CAPITOLO 6 " Una piccola parte della realtà"

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- Ehy, Cole!- Gridò un uomo facendoli un cenno entusiasta.
Cole si avvicinò a lui sorridendoli.
- Marcus!- Esclamò dandoli una leggera pacca sulla spalla.
- Sei stato fuori per un bel po, eh?- Chiese Cole facendogli l'occhiolino.
Marcus sbuffo sonoramente.
- Dai! Lo sai che scherzo!- Disse cercando di non ridere vedendo l'espressione del suo amico.
- Lo so, lo so.-
Affermò sedendosi su una panca in legno della riserva naturale.
- Le cose stanno cambiando, Cole.- Disse con voce profonda.
Il volto dell'altro si rabbuio' e si sedette accanto senza dire nulla.
Il vento era calmo anche lì, si trovavano nella parte che non aveva subito nessuna modifica per volere del governo. Nessuno si era mai permesso di sporcarla o di imbrattare qualunque cosa. L'unica cosa che avevano inserito erano qualche panca sparse per tutta la serra.
Era il luogo dove la natura e gli animali vivevano indisturbati e dove qualsiasi persona, nel rispetto di essa avrebbe potuto entrare e osservare.
Nonostante questo o forse proprio per questo c'erano regole rigide e strette che non andavano in alcun modo violate.
Nessuno doveva o poteva disobbedire, era un disonore per tutti. Era l'unica cosa che accumunava ogni persona, indipendentemente da chi erano, liberi, ombrae, inventori, medici, milites, tutti. E dovevano convivere in pace, almeno in quel luogo. Nessuno poteva esser cacciato o discriminato per via della sua posizione nella società erano, in quel miracoloso luogo, tutti uguali, o almeno si sperava che fosse così.
- Ho saputo della ragazza.- Iniziò Marcus cercando di cambiare argomento.
- Sì è tutto vero.- Rispose subito prima di ricevere altre domande.
- L'hai vista?- Chiese fissandolo con speranza.
Scosse la testa.
Il viso di Marcus si riempì di delusione ma poi ricordandosi di qualcosa si ravvivo'.
- La vedrai e il solo fatto che lei sia qui è un vero miracolo.-
Esclamò pieno di energia e allegria.
- Oppure è un vero disastro.- Rispose l'altro sussurrando.
- Ma che dici! Stiamo pur sempre parlando di tua nipote, no?-
Lui scosse la testa e poi con uno slancio si alzò.
- Facciamo così, che ne dici se continuamo a parlarne con una bella birra in mano?-
Marcus sorrise:
- Tu si che mi conosci, fratello.-

JOHAN POV's
- Non posso farlo!-
Urlai senza volerlo al cellulare.
Mi morsi il labbro, adesso sì che sono nei guai. Usare questo tono con uno degli ufficiali, anche se mio conoscente sicuramente mi avrebbe portato un mare di casini.
Dall'altro capo del telefono si sentì una fragorosa risata.
Giusto.
Stiamo sempre parlando di Back e lui, ormai ne sono certo, ha qualche rotella fuori posto o almeno le ha sempre avute. E soprattutto ha un innata passione per mettere le persone in difficoltà, soprattutto se ne ricava qualcosa.
- Johan, devi capire che è un grande onore per te fare da guida alla novellina che ha distrutto quella barriera ammaccata e che e anche la figlia di uno dei pezzi grossi!-
Esclamò con un pizzico di ironia.
- E poi- Continuò piano.
- Data la tua posizione non ti puoi assolutamente permettere di rinunciare.-
Immagino il suo sorriso crudele e affilato comparire sulle sue labbra mentre pronuncia questa frase.
Serro i pugni.
Stringo talmente forte il cellulare che sento lo spezzarsi di qualche marchingegno al suo interno.
È stato ed è il mio allenatore e anche ufficiale in pensione però.
È un tipo muscoloso di circa cinquant'anni che è stato mandato così tante volte in missione che ha sempre inquietanti storie da raccontare. È un pazzo, non si stanca mai, non gli importa di quanti anni hai o se ti conosce da quando sei nato o ancora, se sei un ricco o un povero, o se sei un maschio o una donna, quando entri nella palestra sei una marionetta ai suoi ordini e devi obbedire, se provi a dire qualcosa a riguardo in men che non si dica ti troverai a faccia in giù con un bel calcio nel sedere.
Una volta, quando avevo all'incirca sette anni mi fece fare per ben cinque ore lo stesso esercizio, che era picchiare un sacco usando dei calci a 90° precisi.
Quel giorno si sedette poco lontano osservandomi, per tutto quel tempo, senza mai smettere di dire che facevo schifo.
Dicono che i suoi metodi siano i migliori ma io so che in realtà a lui non interessa più di tanto ricevere riconoscimenti o denaro extra, vuole solo vederci soffrire e lottare senza sosta perché lo diverte.
E non ho intenzione di prendere quella ragazza e istruirla solo perché, lo so per certo, ha paura di fallire. Sarebbe più facile dare la colpa ad un milites che non ha ancora avuto un'incarico, no? Al posto di prendersi questa rogna la vuole sbolognare a me, ma questo non accadrà.
- Non lo farò. - Dissi a denti stretti.
Dopo un secondo di silenzio riprese:
-Pensaci, Johan, non posso costringerti ma questo gioverebbe per te, no? Immagina. Un quasi milites che si guadagna la fiducia di uno dei pezzi grossi e magari fa anche amicizia con la sua dolce figliola.-
Da come ha pronunciato la parola "amicizia" so che vuol intendere ben altro, è da lui in fondo.
Vuole che mi si affidi l'incarico grazie ad una raccomandata?
Sospiro frustrato.
Non ci credo che vuole che arrivi a tanto e poi non sono più quello di una volta non potrei mai fare una cosa simile anche se devo ammetterlo questa situazione è stressante, aspettare ogni giorno che venga qualcuno che mi dica che devo partire, immaginare di esser utile invece di stare qui senza fare niente.
Tutti i miei coetanei sono partiti da un pezzo e mio padre ogni giorno non fa che ricordarmelo.
- Ti do due giorni di tempo e sappi che sono stato anche buono.-
Non potei dire nulla poiché chiuse la telefonata.
- Bastardo!-
Urlai lanciando il telefono per aria.
So che è una stupida trappola ma devo ammettere che mi aiuterebbe e non poco. E lui lo sa, è per questo che l'ha chiesto proprio a me.
- Che diamine stai facendo! Vuoi rompere la parete?-
Urlò una voce addirata.
Abbassai lo sguardo e vidi delle crepe e dei grossi buchi a forma delle mie mani.
Avevo colpito la parete senza neanche rendermene conto?
- Ci vivo anche io qui e gradirei non avere dei grossi buchi nel muro!-
Urlò più forte avvicinandosi.
Le sue guancie erano rosse dalla rabbia, i suoi capelli come ogni mattina arruffati, erano legati in una coda disordinata mentre i suoi occhi sembravano lanciare saette.
- Ciao, sorellina.- La salutai facendole l'occhiolino.
Adesso si arrabbiera' ancora di più ma non posso resistere, è davvero divertente provocarla.
I suoi occhi si riempirono di rabbia e le sue gote diventarono rosso fuoco.
- Non provarci neanche!- Gridò con tutto il fiato che aveva.
- Oggi sarà un bellissimo giorno, okay?- Mi minacciò puntandomi il dito contro.
La guardai senza capire.
- Oggi è il 26 marzo, ti ricorda qualcosa?-
Mi stuzzico'.
Il ventisei marzo? Cosa poteva esserci di così speciale?
Il suo compleanno? No, è già passato da un pezzo, il mio? No, mancano due mesi.
- Odio gli indovinelli.- Dissi grattandomi la nuca.
- Lo so, è per questo che te ne ho fatto uno- Esclamò facendomi l'occhiolino.
Sbuffai.
- In ogni caso.- Continuò tornando seria.
- È il giorno in cui ci sarà la selezione e io sono tra i candidati.-Esclamò tutto d'un fiato senza guardarmi e dedicando tutte le sue attenzioni al tostapane rotto dandogli dei colpetti.
Sa che mi da fastidio anche solo parlarne ma che razza di fratello sarei se non la sostenessi? Stiamo parlando di Cassie e lei è davvero brava in qualsiasi cosa riguardi la difesa, anche se è mai stata veramente addestrata ma lo è. È una sua capacità, una delle tante e poi chi sono io per fermarla?
- Sono felice per te.- Dissi sforzandomi di sembrarlo veramente.
Lei annuì mentre sferrava colpi sempre più forti e decisi al tostapane.
- È già rotto a che serve romperlo di più?-
Chiesi in tono ironico mentre mi avvicinai e lo afferrai, a che serve pestarlo così?
Finirà nell'immondizia e per un po diremo addio ai tost.
Strinsi la presa sul l'aggeggio ma lei lo tirò a sé.
La guardai stupido.
Che diamine stava facendo?
- Cassie?- Chiesi confuso.
Alzò lo sguardo e vidi i suoi occhi appannati, pieni di lacrime che si costringeva a trattenere.
I suoi occhi erano intrisi di sangue, il suo volto completamente bianco, solo adesso mi rendo conto delle pesati e marcate occhiaie.
- Cassie...- Sussurrai incapace di distogliere lo sguardo.
Staccò immediatamente la presa e senza guardarmi corse verso la porta.

****
Il cielo si era incredibilmente scurito, ormai le giornate erano cambiate. Il vento e il freddo stavano prendendo il sopravvento.
Le aule erano completamente deserte, dentro regnava il caos più assoluto.
Tutte le porte e fineste erano spalancate, libri, quaderni ancora aperti sui banchi bianchi. Molte lavagne erano piene di disegni e di vari numeri, a seconda dell'uso che veniva fatto tempo prima nelle classi.
Il vento gelido entrava dalle finestre facendo cadere le cartine, facendo rovesciare le sedie, facendo aprire i libri e quaderni.
Ogni stanza era così, completamente vuota. Era come se ci abitassero degli spettri.
L'unico suono era il fruscio delle foglie degli alberi nei giardini, tutto il resto era immobile, fermo nell'istante in cui tutti erano spariti.
Più lontano, c'era una grande sala ancora avvolta dal profumo della notte. Era piena di decorazioni ormai guastate, i festoni benzolavano da un lato, i fiori sui tavoli erano secchi e dai colori spenti, sembravano quasi sporchi.
I tavoli erano, invece, ancora perfettamente addobbati. Posate d'argento, piatti in ceramica, la tovaglia perfettamente bianca e pulita. L'unica cosa che rovinava quella atmosfera e che ricordava la verità della sala erano i resti di cibo ancora nei piatti ormai freddi. Molte mosche ci gironzolavano in torno, insieme a delle formiche che avevano preso possesso del piatto e che in squadra rubavano piccoli pezzi.
Il tempo era rimasto immutato dagli eventi, congelato nel terrore di quello che sarebbe avvenuto.
Sul pavimento c'erano vetri, posate, tovaglioli in stoffa ricamata, c'erano varie ombre e impronte di scarpe sporche, erano presenti ovunque. C'erano anche piccole pozze di sangue rosso sparse qua e là.
Poco lontano, da un sotteraneo blindato si udiva il sottire vociferare di strane voci, la Burton in tutta la sua miracolosa storia non era mai arrivata a così tanto.
- Cosa dovremmo fare adesso preside?- Chiese una voce gracchiante proveniente da una anziana signora bassina, indossava un piccolo e striminzito abito rosato, i capelli grigi erano legati in una treccia perfetta mentre i suoi occhi verdoni luccicavano dalla paura.
- Non chiamatemi così.- Disse bruscamente l'uomo seduto su una poltrona al centro della stanza.
Aveva le braccia appoggiate elegantamente, i suoi capelli erano bianchissimi, il suo aspetto insolitamente regale quanto rude.
I suoi occhi marroni erano stanchi e pieni di rabbia.
- Sibilia smettila.- La rimprovero' una donna vestita unicamente di giallo.
- Senti chi parla! Adesso la tua stupida abilità non ti serve eh?- Urlò un uomo bassino dalla schiena ricurva e dalla pancia prorompente.
- Smettela tutti quanti.- Affermò sbadiglianto il professore del rinnomato e tanto criticato dai suoi colleghi "la nostra storia" era questo il nome di quel corso.
- Aradin, finalmente apri quella tua patetica e puzzolente bocca!-
Sghignazzo' sonoramente il più giovane tra di loro.
Era l'insegnante da poco arrivato e famoso tra le alunne.
Aveva appena raggiunto i ventisei anni e la sua scortesia era ormai famosa e riconosciuta da tutti.
- Smettetela tutti.- Disse con tono pacato e solenne il preside.
Loro si zittirono e lo guardarono attenti.
- Quei ragazzi che sono fuggiti.- Iniziò.
- Per loro non possiamo fare nulla, ma la nostra missione continuerà, non ci arrenderemo, non ci scoraggeremo. Sono passati anni da quando abbiamo deciso di cambiare, di non stare più agli ordini di nessuno e anche nelle nostre condizioni, il desiderio ardente di vincere questa battaglia non si spegnerà.
Siamo stati scalfiti, derubati, molti di noi annientati ma non possiamo fermarci.-
Gli altri annuirono, in segno di consenso.
- Lotteremo come abbiamo sempre fatto.- Concluse l'uomo guardandoli uno ad uno, come se volesse sfidarli a dire il contrario.

***
Anteprima del 7 capitolo:
Jenny pov's
Si è fatto buio e non so dove andare.
Le strade mi sembrano tutte uguali, la gente è ovunque ma non fa troppo caso a me.
C'è chi beve in compagnia, si sentono delle risate e delle urla provenienti dai bar, ma non mi sembra una buona idea entrarci.
Cory non c'è e sono completamente sola in un posto che non ho mai visto prima, nulla mi è famigliare è tutto troppo grande e confuso.
Ed in più nella mia testa iniziano a riemergere strani ricordi che non pensavo neanche di avere, accompagnati alle parole di quel uomo.
Mi fermo e mi siedo per terra.
Le mie guance sono ancora umide ed i miei occhi ancora rossi, vorrei solo essere in un posto sicuro e dar sfogo a tutto quello che provo.
Non riesco neanche a rendermi veramente conto di quello che sto facendo, non sono più consapevole del mio corpo, se cammino o se all'improvviso mi ritrovo per terra non fa differenza.

Hola!
Come state?
Scusate per la brevità di questo capitolo ma non ho potuto fare altrimenti, vi ho lasciato una piccola anteprima del prossimo capitolo!
Ditemi cosa ne pensate e...
Bye!
PS: fra pochissimo inizia la scuola, voi che giorni iniziate? Siete in ansia?

Fino all'ultimo respiro 2-la verita' celata-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora