Atto otto.

2.2K 216 117
                                    


Atto otto – I ricordi li aveva sempre tenuti per sé. Ma li aveva. Li ha sempre avuti.


(Parla Harry)

Su e su. Era diventata una scalata, una corsa contro al tempo, un completo disastro. Ma non potevo permettermi di sbagliare, non volevo sbagliare, proprio non ci sarei riuscito a tornare indietro.

Come avrei potuto?

Ormai ci avevo stipulato un rapporto d'affezione, con quel posto. Con la sua stanza, con le sue lenzuola, col suo profumo, col suo viso, con lei. Con le sue mani, con le sue attenzioni, con i suoi occhi bellissimi, e lei... Con lei, che era bellissima.

Me ne rendevo conto giorno dopo giorno, che ormai la mia vita aveva cominciato ad incentrarsi su quello che stavamo costruendo. Su delle fondamenta piene d'amore, del suo affetto. Di quell'affetto che ci scambiavamo reciprocamente. Io l'amavo. Io mi ero innamorato di Bo, mi ero innamorato di tutto ciò ch'era suo. Mi ero innamorato della sua voce, delle sue carezze, mi ero innamorato delle sue lacrime e dei suoi sorrisi. Mi ero innamorato totalmente, completamente e profondamente di lei.

Della mattina, con lei. Dell'alba. Mi ero innamorato di ciò che la circondava, mi ero innamorato della sua vita, mi ero innamorato della mia vita al suo fianco.

Ma non avevo bisogno di dirglielo. Lo sapeva già. Lo aveva capito da tanto tempo, da quei due mesi che io avevo passato in quella stanza nascosta, in quel letto caldo, tra le sue braccia, col suo profumo sotto al naso.

Insomma, non avevamo bisogno di parole. Eravamo così complici, così completamente perduti in quel giro di sostegno reciproco. Con i miei fallimenti e con i miei successi, comunque l'avrei trovata a spronarmi.

Era confortante sapere di non essere solo in quel piccolo posto. Era bello sapere di non dover affrontare tutto da me, ma con l'aiuto di un fiore che mi era stato donato quando, quel giorno che sembrava tanto lontano, mi aveva preso per mano.

Un fiore che era sbocciato davanti ai miei occhi. Con i suoi petali rossi, col suo stelo verde, senza spine, una rosa malleabile tra le mie mani.

In principio ero io ad essere smarrito, ai suoi occhi; molto presto, però, finii con l'essere tutto un po' più diverso. Avevo un po' più libertà di scelta e d'iniziativa. Mi veniva più spontaneo e semplice, ma comunque, ogni singolo gesto, era contaminato da quel me poco sicuro e ancora incerto sul proprio da farsi.

Quando ciò accadeva, c'era Bo. Che mi guardava, mi accarezzava le mani e mi diceva facciamolo insieme, quattro mani sono più di due. Allora tutto ricadeva in uno spazio più grande, quel gran da gestire diventava – come se veramente fosse così – più piccolo e indifeso.

Abbiamo costruito una casa.

Una casa bella, con un bel tetto, colorata, piena di fiori, con un camino, con un cancello di legno, con le finestre, con una robusta porta all'entrata.

Insieme. L'avevamo costruita insieme, mentre ci guardavamo. Durante il mattino, quando lei apriva i suoi occhi meravigliosi. E mi sorrideva. Mi abbracciava, mi stringeva a sé per minuti interi.

Che male c'era, poi, nel volersi bene. Nel sentirsi bene, mentre eravamo vicini. Che male c'era nel donare e nel ricevere un po' d'amore.

Proprio nessuno.

Perché il male ed il bene non possono convivere nella stessa frase. Nemmeno nella stessa realtà. Perché uno scaccia l'altro.

Allora avevamo creato noi da soli la situazione in cui poteva solo crescere un seme alla volta, e avevamo scelto quello del bene. Ogni giorno ci si svegliava, e si andava in cerca dell'altro, si prendeva un po' di bene da se stessi e lo si donava.

LatĕbraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora