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Quando, lasciato Naruto al suo ufficio, Sakura e Sarada si erano dirette sicure lungo le stradine del villaggio, Sasuke le aveva seguite, senza far caso alla direzione, occupato a respirare di nuovo l'aria del suo paese natio e ad ascoltare il chiacchiericcio di sua figlia, che, entusiasta, sembrava voler recuperare tutto in una volta gli anni di lontananza, ma, nel momento in cui loro avevano svoltato verso quello che un tempo era stato il quartiere Uchiha, si era fermato, immobile nel bel mezzo della strada.
"C'è qualcosa che non va papà?" gli chiese Sarada con un misto di ansia e sconcerto negli occhi scuri, così simili ai suoi. Non riusciva ancora a capire cosa gli passasse per la testa. Durante quell'avventura passata insieme si era sentita vicina a lui anche emotivamente, ma suo padre era e restava ancora un mistero irrisolto per lei. Un mondo da scoprire.
Sakura invece lo conosceva bene.
"Ieri ho incidentalmente distrutto casa, non l'ho fatto apposta. Sai che a volte non mi controllo" si giustificò arrossendo di fronte allo sguardo sarcastico del marito che sapeva quanto fosse senza controllo quando si arrabbiava, più di una volta aveva saggiato la potenza dei suoi pugni durante un litigio con lei,"Comunque prima di partire per venire a riprendere Sarada ho chiesto a Shizune se poteva dare una ripulita alla tua vecchia casa per viverci temporaneamente, finché non finiranno i lavori a casa nostra."
Quando il villaggio era stato distrutto da Pain, anche il quartiere Uchiha era stato devastato, ma alcune case, come quella in cui Sasuke aveva vissuto coi suoi genitori e il fratello prima della strage, erano state private solo del tetto, quindi anche se era stato tutto ricostruito ex-novo dando una nuova conformazione alla struttura del paese e il quartiere Uchiha non era più un ghetto, anzi era di nuovo abitato da persone vive e non dai fantasmi di un'epoca ormai passata, la casa degli Uchiha era stata semplicemente ristrutturata e Sasuke ci aveva vissuto tra un viaggio e l'altro, prima di sposarsi con Sakura durante una delle loro missioni in giro per il mondo e decidere di trasferirsi in centro, un posto nuovo in cui costruire una nuova vita insieme.
Arrivati davanti alla villetta, Sarada lo prese per mano, trascinandolo fino in soggiorno e sedendosi accanto a lui sul basso divano, cominciando il suo interrogatorio per colmare gli anni di distanza, mentre Sakura, silenziosamente, si spostava in cucina per preparare la cena.
"Papà, che lavoro svolgi per il villaggio? Hai combattuto contro nemici forti come quelli che abbiamo incontrato oggi?" gli chiese sua figlia, curiosa.
"Cosa ti ha detto la mamma?" domandò lui con circospezione, sopraffatto da tanto entusiasmo. Non era mai stato un grande oratore e di certo non lo sarebbe mai diventato continuando a vivere come un lupo solitario.
"Che svolgi un lavoro molto importante per il bene di tutti. Mi ha sempre raccontato che una volta finito saresti tornato a casa da noi e... che ci vuoi bene" aggiunse con voce flebile. 
"È così. Tua madre ha ragione. La mia missione è segreta e sono l'unico in grado di svolgerla, purtroppo si è protratta più di quanto pensassi" le rispose, tenendosi sul vago, credeva non fosse necessario dire a parole quanto tenesse a loro, i gesti per lui valevano più di qualunque altra cosa visto che in passato era stato ingannato più volte da parole menzognere: quelle di Itachi, quelle del Terzo hokage, quelle di Obito, persino Sakura aveva cercato di mentirgli nel Paese del ferro, seppure in modo tanto maldestro che si era divertito a mettere alla prova la sua lealtà chiedendole di uccidere Karin.
"Perché non ti sei mai fatto vivo con noi? Nemmeno un messaggio, una lettera, eppure fai rapporto regolarmente all'hokage sull'andamento della missione, no?" gli chiese guardandolo con espressione un po' triste. Il suo bisogno di sapere era evidente. 
