Capitolo quattordici

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Mi sveglio, infastidita dalla luce penetrante del Sole, che si poggia sulle lenzuola, sugli specchi e riflette sul mio volto.

Mi giro sull'altro lato, allargando il braccio, normalmente. La mia mano ricade nel vuoto, toccando infine il materasso.
Apro gli occhi di colpo, ed Alex non c'è.
Mille pensieri invadono la mia mente. Troverò una lettera di addio da qualche parte.
Presa dalla paura e dallo sconforto, mi guardo attorno, immaginando di vedere prima o poi quel pezzo di carta, scritto in fretta e furia e lasciato lì, ad aspettarmi.

E invece non c'è un banale foglio, bensì Alex, poggiata contro il comò, di fronte a me.
Tiene lo sguardo basso, le mani stringono con forza il legno. Non mi è chiaro se sia lei ad aggrapparsi al comò, o se è il comò a tenerla in piedi.

Ha l'aria stanca, sfinita. Non deve aver dormito molto. I suoi capelli sono in disordine, ha indosso una maglietta grigia lunga e così larga, che sembra non appartenere a lei.

Scosto le lenzuola dal mio corpo, ancora nuda e sudata.
Prendo la maglietta che tengo sotto il cuscino, quella che abitualmente uso per dormire.
Mi incammino verso di lei, lentamente. Cerco di non fare rumore, un minimo gesto sbagliato, potrebbe interrompere i suoi pensieri bui e portarci a litigare di nuovo.

<Ferma.> Mi ordina, mostrandomi il palmo della mano. Muove le spalle, si sgranchisce il collo e le braccia, sospira pesantemente, prima di guardarmi.
Dietro alle lenti chiare e pulite, si nascondono due occhi rossi e gonfi. Deve aver pianto, probabilmente anche tutta la notte, senza che io me ne accorgessi.
<Alex> Non so bene che dire, come scusarmi. Non ho cambiato opinione, sul fatto di andare a parlare con Stella, ma se questo la fa stare così male, non ci andrò.

<Non dire niente.> È più una supplica, che un ordine. Respira di nuovo e fa un passo verso di me, barcollando per la stanchezza.
<Non dire niente Piper, perché è il mio turno e desidererei che tu non mi interrompessi.> La sua voce è roca e cupa, il suo sguardo minaccioso, ma assente.
Annuisco, lasciandolo lo spazio per dire la sua.

<Stella è meschina, approfittatrice e non riesco a togliermi l'immagine di te... Con lei.> Fa una pausa, in cui deve appoggiarsi al muro, altrimenti le sue gambe cederanno. <Mi fa incazzare così tanto che tu voglia vederla, ancora una volta. Ma non posso negartelo. Non posso negartelo, perché tutti i giorni mi sveglierei accanto a te, chiedendomi che cosa ne sarebbe stato di noi, se tu fossi andata a quell'incontro e non voglio che sia così. Voglio svegliarmi ed essere felice, nonostante tu abbia parlato con Stella, mi ripeterò che hai scelto me, non perché te l'ho imposto, perché l'hai voluto. Perciò va a quell'incontro, ma te ne prego, torna da me.> Quando finisce il discorso, respira affannosamente. È costretta a scivolare contro il muro e sedersi accanto al comò.

Non me l'aspettavo. Alex è ragionevole e intelligente, ma questo discorso, davvero non me l'aspettavo.
Mi vado a sedere accanto a lei, accarezzandole la gamba delicatamente.
Lei poggia la testa contro il muro e mi guarda con gli occhi socchiusi, le sue palpebre vorrebbero chiudersi del tutto e riposare, ma glielo impedisce, almeno per qualche altro minuto.

<Alex non ho mai avuto intenzione di restare con Stella. Ho scelto te, voglio te. Non è riuscita mia madre a farmi cambiare idea, non ci riuscirà nessun'altro. Voglio te, voglio te.> Mi sporgo verso di lei, lasciandole un bacio sulle labbra. Con le mani le accarezzo i capelli arruffati.

<Adesso se non ti dispiace, vorrei dormire...> Tenta di alzarsi dal pavimento, ma i suoi ginocchi cedono quasi subito, riportandola a terra.
L'aiuto ad alzarsi, afferrandola sottobraccio e una volta in piedi, faccio scivolare la sua mano sulla mia spalla e lentamente l'accompagno a letto.
Alex si addormenta immediatamente, con un sorriso sul volto.
La copro con un lenzuolo leggero e mi soffermo a guardarla.

Le sue palpebre, completamente serrate, sono di un rosa chiaro, più rosee del colore della sua pelle. Il naso è affondato nel cuscino, la mano a coprire la linea della labbra ancora protesa in su. È divina.
Mi allontano, non preoccupante di far troppo rumore, continuerebbe a dormire anche se una bomba cadesse accanto a noi.
E mentre Alex dorme beatamente, inizio a preparare le valigie, contenta per quella vittoria, ma non altrettanto per ciò che mi aspetta.

...

La mattina seguente, Alex mi accompagna, all'aeroporto. Durante il tragitto abbiamo ballato sulle note di una canzone ignota, ma coinvolgente.
Abbiamo anche deciso, che lei resterà qui. Non ha senso sprecare altri tre giorni di vacanza, almeno una di noi deve goderseli.

Scendiamo dal taxi, lei prende una delle mie valige ed io l'altra.
Il volo partirà fra un'ora circa, siamo arrivate prima apposta: per stare un po' insieme.

Facciamo colazione con una brioche e un cappuccino, infine ci sediamo irrequiete ad attendere.

Alex ticchetta con le unghie sulla valigia, guarda diritta davanti a se, mordendosi il labbro e portandosi indietro i capelli, ogni tre per due.

<Andrà tutto bene.> La conforto, poggiando la mia mano sopra la sua. Sta tremando. Blocco il suo tremolio, intrecciando le nostre dita.
<Lo so che andrà tutto bene, non sono agitata.> Mente, la sua voce tremolante, ne è un chiaro segnale, accompagnata dallo sbattere continuo del suo piede.

<Io sistemo le cose e tu ti rilassi, andrà tutto bene.> Continuo a ripetere.
<Lo stai dicendo per convincere me, o te stessa?> Insinua.
<Lo dico perché è vero. Andrà tutto...>
<Bene. Ho capito Pipes.> Porta la mia mano alle sua labbra e la bacia dolcemente, però poi stringerla di nuovo.

Una voce meccanica, ci informa che il volo è arrivato ed è tempo di andare.
Ci alziamo entrambi velocemente, abbracciandoci più forte che possiamo.
Alex respira profondamente contro i miei capelli. Il suo caldo respiro, raggiunge il mio collo, sfiorando la pelle e facendomi rabbrividire.
Ci stacchiamo solo per baciarci.

<Tre giorni. Solo tre giorni.> Questa volta lo dico per convincere me stessa. Sarà dura, non lo nego. Non solo affrontare Stella senza di lei, la cosa che mi preoccupa di più è il distacco, la lontananza.
La voce meccanica ripete il messaggio, aggiungendo che è l'ultima chiamata per imbarcarsi.
<Adesso devi davvero andare. Ed è meglio che ti allontani, prima che ti abbracci di nuovo, senza lasciarti andare.> Mi dice sorridendo malinconicamente.
Le dò un ultimo bacio e mi allontano in fretta, con la valigia stretta fra le mani.
Devo mantenere il controllo, altrimenti mi metterò a piangere, o tornerò indietro.
La voce dentro di me, ripete che lo sto facendo per noi e dopo, saremo più forti di prima.

<Piper!> Mi giro di scatto, sentendo la voce di Alex che mi chiama. Corre verso di me e quando è più vicina, scuote la testa, rimproverandosi.
<Nel trambusto, mi ero dimenticata...> Smette di scuotere la testa, mi guarda diritta negli occhi, sorridendo come una bambina.

<Si. Si, certo che ti sposo.>

Alex e Piper || #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora