"Prima compravo scarpe di qualità,
adesso sono passato alle borse.
Mi danno maggior sicurezza."
(Marc Jacobs)
Giunsi in anticipo all'aeroporto di Malpensa, nervosa all'inverosimile perché dovevo incontrarmi con il mio interprete misterioso.
Ci eravamo scambiati un paio di mail mettendoci d'accordo per fare i check-in separati. Ci saremmo incontrati direttamente in sala d'attesa, possibilmente (avevo specificato) al bar adiacente al terminal del nostro volo.
Lasciai i tre trolley Louis Vuitton all'imbarco e con la sola compagnia della mia Kelly di Hermes (ok, ero stata esiliata tra i ghiacci, ma almeno ci andavo da regina: quale borsa migliore di quella sfoggiata da Grace Kelly?) mi avviai al metal detector del gate secondo quanto scritto sulla carta d'imbarco. Ero sulle spine perché temevo che quegli aggeggi infernali si mettessero a suonare senza alcun motivo. Non mi sentivo nemmeno tanto in forma. L'idea che Michele mi avesse relegata appositamente tra i fiordi nordici mi torturava di continuo.
La verità era che non riuscivo ad accettarlo. Avrei dovuto trovare dentro di me la grinta per combattere il mio capo, mandarlo al diavolo e fargli vedere di che pasta ero fatta, ma appena mi concentravo su quel proposito, esso si affossava senza permettermi di trovare un attimo di pace.
Per fortuna varcai il metal detector indenne e mi diressi al terminal in uno stato d'apprensione: chissà come sarebbe stato questo Ruben. Sapevo solo che era italiano come me, e che mi avrebbe dovuto scortare tra le sperdute lande del Circolo Polare Artico.
Non so se avrei resistito. Una milanese doc catapultata quasi al Polo Nord: non mi ci vedevo. Ero arrabbiatissima con Michele perché mi costringeva a quell'assurda partenza senza possibilità di un rifiuto. Ero depressa per aver dovuto subire un tale e palese atto di mobbing; in più, testarda e orgogliosa, non avevo voluto chiedere aiuto ai miei genitori.
Arrivata mi diressi subito al bar e mi guardai intorno: escluse le coppie, i single di una certa età e le famiglie, restavano solo alcuni candidati papabili. Uno era davvero belloccio, biondo, con un finissimo completo grigio fumo che metteva in evidenza le sue spalle solide e massicce. Lo scartai quando m'accorsi che il giornale che stava sfogliando sul tavolino era il Times. Un altro, in piedi al bancone, stava sorseggiando un caffè; anche lui non era niente male: alto, asciutto e atletico, spalle larghe e vita tornita, un bel fondoschiena fasciato da jeans e una bella camicia, la giacca sotto braccio. Poi lo raggiunse una lei e depennai anche lui dalla mia lista mentale.
Sospirai.
Mi riguardai attorno. Al bar non c'era nessuno che facesse al caso mio. E per fortuna che dovevamo incontrarci lì! Mi diressi agguerrita verso la zona riservata all'attesa: tra la gente seduta spiccava un anonimo spilungone, alto e magro, dal viso ossuto e scarno, con le guance ispide di barba, le gambe lunghissime strette in normalissimi jeans e una dozzinale camicia a quadri. Mio Dio fa che non sia lui! Ingoiai il moto d'irritazione e mi avvicinai. Stava ascoltando l'iPod, le cuffie nelle orecchie. Aveva gli occhi chiusi.
Eppure qualcosa mi diceva che fosse lui.
- Mmm... - tossicchiai.
Lo sconosciuto aprì gli occhi, rivelando due splendide iridi verdi. Beh, adesso andava molto meglio. Avrei potuto soprassedere sul resto, a fatica s'intende.
- Lei è il signor Ruben Scalzi?
Corrugò la fronte e si tolse le cuffie. - Prego?
- Lei è il signor Ruben Scalzi? - ripetei, imbarazzata.
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Il mio adorabile dilemma
Romance[PRIMI 4 CAPITOLI DEL PREQUEL + SEQUEL IN VIA DI PUBBLICAZIONE] IL MIO ADORABILE NEMICO (SU AMAZON) Carol Becker è una bag-designer, una stilista di borse che lavora con successo per una maison milanese. Quando la sua liaison con il proprieta...