L'inizio

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Era un caldo pomeriggio di Agosto, Amata e i suoi amici stavano giocando nel giardino pubblico sotto casa, vicino la bottega dell'orafo, che li guardava dall'uscio del negozio sorridendo. Mentre i bambini giocavano ad acchiapparella arrivarono due uomini a bordo di una grossa macchina nera. L'orafo smise di sorridere e rientrò; Amata restò a guardare: quei due uomini non le piacevano, avevano una faccia cattiva. Inoltre avevano tolto il sorriso al vecchio orafo sempre di buon umore. I due uomini entrarono nella bottega ridendo, erano grandi e grossi, con l'aspetto di persone altolocate; poco dopo si sentì il rumore di vetro che si spacca. I bambini si allarmarono e scapparono in casa, Amata no. La bambina vide poco dopo i due uomini uscire dalla bottega e salire in macchina. Si avvicinò alla vetrina e vide le meravigliose teche del negozio distrutte e la maggior parte di quei bellissimi gioielli spariti. A terra, affianco al bancone, tra i vetri rotti, il vecchio orafo piangeva.

In piena notte si sentì un gran casino; un'esplosione e vetri infranti. Dopo, sirene che si avvicinano. La piccola Amata si affacciò dalla finestra della sua cameretta e ciò che vide la turbò molto: la bottega del vecchio e gentile orafo era in fiamme.

Ce ne volle affinché Amata scoprisse cosa era successo al povero orafo, e di sicuro non grazie alla mamma, che continuava a dirle che l'incendio era stato naturale, ma lei non ci cascava. Sapeva che erano stati i due uomini della macchina nera, non poteva essere altrimenti. A 13 anni scoprì quello che era il pizzo, e quello che ci girava intorno. Scoprì la 'Ndrangheta. E così era questo che era capitato quella notte. L'orafo non aveva pagato il pizzo, e gli uomini dalla macchina nera lo avevano avvisato a modo loro. Non era giusto, L'orafo era una brava persona, non capiva come si fosse mischiato con quella gente. Solo dopo capì che era quella gente ad essersi mischiata con lui.

Amata era a scuola, faceva la terza media. Era emozionata di questo ultimo anno prima delle superiori, anche se spaventata all'idea di dividersi dalla sua migliore amica, Anna. La classe non le piaceva molto, la maggior parte dei suoi compagni erano prepotenti, magari non con lei ma comunque con i suoi compagni più deboli. Quella mattina la ragazzina non aveva nessuna idea di cosa sarebbe successo in quella scuola di Atremo.

Dopo due stancanti ore ad ascoltare la prof di italiano fare la parafrasi dell'infinito di Leopardi era finalmente suonata la campanella della ricreazione, e i ragazzini si erano allegramente riversati nel cortile. Amata e Anna erano nel loro angolino a consumare la colazione, quando sentirono confusione nel lato opposto al loro.
<<Anna, avviciniamoci e vediamo che succede.>>
<<Oh ma dobbiamo proprio?>>
<<Dai muoviti!>>
Sì avvicinarono al gruppetto e videro un ragazzo di terza che faceva pressioni su uno più piccolo affinché gli desse il suo cappello.
<<Su idiota, dammelo.>> Gridò l'energumeno.
<<Non voglio, va via.>> strillava il più piccolo.
Il prepotente glielo prese lo stesso e se lo mise.
<<È troppo piccolo, idiota.>> E gli tirò un pugno. Amata fece per mobilitarsi ma l'amica la fermò. <<Che vuoi fare? Statti ferma, vuoi finire nei guai?!>>
Il bambino iniziò a piangere mentre il ragazzo continuava a infastidirlo; dopo il pugno aveva iniziato a dargli pizzicotti e piccole sberle. Quando si fu stancato gli si rivolse con tono minaccioso <<guai a te se ne fai parola con qualcuno. E anche a voi, avete capito bene?!>> Tutti annuirono in silenzio. Il bambino continuò a piangere dopo che il bullo andò via. Amata gli si avvicinò ma lui strillò <<no, va via! Non voglio faccia del male anche a te, lasciami stare!>>
<<Dobbiamo andare in infermeria, e raccontare quello che è successo.>>
<<No, sparisci.>>
Arrivarono subito degli altri ragazzini che lo convinsero ad andare in infermeria.

Nei giorni seguenti la questione venne sepolta. E il bullo continuava imperterrito la sua politica di terrore. Amata venne sempre fermata ogni volta che cercava di prendere le difese di qualcuno. Nessuno diceva la verità, perfino Anna le stava lontano quando cercava di dire come stavano le cose, e non la appoggiava mai in questo.

Amata un giorno scoprì il significato di omertà: da li in poi si rese conto di cosa la circondava.

Uno spiraglio di luce entrò nella camera di Amata illuminandole il viso. Lei si rigirò sotto il piumone e dopo cinque fin troppo brevi minuti trovò il coraggio di alzarsi. Le 7:00. La mamma era già uscita. La ragazza entrò in cucina, si fece una tazza di latte e si andò a lavare e vestire. Prese lo zaino e dopo aver salutato il proprio gatto scese per andare a scuola. Entrò in garage e fece per accendere il motorino ma... <<merda!>> 1,2,3,4 volte. Niente benzina, motorino a terra. <<Maledizione, mi tocca andare a piedi.>> Il liceo non era molto lontano da casa ma tra una cosa e un'altra si era fatto tardi. Si incamminò verso scuola e arrivò dopo circa quindici minuti. Il grande cancello in ferro dell'istituto era spalancato, e c'erano ancora gruppi di ragazzi fuori: Buon segno. Anna era affianco al cancello ad aspettarla. <<Buongiorno dormigliona! -la salutò- sempre in ritardo tu eh?>> <<Oh piantala - disse Amata sorridendo - mi è solo morto il motorino, sennò sarei arrivata in orario.>> Entrarono e raggiunsero la loro classe, sedendosi come al solito all'ultimo banco. <<Come facciamo a reggere queste 5 ore?>> Esclamò Anna sorridendo come sempre. Era una tipa allegra, lo era sempre stata. Si erano conosciute in prima elementare, e da allora non si erano più lasciate andare. Era stata lei a presentarsi la prima volta. Amata era una bambina come tante, anzi no, perché lei era l'unica che stava da parte senza parlare con nessuno. Anna le si avvicinò e con il suo sorriso contagioso le chiese: <<perché non giochi con noi?>> <<Non mi va>> rispose Amata. <<Dai, vieni a giocare con me>> rispose l'altra sorridendo. Amata si lasciò convincere con pochissimo, ma quella bambina dagli occhi profondi e scuri e i capelli castani e corti era fatta così, portava il buon umore anche nella bambina dai capelli ricci e rossi con le lentiggini e gli occhi marroni.
<<Amata! Ehi! Terra chiama Amata. A che stavi pensando?>> Anna la risvegliò dai suoi pensieri. <<No niente Anna, mi perdevo tra i ricordi.>>

Tornando a casa dopo aver salutato Anna, Amata ripensò a quella bambina di buona famiglia che fu l'unica ad avvicinarsi alla bambina senza papà.
Papà che la mafia aveva ammazzato.

Il bivio della giustiziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora