanciò un'occhiata infastidita prima di tornare a concentrarsi su di me.
Prima che potesse parlare, però, Scarlett lo interruppe di nuovo: «Si può sapere che stai facendo? Lascialo. Adesso.»
«Scar, va tutto bene, davvero.» Provai a dire, ma la voce di Sean coprì la mia.
«Non sono affari che ti riguardano, ragazzina.» Ringhiò guardandola male.
«Vi state scannando a vicenda: certo che sono affari miei!» Ribatté lei incrociando le braccia al petto. «E poi tu mi hai trasformata quindi direi che quello che fai almeno un po' mi coinvolge.»
Sean non accennò ad allentare la presa su di me, sembrava che fosse semplicemente appoggiato ad un muro. «Mettiamo in chiaro una cosa, quello che faccio non ti riguarda almeno che non ti coinvolga in prima persona. E poi, al massimo sono io che scanno lui: mi sembrava di essere in netto vantaggio, mmh?» E mi lanciò un'occhiata provocatoria che mi fece alzare gli occhi al cielo.
«Non importa chi scanna chi.» Sbottò Scarlett con aria impaziente. «Lascialo e parliamo da persone civili.»
«Qui di civile c'è poco.» Borbottai facendo nascere un ghigno sulle labbra di Sean.
Fece un passo indietro e lasciò la mia giacca. «Hai più autocontrollo di quanto credessi.»
«Al contrario di te, eh?» Sbuffai scoccandogli un'occhiataccia.
«Adam!» Mi ammonì Scarlett con sguardo eloquente.
Sean non si scompose, si limitò a sorridere divertito. Sembrava che la rabbia di poco prima fosse completamente scomparsa. «Io ho molto autocontrollo, ho solo scelto di farti capire con chi hai a che fare. Sta a te adesso decidere come comportarti.»
Scossi la testa. «Sì, certo... Dovresti lavorare sulle tue minacce, comunque: non sono poi molto efficaci.»
Lo vidi irrigidirsi e serrare la mascella: avevo colpito nel segno, di nuovo. Prima che potesse ribattere, Scarlett si mise fra me e lui aprendo le braccia per mettere un po' di distanza tra noi due.
«Okay, diamoci una calmata adesso. Tutti e due.» Disse alternando lo sguardo da me a lui.
Non l'avevo notato prima, ma con quei vestiti scuri sembrava ancora più pallida. E se l'effetto dell'unguento di Matthew fosse finito? La ferita provocata da un proiettile d'argento doveva essere molto dolorosa per un licantropo. Non era il momento di farsi prendere dalla rabbia, ci sarebbe stato tempo dopo per chiarire.
Sean guardava Scarlett con un sopracciglio inarcato, come se la stesse studiando. E probabilmente era così: era la prima volta che la vedeva in piedi sulle sue gambe e chissà quanto era passato dall'ultima volta che l'aveva vista... Magari era stato quanto l'aveva morsa.
«Sei cresciuta.» Mormorò Sean all'improvviso aggrottando la fronte.
Scarlett sembrò sorpresa da quel commento. «Beh, sono passati cinque anni, sarebbe stato strano il contrario.»
"Cinque anni?", pensai stupito: questo voleva dire che lei aveva dodici anni quando lui l'aveva trasformata. Era ancora una bambina a quell'età... Eppure Sean non si era fatto problemi a farla diventare un lupo mannaro. Doveva essere stata molto dura per lei gestire zanne, artigli e pleniluni completamente da sola.
Lo sguardo di Sean si rabbuiò. «Quanti anni hai adesso?»
Lei strinse le labbra. «Diciassette.» Dopo un attimo di esitazione, aggiunse: «Tu?»
«Venticinque.» La voce di lui era diventata di colpo bassa e quasi morbida.
Scarlett si strinse le braccia al petto e abbassò lo sguardo. Doveva essere strano ritrovarsi davanti la persona che ti aveva rivoluzionato la vita e che poi era sparita per anni senza una spiegazione.
«Immagino che ci siano molte cose che non sai su di noi, vero?» Chiese Sean inclinando appena la testa di lato.
«No, in effetti so molto poco.» Ammise Scarlett. «Più che altro ho imparato dalle mie esperienze e da quello che ho potuto vedere su di me, ma le mie conoscenze si limitano a questo.»
Sean annuì piano, come se avesse avuto la conferma di qualcosa. Scarlett si strofinò le braccia fissando il terreno con aria cupa.
«Forse dovremmo rientrare, mmh?» Proposi guardandola.
Sollevò lo sguardo su di me e mi fece un breve sorriso. «Sì, è una buon'idea.»
Senza dire una parola, Sean indietreggiò ancora lasciandoci liberi di passare. Sembrava che tutta la sua voglia di discutere fosse sparita all'improvviso, sostituita da un'aria pensierosa, quasi tormentata che si accostava bene al suo solito modo di fare così scontroso e inavvicinabile. Scarlett aspettò che la affiancassi prima di voltarsi verso le scale e salirle. Aveva lasciato la porta socchiusa nella fretta di venire a dividere me e Sean. Prima di entrare, Scarlett di voltò verso Sean, che era rimasto accanto alle scale.
«Tu non vieni?» Gli chiese con voce gentile.
Lui sollevò lo sguardo su di lei e per un attimo il suo sguardo mi sembrò più limpido, privo delle ombre che vi avevo visto tante volte. «Ho bisogno di prendere un po' d'aria.»
Scarlett abbozzò un sorriso. «Okay.»
Lui fece un breve cenno d'assenso prima di voltarsi dandoci le spalle. Scarlett lo osservò per un attimo, poi mi lanciò un'occhiata ed entrò in casa. La seguii chiudendomi la porta alle spalle. Matthew ci aspettava sul divano con una tazza fumante in mano. Sembrò sollevato di vederci; ci fece un sorriso timido e un po' impacciato.
Scarlett si voltò verso di me e i suoi occhi da cerbiatto incontrarono i miei. «Posso parlarti? In privato magari...»
«Sì, certo. Possiamo andare in una delle camere.» Risposi.
Annuì piano stringendosi le braccia al petto. Salimmo le scale insieme e, una volta arrivati al secondo piano, la feci entrare nella prima stanza che si affacciava sul corridoio. Era piuttosto simile a quell'accanto, il letto di legno scuro era lo stesso, così come i due comodini azzurro pallido ai lati della testata, la stessa finestra ampia che si affacciava sul bosco. Le uniche differenze erano alcuni mobili: nella prima camera c'era un cassettone di legno chiaro appoggiato alla stessa parete su cui si apriva la porta, nella seconda, invece, c'era un armadio imponente decorato con alcuni intagli.
Scarlett si sedette sul letto e incrociò le gambe. Le coperte erano smosse e il cuscino era un po' appiattito; sul comodino c'erano una brocca piena d'acqua per metà e un bicchiere.
Mi sedetti accanto a lei. «Spero non siano brutte notizie.»
Un sorriso fiacco le incurvò le labbra. «No. O meglio, solo un pochino.»
Aggrottai la fronte, cauto. «Che intendi?»
«Ti ricordi cosa ti ho detto su mio padre?» Domandò guardandomi negli occhi.
Annuii: ricordavo le sue parole cariche di disprezzo e una certa malinconia pronunciate sotto l'effetto dell'alcol. E ricordavo altrettanto bene i particolari che aveva voluto aggiungere il pomeriggio in cui le avevo rivelato che mi aveva parlato di suo padre quando era ubriaca.
Scarlett trasse un respiro profondo. «La mattina in cui mi hanno sparato... Ecco, quel giorno lui era venuto a casa mia. Non so perché, sinceramente non gli ho dato il tempo di spiegare il motivo della sua visita. Ma... erano anni che non lo vedevo, credo di non aver avuto più sue notizie dal giorno in cui lui e mamma hanno divorziato ufficialmente. Ritrovarmelo davanti mi ha sconvolto e... credo di essere stata troppo impulsiva.» Strinse le labbra fino a ridurle ad una linea sottile. «Se non mi fossi fatta prendere dalla rabbia non mi sarei allontanata dalla strada che faccio di solito per andare a scuola e forse i cacciatori...» Le si spense la voce e la vidi deglutire.
Le presi delicatamente una mano tra le mie. «Ehi, è tutto okay. È finita, non ti faranno più del male. E tuo padre... È lui che sbaglia. Tu non hai assolutamente nessuna colpa, né per quanto riguarda il divorzio, né per i cacciatori.»
Si morse il labbro. «Lo so. O meglio, so che dovrei saperlo. Però non... non riesco a togliermi dalla testa che non ti avrei messo in pericolo se fossi stata più attenta, meno impulsiva.»
«No, Scar, non dire così. Io sto bene, e anche tu. Non devi rimproverarti niente, capito? Assolutamente niente.» Mormorai accarezzandole le nocche.
Scivolò più vicina a me e appoggiò la testa sulla mia spalla. «Grazie. Sul serio. Dopo tutto quello che ti ho fatto passare mi sembra incredibile che tu sia ancora qui.»
La strinsi a me e mi lasciai sfuggire un sorriso. «Come ha detto un licantropo di mia conoscenza, non ti libererai di me così facilmente.»
Si mise a ridere e sentii i suoi muscoli, rimasti contratti fino a quel momento, rilassarsi. Si scostò appena da me per guardarmi negli occhi: tutta la preoccupazione e il tormento di poco prima erano spariti, rimpiazzati da una determinazione sorprendente.
Quella ragazza mi lasciava sempre senza parole con il suo essere così risoluta e coraggiosa. E il fatto che mi avesse parlato di suo padre, di nuovo, confermava la sua fiducia nei miei confronti. A quanto pareva il punto di incontro l'avevamo trovato ed eravamo riusciti, in qualche modo, ad approfondire il nostro rapporto reso complicato dalla sua licantropia e dalla mia testardaggine.
A quel punto, Scarlett decise che era una buona idea sconvolgermi ancora un po', come se i cacciatori e il vederla priva di sensi, ad un passo dalla morte, non fossero stati abbastanza: si avvicinò ancora un po', sollevò una mano e, con estrema naturalezza, la posò sulla mia guancia.
Quello che fece dopo, però, fu ancora più inaspettato: si sporse verso di me e premette le labbra sulle mie. Sussultai, sorpreso, ma ebbi appena il tempo di rendermi conto di cosa stesse succedendo perché un attimo dopo lei si allontanò da me. Si rannicchiò contro il mio fianco con la testa sulla mia spalla senza dire una parola.
«Pensi che domani dovrei tornare a scuola?» Chiese dopo qualche minuto di silenzio.
«Uhm... Non so, dipende da come ti senti.» Risposi ancora un po' disorientato da quel bacio a sorpresa.
«Adesso sto bene, ma domattina potrei avere una ricaduta. Soprattutto se dovrò svegliarmi alle sette...» Commentò lei e percepii il sorriso nella sua voce.
Sorrisi anch'io. «Prima o poi dovrai tornare comunque a scuola, sai?»
«Sì, ma non è che muoia dalla voglia di farlo. Insomma, ho perso due giorni di lezione e questo, vista la mia scarsa voglia di studiare, potrebbe essere un problema.» Spiegò lei stringendosi ancora un po' contro di me.
I suoi capelli mi sfioravano il collo, il profumo leggero di cannella, che avevo sentito la notte del nostro secondo incontro in quel bar, era soffuso, leggerissimo.
«Se vuoi posso aiutarti a recuperare, casomai ne avessi bisogno.» Proposi accarezzandole piano il braccio.
«Lo faresti sul serio?» Domandò lei sorpresa.
«Sì, certo.» Confermai. «Senti, facciamo una cosa: domani resti a casa così ti rimetti del tutto, e il pomeriggio studiamo insieme, che ne dici?»
Si raddrizzò e mi diede un bacio sulla guancia. «È perfetto! Davvero, non so come ringraziarti.»
«Va bene così, Scar.» Sussurrai intrecciando le dita con le sue.
Sorrise e per la prima volta mi resi conto di quanto fosse non carina, ma bella. Veramente bella, perché aveva i capelli in disordine, perché era pallida, perché aveva le occhiaie, perché era irascibile e lunatica, perché mi aveva fatto dannare e perché stavo cominciando a considerarla più di una semplice amica.



SPAZIO AUTRICE: Ehilà!
Siamo già al capitolo 28! Mi sembra ieri che ho iniziato a pubblicare questa storia, e invece il 15 giugno sarà già un anno. Vi anticipo che ci sono più o meno altri dieci capitoli alla fine di UAPM -la storia più lunga che io abbia mai scritto fino ad ora.
Passando al capitolo, abbiamo avuto il primo vero confronto tra Sean e Adam. Non sarà l'ultimo, assolutamente, anzi, questo è stato anche relativamente "tranquillo".
Il rapporto del nostro licantropo brontolone con Scarlett sarà molto importante nei prossimi capitoli, lo vedrete svilupparsi e scoprirete qualcosa in più sulla licantropia. Sean è in parte ispirato a Derek Hale di Teen Wolf, soprattutto per il modo in cui considera la licantropia, una sorta di dono. Ma saprà rivelarsi anche comprensivo e protettivo nei confronti della nostra Scar. Così come si farà prendere dalla rabbia nei battibecchi con Adam.
Ho detto anche troppo, quindi mi fermo qui. Grazie mille per continuare a leggere UAPM <3

TimeFlies




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