Orfanotrofio di Norwich, 23 giugno 1680
Dorian sollevò il volto verso il cielo. Chiuse gli occhi e abbandonò le braccia lungo i fianchi, le dita che sfioravano la tunica candida.
Gocce di pioggia s'infransero sulla fronte e scesero verso le tempie, ma lui non si mosse. Lasciò che l'acqua gli bagnasse la pelle. Quando la sentì scivolare sulle labbra, l'assaggiò: era fresca, piacevole come l'atmosfera quieta che circondava quel labirinto di siepi.
Poi, però, qualcosa cambiò. Il gusto pulito della pioggia divenne pungente e ferroso, un sapore inequivocabile che gli diede la nausea. Aveva la bocca piena di sangue.
Si portò la mano al volto, turbato, ma non trovò nessun taglio. Non provò dolore né fastidio, nemmeno un cenno di bruciore.
Un'altra stilla gli cadde sulle dita. La scorse con la coda dell'occhio: era una chiazza vermiglia che spiccava sul candore uniforme della pelle; una macchia che tolse ogni dubbio. Quella non era più acqua.
Si toccò le guance, la fronte, il naso – dovunque la pioggia fosse caduta –, il cuore stretto nell'angoscia, ma ancora una volta non trovò traccia di ferite. Quando controllò i palmi, li scoprì sporchi di sangue ancora caldo.
"Aiuto!"
Provò davvero a gridare, ma la voce non uscì. Non ce la faceva.
Non ne aveva a sufficienza.
Le mani tremarono, l'impotenza rese le ginocchia malferme. Un verso ruvido si levò dal cielo.
Dorian sollevò lo sguardo: un grosso corvo volava in tondo sopra di lui, gli occhietti neri puntati addosso e le ali che sbattevano e schizzavano sangue – lo stesso che gli aveva appena sporcato il volto. Quando planò e si posò sulla siepe, le gocce sparse sul terreno cominciarono ad allargarsi. Acquistarono volume fino a diventare pozze, ma non si fermarono: crebbero ancora, ancora, ancora. Si allargarono, si mischiarono e riempirono in lunghezza l'intero corridoio. Il sangue bagnò i piedi di Dorian in un istante, partendo dalle dita fino al dorso. Anche allora, però, il livello continuò a salire: coprì il malleolo e raggiunse la tibia.
Occhietti magnetici e oscuri lo fissavano. Aspettavano.
"Come un avvoltoio che veglia la preda morente."
Dorian guardò il corvo, il corvo fece altrettanto. Fu allora che capì: era lì per lui.
Era venuto a prenderlo.
«Vattene!», gridò, l'angoscia che gli mordeva la pancia. «Non avrai il mio sangue!»
I piedi scattarono, le gambe risposero. Dorian si mise a correre, sollevando schizzi che imbrattarono la tunica bianca. Un battito d'ali si sollevò alle sue spalle, seguito da un gracchio roco e grottesco. L'istante successivo il corvo gli fu addosso. Gli artigli graffiarono pelle, ferirono occhi, lacerarono muscoli, e per quanto Dorian cercasse di colpirlo per costringerlo ad allontanarsi, quello non demorse e affondò con il becco, strappandogli tutto ciò che riusciva a prendere: muscoli, sangue, sogni, speranze. Fu come essere improvvisamente vuoti.
Morti.
«No, vattene! Lasciami stare!» Si dimenò, ma quello continuò a ferirlo. Il volto sfregiato pulsò e il dolore fisico si mischiò a un altro tipo di sofferenza, profonda e intensa, che gli bruciava l'anima più di ogni altra cosa.
«AIUTO!»
Un gracchio.
«QUALCUNO MI AIUTI!»
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Possession - Ascesa
Historical FictionLondra, 1680. Per il giovane Charles Rochester, marchese di Bolton ed erede del duca di Norfolk, desiderare un uomo è inaccettabile: la feroce attrazione che il nuovo servo suscita in lui deve essere soffocata a qualunque costo. Tuttavia non è facil...