The Traveler.

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Immaginati camminare nella Foresta Amazzonica con le ortiche che si attaccano nelle tue calze lunghe di lana ormai sfibrata fino le ginocchia perché, cazzo, se solo ti sfiorassero la pelle inizierebbe un prurito raccapricciante, il rossore, la voglia di strapparsi la carne di dosso. Ma questo davvero non importa, non dai molta importanza alle piccole cose quando stai calpestando la terra dell'Amazonia con le tue stesse scarpe ormai sgangherate, sporche di verde e di fango melmoso. Intorno a te senti gli uccellini che cinguettano quasi volessero darti il benvenuto, poi ti guardi intorno ed i raggi del sole ti puntano la faccia quando riescono a sorgere attraverso gli spifferi di quelle dannate foglie troppo grandi, troppo grandi per te che sei piccolo per quel posto troppo esteso...troppo immenso da far accapponare la pelle.
Ma Harry Styles ha provato a calpestare più suolo possibile. Ha camminato sulle rive del fiume Rio Delle Amazzoni, ha sfiorato l'acqua con le sue dita fino ad immergerci tutta la mano ed Harry pensava che fosse magico, che forse quella meraviglia potesse anche riuscire a guarirgli i tagli microscopici ed i calli spellati nel palmo pallido, vellutato.

Harry Styles viaggia, viaggia molto. È una medicina per lui, una medicina per le brutte esperienze vissute in passato. Che poi questa medicina non ha amarezze, non ti fa storcere la bocca quando arriva il momento di prenderla.
Che Harry non ha casa, non ci torna ormai da mesi. Ha scordato il viso di suo padre, di quel vecchio sordo rinchiuso dentro le sue quattro mura ad esaminare pezzi antichi con quella maledetta lente che Harry vorrebbe ridurre a brandelli. Stringerla in un pugno e disintegrarla davanti a lui, come volesse dirgli così tu hai distrutto i miei sogni, hai distrutto me.  Harry non ricorda il padre in viso ma ricorda le assenze di quest'ultimo, quando ha sempre preferito andare alle fiere di città che alle sue recite scolastiche. Lasciava quel povero bambino riccioluto solo, a fare la sua parte. Poi non c'era neanche la mamma ad asciugargli il moccio dal naso, che metteva a tacere il suo pianto frigno.
Adesso Harry Styles ha smesso di piangere, ha smesso anche di avere una stanza. Dorme nel suo pick-up quando è troppo lontano o si affitta una stanza in quei B&B fatti di legno, che hanno le stanze puzzose di umidità, scopate nei letti scricchiolanti.
Harry ha percorso anche la muraglia cinese, camminato intorno al Colosseo e poi una sera ha mangiato la vera pizza. Quella di Napoli con la mozzarella filante, il sapore dell'Italia in bocca.
Ha visto quelle dannate e sognanti Cascate dell'Iguazú, il fiume sotterraneo di Puerto Princesa - che proprio sotterraneo non è - e poi non si è neanche fatto sfuggire la baia di Ha Long.
Perché Harry Styles, oltre ad essere quel povero disgraziato con il fratello suicida ed orfano della madre è anche un viaggiatore.
Con la cartina sempre in mano, una borraccia strapiena di acqua dentro lo zaino di stoffa vissuto.
Ad Harry piace viaggiare, piace dimenticare.
È per scappare dai fantasmi del suo passato, quelli che lo inseguono la notte, che Harry inizia a viaggiare nel mondo. Ma si sa, ogni viaggiatore è solo alla ricerca della sua meta.

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