Vedendo in lei la delusione e il dolore causati dagli anni passati senza notizie, Sasuke non poté fare a meno di provare una stretta allo stomaco. 
Si sentiva un disadattato, un essere spietato e senza cuore, un pessimo padre e un teme - come avrebbe detto Naruto -, Sarada meritava una risposta alle sue domande, alla sua età era una cosa normale voler sapere la verità, non poteva darle torto per aver pensato male vedendo che l'unica sua foto che Sakura aveva era un'istantanea di molti anni prima fatta col team Hebi ( Naruto durante il viaggio di ritorno aveva vuotato il sacco e raccontato i dubbi della piccola sulla sua maternità).
Era necessario parlare, quindi con grande sforzo si decise ad aprir bocca.
"Vedi Sarada... Non so se qualcuno abbia mai avuto il coraggio di raccontarti qualcosa del mio passato, probabilmente no, perché Sakura non voleva che tu pensassi male di me, ma sappi che ho fatto molti errori nella mia vita" le rispose alla fine, decidendo di soddisfare almeno in parte la sete di conoscenza di sua figlia. 
"Che cosa vuol dire?"lo interrogò la piccola adolescente.
"Ti sei mai chiesta perché non hai i nonni paterni? Né nessuno zio o cugino?" le chiese, irrigidendosi. Aveva paura del giudizio di quegli occhi color onice.
"Sì, ma quando ho chiesto notizie alla mamma si è rattristata tanto che non ho più avuto il coraggio di fare domande su di loro, anche se a volte mi porta al cimitero e bruciamo dell'incenso davanti alle loro tombe. E parlando di te spesso è evasiva e non sa cosa rispondermi, per questo io... pensavo che lei non fosse la mia vera mamma" terminò di dire, vergognandosi dei suoi sospetti.
"La colpa è solo mia. Non volevo ti facessi una brutta opinione di me, ma adesso è ora che tu sappia chi sono in realtà.
Quando avevo otto anni mio fratello Itachi uccise tutti gli appartenenti al nostro clan, compresi i nostri genitori per impedire una guerra civile. La storia che c'è dietro questo suo gesto è molto lunga e un giorno te la racconterò o potrai chiederlo a tua madre, comunque alla fine rimasi solo perché Itachi si unì ad un organizzazione criminale come spia per conto del villaggio. Io a quel tempo non sapevo la verità su di lui, quindi lo odiavo per quello che aveva fatto, l'unica cosa che mi importava era diventare forte per potermi vendicare ed ho intrapreso la via del vendicatore dopo aver incontrato Orochimaru"
"Quel tizio strano e inquietante?" chiese Sarada, ricordandosi l'ambiguo scienziato che avevano incontrato
"Ho abbandonato il villaggio e mi sono allenato con lui, arrivando poi a tradirlo e a diventare tanto forte da uccidere mio fratello.
Solo dopo la morte di Itachi seppi la verità e il senso di colpa per aver provato della vita l'unica persona che mi avesse mai amato, mi ha fatto impazzire. Ho attaccato il Villaggio della foglia, sono diventato un nukenin e lo sono stato fino alla fine della Quarta guerra ninja, ho aiutato l'esercito dell'alleanza e Naruto solo per mio tornaconto, perché volevo che finisse con me la catena di guerre, dolore e intrighi che si dipanava fin dal passato, volevo diventare io l'hokage. Poi dopo l'ultimo scontro con il mio amico e rivale, quello che adesso è il settimo hokage, ho perso il braccio ma ho guadagnato in cambio la consapevolezza che non ero solo, che c'era ancora un posto per me e dei legami che nonostante tutto non ero riuscito a recidere e che avendo fiducia in quei legami il futuro sarebbe stato migliore" raccontò l'uomo.
Legami, eh? pensò Sarada, il Settimo hokage ha dato una lezione anche a me sull'importanza dei legami, anche non di sangue.
Tutte quelle informazioni la stavano un po' confondendo, non riusciva ad immaginare il dolore provato da suo padre perché lei aveva avuto sempre sua madre ad occuparsi di lei ed anche se suo padre era stato lontano a lungo, tanto da non riconoscerla, aveva qualche vago ricordo di lui, si era comunque sentita amata anche se quei continui accenni agli Uchiha e l'avevano fatta sentire tanto insicura da spingerla a farsi varie domande su di lui.
Tuttavia non era quello il momento giusto per rimuginare, avrebbe riflettuto per bene una volta rimasta sola nel silenzio della sua cameretta, quindi, curiosa di sapere il ruolo di sua madre nella vita dell'uomo che le stava di fronte, chiese: "E la mamma?" 
Aveva ancora nelle orecchie le parole pronunciate da suo padre: "Mia moglie non è una debole!", "Perché ci sei tu, Sarada"e voleva sapere cosa ci fosse davvero tra loro.
"Lei si è innamorata di me da bambina, almeno questo è quello che mi ha raccontato, io ero troppo preso da me stesso per darle attenzione e mi sono accorto dell'intensità di questo suo sentimento solo quando stavo lasciando il villaggio in piena notte e lei, consapevole della mia decisione, ha tentato di fermarmi arrivando a confessarmi il suo amore" le rispose, ricordando il tono disperato di Sakura, la sua risposta freddaSei davvero noiosa, e il colpo secco seguito al grazie sussurrato al suo orecchio prima di colpirla e poi stenderla sulla panchina di pietra.
"A quel tempo la vendetta era il mio unico pensiero fisso, volevo diventare forte ad ogni costo, non importava cosa o chi dovessi sacrificare per diventarlo.
Tua madre ha continuato testardamente ad amarmi, fino a diventare forte quanto il quinto hokage, non si è tirata indietro nemmeno davanti alla consapevolezza che la mia oscurità era profonda quanto l'oceano" continuò, "Non ha mai smesso di volermi bene e dopo il mio breve periodo in carcere per scontare le mie colpe e dopo qualche anno passato in giro per il mondo per scoprire me stesso e per fare commissioni per conto del Sesto hokage, le ho chiesto di seguirmi nei miei viaggi, durante uno dei quali siamo diventati marito e moglie."
"Perché non c'è nessuna foto del vostro matrimonio?"
"Ci siamo sposati in un piccolo tempio nascosto tra i boschi, la decisione è stata così improvvisa che non siamo nemmeno tornati al Villaggio" rispose Sakura, facendoli sobbalzare - tanto erano presi dalla loro conversazione- e fissandoli dalla porta della cucina, "Comunque la cena è pronta, venite a mangiare."
Mentre tutti e tre prendevano posto, Sasuke ebbe un momento di déjà-vu, rivide suo padre Fugaku seduto al suo posto, Mikoto seduta al posto di Sakura, se stesso seduto al posto di Sarada e il posto vuoto occupato da Itachi. 
Quel luogo era pieno di fantasmi, le loro presenze aleggiavano ovunque, inquietandolo, per questo non amava dormire lì e, dopo aver scontato i domiciliari oltre al carcere, non ci aveva quasi più messo piede se non sporadicamente.
"Tutto bene papà?" gli chiese Sarada, vedendogli in volto una strana espressione.
"Sì" le rispose l'uomo, prendendo in mano le bacchette e cominciando a mangiare il riso.
Sua figlia lo osservò attentamente assaporare con grazia il boccone e poi prenderne un altro. 
"Sai, secondo me sei fantastico. Riesci a fare tutto anche con un braccio solo!" 
"Ormai mi sono abituato, anche se cucinare è piuttosto scomodo e ho dovuto ingegnarmi per riuscire ad usare il Katon no jutsu senza formare i segni" le rispose, assaggiando un boccone di pesce per poi rivolgersi alla moglie,"Shizune ha pensato anche al cibo?" "Sì, è sempre molto efficiente e ha ben pensato di lasciare qualche ingrediente in dispensa e in frigo" disse Sakura, osservando soddisfatta il pesce grigliato accompagnato da tempura di verdure e piccoli pomodori ripieni che aveva preparato mentre il riso cuoceva in pentola. Non era così male per essere un pasto improvvisato anche se avrebbe voluto preparare qualcosa di più essendo la prima volta da tanti anni che erano tutti e tre riuniti a tavola.
"Comunque... Perché non ci sono documenti sulla mia nascita qui al villaggio?" "Oggi sei davvero piena di domande, eh?" affermò la donna, facendole cenno di continuare a mangiare.
"Perché sei nata durante una missione che abbiamo svolto insieme a Karin, la donna nella foto. Mi servivano le sue doti sensitive e tua madre non ne ha voluto sapere di restarsene buona ad aspettarmi, ero nel bel mezzo di un combattimento contro una decina di ribelli del Paese del Ferro quando lei è spuntata fuori dal bosco e ne ha fatti fuori tre in un colpo solo, incurante del pancione" raccontò Sasuke, ricordando la paura che gli aveva fatto prendere e la scenata che le aveva fatto più tardi in preda alla rabbia, non l'aveva portata con sé apposta per non esporla al pericolo dato che era prossima al parto e quella incosciente invece lo aveva seguito e si era buttata a capofitto nella battaglia. Gli aveva fatto perdere dieci anni di vita.
"Karin non è una combattente abile come me" cercò di giustificarsi Sakura. Era stato il timore di poterlo perdere, misto all'ansia per l'avvicinarsi del momento del parto a spingerla a lasciare il piccolo villaggio in cui lei e Sasuke si erano stabiliti in attesa della nascita della bambina. In fin dei conti non era pentita della sua decisione.
"Sta di fatto che lo sforzo che hai compiuto non ti ha fatto bene e siamo stati costretti a farti partorire in uno dei covi segreti di Orochimaru che per nostra fortuna era vicino. Se Karin non fosse stato un medico sareste morte entrambe" le ricordò l'uomo che ancora impallidiva ogni volta che gli tornava in mente la scena di sua moglie che gemeva di dolore con le mani sul ventre. Quel giorno le emozioni in lui si erano miscelate come i colori di una tavolozza da pittore: la paura di perdere sua moglie o suo figlio - non sapeva ancora che sarebbe stata una femminuccia -, la gioia di diventare padre, il calore nel sapere che al mondo ci sarebbe stata un'altra persona con il suo stesso sangue, l'orgoglio per aver fatto almeno per una volta la scelta giusta.
"Comunque dopo il parto ho voluto che tenesse lei il nostro cordone ombelicale, come ringraziamento per avermi aiutata e segno di amicizia visto che quando tuo padre è partito per il viaggio di redenzione e non sembrava voler tornare a Konoha tanto presto è stata così gentile da farmi avere una sua foto" aggiunse Sakura, con espressione serena, per poi cambiare del tutto atteggiamento, stringendo la mano destra a pugno,"Quel deficiente di Suigetsu si beccherà un pugno la prossima volta che lo vedo. Sa fare un test di maternità ma non sa che una corrispondenza del cento per cento significa che quelle cellule sono le tue? Idiota. Se avesse fatto un controllo con le mie o quelle di Sasuke la corrispondenza sarebbe stata del cinquanta percento perché hai metà dei nostro patrimonio genetico."
"Lascia stare, mamma," cercò di calmarla Sarada,"ho comunque imparato qualcosa da questa avventura." Entrambi i genitori sorrisero vedendo nella loro adorata figlia tanta maturità. Poi la donna guardò l'ora e cominciò a sparecchiare il tavolino.
"È ora di andare a letto signorinella" disse alla figlia.
"Ma io voglio restare a chiacchierare con papà!" protestó la ragazza, osservando suo padre come se fosse sul punto di sparire come un'illusione, un sogno.
"Guarda che domani non è un giorno di festa, dovrai andare all'accademia ninja al solito orario" la rimproverò Sakura. "Uffa, però!" si lamentò ancora la ragazzina che sembrava così delusa che la madre quasi cedette alla sua richiesta, poi optò per un'altra soluzione. "Che ne dici di andare a lavarti? Poi tuo padre ti accompagnerà in camera e ti rimboccherà le coperte" le disse facendole un occhiolino. "Vado subito!" rispose allora Sarada, correndo di corsa in bagno sotto lo sguardo stupito del padre.
"Le rimbocchi ancora le coperte?" le chiese lui, incredulo. 
"No, ma non si ricorda di quando lo facevi tu, quindi sapevo che avrebbe accettato e ne sarebbe stata felice" gli rispose Sakura, con un luce di tenerezza negli occhi che contagió anche lui. 

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