Capitolo 1

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Era novembre . Non mi ricordo precisamente la data, ma sono sicura che era verso fine mese anche perché l'aria era abbastanza fredda e pioveva come non mai.
Il cielo era di un grigio scurissimo e l'acqua veniva giù talmente veloce che sembrava che qualcuno la su si divertiva a buttarne giù secchi pieni colmi d'acqua, uno dopo l'altro.
Ovviamente non bastava il dolore che mi divorava dentro, sembrava che il tempo voleva peggiorarlo ancora di più.
Camminavo lungo la strada senza una meta precisa.
Era diventata un'abitudine ormai: camminare, bere e perdersi nei ricordi ogni benedetto giorno che passava.
Infatti quel giorno pensavo alla mia misera vita.
Ero io insieme a me stessa e ad una bottiglia di whisky.
Sola, completamente sola.
Non capivo nemmeno perché cavolo ero nata.
Stavo pensando a quella donna che io dovrei chiamare "madre", ecco proprio a quella li, quella che mi aveva abbandonato in un orfanotrofio.
Già...quel posto se lo chiamo inferno è fin troppo poco.
Nemmeno là nessuno mi aveva mai amata o coccolata, nessuno mi aveva mai offerto amore o almeno un pizzico di affetto, nessun bambino che voleva giocare con me, nessuna famiglia che mi voleva, no niente di niente.
Se non ricordo male ci sono state due o tre famiglie che hanno provato ad adottarmi ma poi non so senza motivi senza scuse mi riportavano in quel posto orribile.
Appena compiuti i miei diciotto anni infatti me ne ero andata lontana da quel mondo, da quelle persone.
È vero non avevo una casa, non avevo una famiglia non un'amica, ero sola abbandonata anche dal destino.
Non mi guardava quasi nessuno e se mai qualcuno lo faceva i suoi occhi mi guardavano con disprezzo quasi odio.
E come potrei biasimarli? Ero inguardabile. Inguardabile ed inutile allo stesso tempo.
Ero uno sbaglio credo. Uno sbaglio di troppo.
Ci credete che neanche sapevo sorridere? Non l'avevo mai fatto, non avevo mai sorriso e sinceramente non avrvo mai avuto un motivo per farlo.
Io ero nessuno, ero tutta da disprezzare, da ignorare...
Nessuno aveva mai provato a parlarmi a chiedermi che ore sono o almeno mandarmi a quel paese, non avevo mai ricevuto un complimento non mi avevano nemmeno insultata semplicemente mi ignoravano come se io non esistessi.
Un periodo avevo pure pensato di essere invisibile magari, però passando vicino a delle vetrine io vedevo il riflesso del mio volto, quei capelli lunghi e castani che non avevano mai ricevuto le carezze di una madre o di una persona che mi volesse bene...
Di solito avevo la faccia pallida e tirata, gli occhi neri erano sempre vuoti, sempre più persi, sempre più tristi e poi c'era la bocca, l'unica cosa di me che mi piaceva.
Sapevo che ero abbastanza alta e magra e a guardarmi non riuscivo a credere che ero ancora viva.
Più guardavo quel volto che era mio e più lo odiavo, Dio quanto mi odiavo.
Certe volte avevo una voglia irrefrenabile di spaccare quei vetri ma alla fine lasciavo perdere e proseguivo per la mia strada anche se non portava da nessuna parte.
Mi ero rassegnata al destino.
Non avevo niente da perdere tanto meno da vincere.
Come ho già detto non avevo mai avuto una casa. Per me la casa era la strada.
Il mio letto? Beh qualsiasi panchina di qualsiasi parco abbandonato esattamente come me, se mai pioveva di troppo mi nascondevo sotto ad un albero più carico di foglie oppure camminavo e canticchiavo sotto la pioggia finché non smetteva.
Per mangiare e vestirmi mi vergogno a dirlo ma rubavo, si lo so che non è una cosa di cui vantarsi ma a quei tempi era l'unica cosa che potevo fare.
Non rubavo cose costosissime , rubavo solo qualcosina per colmare un po' la fame e per vestirmi.
Ogni tanto succedeva che rubavo anche una bottiglia o due di alcol forte ma quello succedeva raramente, solo nei miei giorni bui, quei giorni in cui volevo dimenticare la mia esistenza, quando volevo riempire quel maledetto vuoto, quando volevo colmare quel senso di colpa, quella stanchezza, quella maledetta vita.
Aiutava si, ma durava poco, poi quando ritornavo lucida mi odiavo ancora di più.
Di giorni belli non ne ho mai avuto.
Erano tutti giorni persi, buttati al vento, una monotonia a cui ero già fin troppo abituata. Una vita da schifo...e bestemmiavo, bestemmiavo i miei maledetti giorni e quella maledetta donna che mi aveva messa al mondo, e perchè poi? Perchè mi aveva regalato quella vita se non mi apparteneva?
Non poteva semplicemente abortire? Non credo si sarebbe sentita in colpa tanto non mi voleva lo stesso.
Magari vi state chiedendo perché non ho provato a suicidarmi, vi giuro io ci avevo provato non decine ma centinaia di volte a farlo e non ci ero mai riuscita. C'era sempre qualcosa o qualcuno che semplicemente lo impediva. Poi mi ero arresa, avevo capito che il mio angelo custode si divertiva nel vedermi soffrire o vagare per la città giorno e notte.
Mi ero arresa fino a quel giorno di novembre.
Persa nei ricordi com'ero avevo pure finito tutto il contenuto di quella bottiglia e guardandola ormai vuota non potevo non chiedermi se era più vuota la bottiglia o la mia anima? È ovvio che la risposta giusta era la mia anima anche un bimbo di prima elementare credo che l'avrebbe pensato.
Dal nulla sentivo la rabbia che si impossessava del mio corpo, avevo le lacrime agli occhi e la cosa mi aveva scioccata non poco. Erano pochissimi i giorni in cui avevo pianto, penso che in tutti quei ventidue anni avevo pianto si è no una decina di volte ma era diverso non faceva così male invece quel ultima volta era straziante.
Mi sentivo talmente debole e stupida e sola...tutto insieme tutto in una voragine di dolore.
Mi sentivo bruciare, soffocare e morire piano piano, ma il brutto era che non morivo anche se lo volevo, lo volevo tantissimo, morire là in mezzo alla strada abbandonata come già ero.
Ma no niente, non succedeva , sentivo le lacrime che scendevano lentamente sulla mia pelle e si mescolavano assieme alla pioggia fredda che era già arrivata fino dentro le ossa, avevo freddo e tremavo, faceva male e volevo gridare, volevo urlare tutto quel male che sentivo e così avevo fatto, avevo urlato, avevo urlato fortissimo, avevo urlato come mai avevo fatto e da lì erano partiti anche i singhiozzi, quei singhiozzi rumorosi quelli che ti lasciano senza un minimo di aria dentro i polmoni, però il dolore non passava.
Piangevo e avevo maledetto tutto: la terra la mia vita ero arrivata al punto di maledire tutti i santi perché mi avevano fatto passare tutto quel inferno, avevo maledetto anche il mio angelo custode che mi aveva salvata tutte quelle volte quando io avevo solo bisogno di morire.
Poi avevo ricordato la bottiglia, si quella bottiglia avrebbe messo fine a tutto quel inferno, mi ero promessa che quella volta non avrei fallito niente e nessuno avrebbe dovuto o potuto fermarmi. Presa dal momento l'avevo scaraventata a terra rompendola in mille pezzi.
Con lo sguardo cercavo il coccio più affilato e quando l'avevo trovato non ci avevo pensato due volte e l'avevo infilato nel punto esatto dove sentivo il dolore quel dolore così crudele, così sadico. Mi ricordo che avevo fatto in tempo per guardarmi le mani sporche del mio sangue e la parte dove il sangue scorreva lentamente. A quella vista per la prima volta in vita mia avevo sorriso e soddisfatta avevo chiuso gli occhi e poi...buio

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