Lacrime di memoria

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Ferma ed immobile è la paura, triste e lenta è la vendetta. Siamo esseri in cerca di solidarietà, macchine imperfette fatte a somiglianza della nostra società. Non siamo altro che un riflesso del mondo, uno specchio invisibile che appare solo agli occhi di pochi. Siamo vittime di noi stessi, della nostra coscienza. Siamo Imperfetti.

Il diciottesimo giorno arrivò in maniera lenta, quasi con la paura di mostrarsi. Nessuno sentii il suo arrivo eppure credo che in molti lo attendessero, compreso me. Ero rimasto immobile in un letto di ospedale per 17 giorni, dopo l'incidente in auto nel quale avevo sentito quelle terribili urla, strazianti eppure così dannatamente reali. Ero entrato in coma da subito, in maniera immediata, come se la mia mente volesse scappare a tutti i costi da quella realtà, da quel momento, e probabilmente ero riuscito davvero a scappare, per 17 lunghi giorni. Ormai però il buio che mi aveva assalito, la pacata paura dell'ignoto, aveva trovato la sua fine. Quei terribili giorni di coma si erano conclusi. Quando il diciottesimo giorni riaprii gli occhi la prima cosa che mi colpì fu la luce, la tremenda, forte, indomabile luce, così potente da spaventarmi in cuor mio, da farmi temere il mio ritorno al mondo. Ormai però non potevo più fuggire, la mia cicatrice aveva il diritto di essere vissuta e così anche il mio cuore aveva il dovere di palpitare di nuovo per davvero.  Dopo esser stato inondato dalla luce decisi di guardarmi attorno, riacquistando la mobilità del collo. Alla mia sinistra c'era la porta socchiusa, bianca e pallida, un po' come me probabilmente, ma appena girai il volto alla mia destra vidi una donna seduta su una sedia mentre guardava fuori dalla finestra, Aveva un volto molto dolce, coi capelli scuri raccolti e la carnagione chiara, appariva come una bambolina, delicata e preziosa. Cercai di parlare ma evidentemente le parole mi uscirono balbettate, ma non importava,  per mia fortuna quelle deboli parole spezzate riuscirono a conquistare l'attenzione della donna. Lei girò il volto e mi guardò, gli occhi verdi sgranati, le guance rosse e gli occhi... Dio solo sa come erano i suoi occhi in quel momento. Erano terribilmente stanchi, ma anche spaventati e sconvolti, fu in quell'istante che per assurdo pensai a come dovevano essere quegli occhi di fronte al sole di una bella giornata, felici e soddisfatti della vita, con la luce che ristagna in quelle palpebre così delicate. Erano dei bei occhi, erano vivi e mostravano i loro sentimenti come le pietre mostrano le loro sfumature. La donna si alzò di scatto dalla sedia, con le labbra che tremavano e mi afferrò il braccio, "OH SIGNORE" e se ne andò correndo, urlando come una pazza nel corridoi per richiamare l'attenzione di medici ed infermieri. Aveva un viso dolce ma la sua voce in quel momento mi spaventò, forse ero grave o forse avevo un aspetto orribile. In quel momento non sapevo che ero al mio diciottesimo giorno, ma iniziai a sospettare di essere in una situazione inusuale quando vidi entrare da quella bella porta bianca un uomo sui cinquantanni, con i capelli neri e sfumature grige. Gli occhiali erano a metà naso e  mi scrutavano attentamente, finché la bocca non si decise a dichiararsi. "Come si sente?" esitai nella risposta e nel frattempo il medico si avvicinò a me toccandomi per valutare i miei riflessi e poco dopo riuscii a rispondere senza alcun balbettio. "Io credo bene, perchè sono.. dove sono?" ad ogni parola la donna tremava sempre di più, soffocando inutilmente le lacrime che lentamente e silenziosamente le solcavano le guance rosse. "Lei è in ospedale, ha avuto un brutto incidente circa due settimane fa, è un uomo molto fortunato sa? Non ha avuto molti problemi fisici oltre a qualche brutto taglio o livido, ma fortunatamente è ancora qua con noi. Si ricorda qualcosa dell'incidente? Anche solo qualche dettaglio, particolare, se si sente confuso è più che normale non deve preoccuparsi." Il sangue mi si ghiacciò nelle vene, la mente mi andò in confusione,se il medico aveva ragione, se avevo davvero avuto un incidente, come poteva esser possibile che non mi ricordassi nulla? La mente mi navigava in luoghi di cui non avevo più conoscenza, non ricordavo più nulla, solo il buio che mi aveva avvolto e un urlo straziante. "Mi scusi ma... non ricordo nulla, vorrei ricordarmi ma non riesco.." " Non deve preoccuparsi davvero, è normale non ricordare, forse col tempo avrà più fortuna.." Le sua parole erano calme e tranquille, eppure mi arrivavano come da lontano, non ero concentrato su quell'omone in divisa bianca, avevo lo sguardo di quella donna puntato su di me e la cosa mi metteva a disagio, non sapevo chi era e nemmeno perchè fosse li ad assistermi, guardando fuori dalla finestra aspettando il mio risveglio. Il medico fece un passo indietro ed accennò un sorriso, " è una fortuna che lei si sia risvegliato dopo un periodo di coma così breve, è un uomo fortunato lei, ora penso che sia necessario che la lasci tranquillo però, sono certo che sua moglie avrà parecchi baci da dargli " sorrise e se ne andò lasciandomi nel panico più assoluto. Guardai quella donna mentre sorrideva al medico e mi domandai come potessi aver scordato il volto di mia moglie. Lei mi sorrise mi prese la mano, stringendomela e baciandola, "Mi dispiace così tanto, è stato terribile ricevere la chiamata e sentirmi dire che mio marito ha avuto un incidente, so che è banale detto da me e dopo tutto quello che ho fatto, ma davvero, ho avuto così paura di perderti..." altre lacrime le bagnarono il viso ed io non potei far altro che ritrarre la mano ed osservare i suoi lineamenti, non avevo ricordo dei suoi occhi come non avevo memoria delle sue labbra o delle sue mani così morbide, avevo di fronte a me una donna attraente ed in lacrime ma nella mia mente, nella mia memoria quella donna non era mia moglie.  "Mi dispiace molto, davvero, ma io non... non mi ricordo di lei, vorrei davvero poter ricordare che lei è mia moglie ma non ci riesco.." . Mi sentii in colpa come mai in vita prima, quanto meno mi sentii in colpa come mai dopo il mio risveglio valutando che della mia vita non ricordavo più nulla. Era il mio diciottesimo giorno e non ricordavo più nulla, la mia cicatrice aveva appena avuto la sua prima vendetta su di me e nulla era più straziante che guardare quel volto e non provare nulla nei suoi confronti, in quella stanza c'erano solo quei grandi occhi verdi che ora come non mai brillavano di lacrime.

Come nuvole di vaporeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora